Il nuovo lavoro di Simona Binni (pubblicato da Tunué) segna in qualche modo un passaggio importante nella carriera dell’autrice romana. Da una parte, con questo volume si decreta la sua completa maturazione, sia in termini narrativi che stilistici; dall’altra stabilisce un netto distacco con il passato a partire dalla “destinazione” del suo lavoro, questa volta più indirizzato a un lettore maturo e adulto, laddove le opere precedenti si assestavano in una dimensione più adolescenziale.
Silverwood Lake è la storia di Diego, cresciuto senza la figura paterna dopo che quest’ultimo ha abbandonato, senza motivo, la famiglia. Lo ritrova anni dopo, malato di Alzehimer, dopo una vita passata a Silverwood Lake, nel sud della California, un luogo destinato a coloro che sono rimasti senza niente, senza un lavoro, senza una casa. Incapace di accettare quella realtà, Diego è spinto dalla sua ex fidanzata a recarsi nel posto in cui suo padre ha vissuto per anni per un reportage giornalistico sugli homeless. Là scopre un microcosmo fatto di vite spezzate, speranze frantumate, tanta sofferenza ma un’altrettanta voglia di ricominciare.
Con Silverwood Lake, Simona Binni abbandona la collana Tipitondi, i cui titoli sono destinati ai lettori più piccoli, e opta per un’opera più adulta. In realtà questo nuovo lavoro si offre a una doppia lettura. Da una parte, la Binni sottolinea la chiara volontà di intraprendere un percorso autoriale diverso, sia dal punto di vista narrativo che da quello grafico. Dall’altra c’è una conferma della sua efficace coerenza poetica.
Silverwood Lake è il primo lavoro in cui la Binni si cimenta anche con i colori (digitali) delle tavole, laddove precedentemente quel ruolo era ricoperto da Chiara Cernigliaro e Marcello Iozzoli. La scelta è ricaduta su una colorazione piatta, molto vicina a quella di un Adriane Tomine o un Chris Ware, in grado di generare un’atmosfera con un andamento onirico, sospeso, ipnotico. Il character design che aveva caratterizzato le opere precedenti, fatto di corpi esili e parzialmente stilizzati e teste un po’ più grandi ˗ la cui funzionalità era quella di aumentare l’espressività emotiva dei personaggi ˗ qui si adegua alla storia, attenuando quelle forme volutamente estremizzate e assestandosi su un piano più realistico.
Sul fronte dei contenuti e della narrazione, Silverwood Lake più che rappresentare una frattura nel percorso dell’autrice ne decreta, come si diceva, la granitica coerenza autoriale. Simona Binni sta lentamente costruendo un mondo in cui esplorare tematiche a lei care, declinandole in forme e contenuti differenti a seconda della storia raccontata. Silverwood Lake è un tassello importante di un percorso iniziato con Amina e il vulcano e proseguito con Dammi la mano. Al centro del suo narrare, anche a causa della formazione dell’autrice (laureata in Psicologia dello sviluppo evolutivo) c’è il concetto di “passaggio”, messo in scena in diverse modalità. In Amina e il vulcano si raccontava il passaggio all’adolescenza analizzando il rapporto difficile con gli adulti in una forma chiaramente favolistica con accenni fantasy (incredibile la somiglianza con il film animato di Tomm Moore La canzone del mare – Song of the Sea, che è successivo ad Amina di un circa anno). In Dammi la mano si insinuava nel racconto il disagio sociale. Qui troviamo Jonathan e Maya, due adolescenti che superano le difficoltà delle rispettive famiglie attraverso un’amicizia che travalica tutto e tutti. Anche in questo caso il passaggio all’età adulta rivela una riflessione sulla necessità di un amore sincero in grado di frantumare contesti sociali decisamente difficili.
Silverwood Lake si costituisce come terzo atto di un discorso più ampio. Diego supera il vuoto dell’assenza del padre e il successivo trauma vivendo le tragedie altrui ed entrando nelle vite di altri disperati che, nonostante tutto, non si sono fatti sconfiggere dalla vita e, anzi, scelgono di continuare, di perseverare. Silverwood Lake diventa così un luogo iconico, in cui vita e morte, solitudine e affetto convivono in un vortice emozionale che diventa la fotografia dell’esistenza. Diego entra (fisicamente e metaforicamente) in quel lago emozionale e ne riemerge, sopravvissuto a se stesso e al peso di una vita segnata dall’assenza.
Simona Binni emoziona il lettore tramite il non detto (poche didascalie, pochi i dialoghi), come già aveva fatto in precedenza, ma aggiungendo in questo caso anche un ritmo coinvolgente, ottenuto grazie a continui passaggi tra presente e passato, in un flusso temporale in cui si solidifica il portato emotivo di Silverwood Lake.
Silverwood Lake
di Simona Binni
Tunué, 2016
168 pagine a colori, € 16,90