«La cultura sorge in forma ludica, la cultura è dapprima giocata»
– Johan Huizinga, Homo Ludens (1983)
«È possibile giocare per sempre a Tetris?» era la questione che si poneva John Brzustowski nella sua tesi di dottorato consegnata all’Università di Waterloo nel 1992. Il matematico dimostrava, attraverso un’analisi, che il gioco era destinato a concludersi inevitabilmente per via delle configurazioni possibili dei tetramini. Tuttavia, se il modello matematico dimostrava l’impossibilità materiale del giocatore di vincere, questo non confutava l’idea che il Tetris era il migliore dei giochi possibili. Per un semplice motivo: la capacità di assuefare il giocatore.
Alekséi Leonídovich Pázhitnov ideò il gioco mentre sviluppava un programma per la sintesi vocale per l’Accademia delle Scienze dell’Unione Sovietica. L’interesse nutrito per il gioco dal giovane ricercatore lo spinse a creare una versione informatica del classico Pentomino, un rompicapo composto da polimini da incastrare in uno scatolo di legno senza che questi si sovrappongano. Pazhtinov capì da subito la capacità virale del gioco, una sintesi vincente tra tradizione e futurismo. Non è un caso che la Parker Brothers ne avesse lanciato una versione nel 1966 utilizzando l’immaginario sci-fi di 2001: Odissea nello spazio. In un outtake del film, Dave Bowman è intento a giocare una partita a pentomino con HAL. Nato in cattività, il gioco sfonderà le coltre di ferro per invadere tutto il pianeta, scatenando una corsa forsennata per l’acquisto e lo sfruttamento dei diritti tra le maggiori aziende del settore.
Box Brown, che abbiamo già imparato a conoscere grazie al precedente lavoro dedicato al wrestler Andre The Giant, dedica il suo ultimo lavoro – Tetris. Incastri Internazionali (Panini 9L) – a raccontare i retroscena del più famoso videogame della storia. Lo fa intrecciando diversi registri dall’analisi sociologica alla ricostruzione storica, passando per il romanzesco con piglio documentaristico e distaccato, enfatizzato dallo stile semplice e accattivante.
Brown ci introduce progressivamente, soffermandosi in maniera attenta sull’essenza del gioco, pescando a piene mani dalla teoria dell’homo ludens di Huizinga. Scrive lo storico olandese che «si possono negare quasi tutte le astrazioni: la giustizia, la bellezza, la verità, la bontà, lo spirito, Dio. Si può negare la serietà. Ma non il gioco…». Il gioco, quindi, si distacca dalla vita “ordinaria” o “vera”: ci si allontana dalla vita di tutti i giorni per entrare in una sfera temporanea di attività con finalità tutta propria. Il gioco è un’attività eseguita per amore della soddisfazione che dà. Considerato in sé, il gioco è un intermezzo della vita quotidiana, una ricreazione. Bob Brown lo sa e scorge quella verità nell’esperienza di Pázhitnov, il cui unico obiettivo è creare un passatempo divertente senza alcuna finalità commerciale. Non è un caso che la diffusione al di fuori del Centro Informatico dell’Accademia Russa avviene tramite shareware.
Le vicende subiscono una brusca sterzata quando Robert Stein, proprietario dell’Andromeda Software, scopre il Tetris durante una mostra organizzata dall’Istituto Ungherese di Tecnologia. Da quel momento in poi è tutto un susseguirsi di telex, telefonate intercontinentali e viaggi aerei nel cuore dell’Unione Sovietica. Un semplice gioco d’intrattenimento scatena un’imprevedibile corsa all’oro. Come scrive Matteo Bordone nell’introduzione: «quella di Tetris è la storia di formazione che ha permesso ai videogiochi di perdere la loro innocenza e diventare una storia da grandi.». Alekséi Pázhitnov e i suoi amici devono fare i conti con la Storia: un semplice passatempo viene attratto in un vortice ansiogeno.
Brown gestisce lo storytelling intrecciando vicende consumate a migliaia di chilometri di distanza in un’abbacinante bicromia che richiama il mood nostalgico e retro-futuristico dei game anni Ottanta. Lo stile cartoonesco e bidimensionale da un lato rimanda ad un estetica ben precisa, ma asseconda per l’appunto il piglio storiografico scelto. Non mancano soluzioni interessanti, anche se avremmo voluto che Brown avesse osato maggiormente, giocando sulle possibilità e i rimandi che i tetramini suggerivano.
In un periodo come il nostro dove l’industria videoludica muove capitali che non hanno nulla da invidiare a quelli mossi dal cinema e da qualsiasi altra industria dell’intrattenimento, Tetris. Incastri internazionali mostra la fase aurorale in cui la possibilità di giocare dovunque non era a portata di mano come oggi. Un passato più che recente in cui un semplice Gameboy poteva generare mondi alieni, viaggi interstellari e combattimenti infiniti.
Tetris. Incastri Internazionali
di Box Brown
traduzione di Aurelio Pasini
Panini 9L, 2016
256 pagine, 15,00 €