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Starlight, la Golden Age di Mark Millar e Goran Parlov

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All’uscita del primo numero di Starlight ci siamo esaltati non poco. Il motivo è presto detto: di tanto in tanto Mark Millar ama lasciare in disparte la sua anima più cialtrona e si ricorda di essere uno che le grandi storie è davvero in grado di scriverle. E questa, senza mezzi termini, sembrava una di quelle volte. C’erano Duke McQueen, eroe intergalattico in pensione, la nostalgia per la Golden Age della fantascienza alla Edgar Rice Burroughs, una dolorosa atmosfera dolce-amara a rendere il tutto più autentico e un gigante come Goran Parlov alle matite. Una lista di ingredienti davvero importante, lontana dalle solite spacconate dello scozzese, cha ha portato a una miniserie in grado alla fine di accontentare davvero tutti. C’è addirittura chi la considera la cosa migliore mai scritta da Millar. Da qualche settimana è finalmente arrivata anche nelle librerie italiane e vale la pena soffermarsi su qualche punto per analizzarla in maniera più ragionata.

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Per certi versi non è che ci siano delle enormi novità rispetto al corpus autoriale dello sceneggiatore. Siamo sempre alle prese con un volume che si legge in un soffio, privo di un autentico afflato, con il solito antagonista cattivo oltre ogni ragionevole previsione, ricca di scene d’azione a tutta pagina e con un sacco di personaggi che si esprimono solo per one-liner. Eppure – e qui c’è la prima differenza rispetto al passato – questa volta non c’è l’ombra di tutto quel cinismo che da sempre contraddistingue la produzione più superficiale di Millar. Nelle prime pagine, il protagonista non se la passa benissimo – vedovo, abbandonato dai figli, creduto un bugiardo da chiunque – ma quando risponde al richiamo dell’avventura tutto ricomincia a girare per il meglio. Nonostante gli oltre sessant’anni d’età e il fisico appesantito, scalcia ancora culi come se non ci fosse un domani. Non credo sia un grosso spoiler se vi anticipo che prima di chiudere l’ultima pagina Duke McQueen avrà salvato un miliardo di persone e riconquistato l’amore di tutti quelli che l’avevano allontano nel corso degli anni. Pensate a un Gran Torino di Clint Eastwood dove, al momento in cui si riaccendono le luci in sala, tre quarti della platea non cerca di trattenere a stento le lacrime.

Shea Hennum, critico di Paste Magazine, si può sforzare quanto vuole di vedere nella trama di Starlight un critica all’imposizione della democrazia da parte dell’occidente del mondo a una serie di stati ritenuti meritevoli di questo dono. Il tutto senza per forza di cose tirare in ballo la solita discussione su quanto sia reazionario o meno Millar. In realtà è possibile vederci questa cosa quanto leggerci un richiamo al tredicesimo speciale Halloween dei Simpson. Quello in cui Springfield veniva invasa dagli zombi in seguito all’abolizione delle armi (segmento “Il diritto di possedere e di usare le armi”). La mania di politicizzare tutto spesso assume forme davvero bizzarre, e una di queste è il cercare di vedere un risvolto sociale in un fumetto leggero come Starlight. Un titolo totalmente devoto alla celebrazione di un escapismo trasparente e fine a se stesso, e in questo caso neppure troppo radicato nello spirito del proprio tempo. Perché la nostalgia, si sa, vale solo se ci sono in ballo gli anni Ottanta.

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Ed è più o meno a questo punto che entra in ballo Parlov, uno cresciuto tra gli eroi rocciosi di Bonelli e Marvel Max, qui in una forma tanto smagliante da prendersi tutto il palcoscenico e relegare, per la prima volta, la superstar Millar al mero ruolo di supporto. Così, mentre lo scozzese si balocca con l’apologia dell’evasione dei bei tempi andati, il disegnatore – in strettissima collaborazione con il colorista Ive Svorcina, anche lui a livelli qualitativi stellari – si prende sulle spalle tutta la grandiosità, l’umorismo e l’apporto emotivo di una storia che altrimenti sarebbe rimasta una fra le tante. E ci riesce senza rinunciare a un grammo di eleganza e personalità. Non a tutti riesce di citare Moebius senza limitarsi a scimmiottarlo in maniera grottesca. Ad ancora meno disegnatori risulta facile inserire in tale contesto un eroe indiscutibilmente americano, uno di quelli che paiono scolpiti in qualche abete secolare della Sierra Nevada, in maniera credibile. Il tutto in un contesto tanto leggero da non poter rinunciare a piccoli tocchi di umorismo, come gli occhi a puntino alla Hergé che fanno capolino nei momenti più sottilmente comici.

E non si tratta di semplice maniera. Parlov prende un’estetica di stampo classico e la rende moderna semplicemente asciugando i tratti e stilizzando il più possibile (ne è un esempio chiarissimo il volto e la muscolatura del protagonista). A questo si aggiunge una gestione del colore piatta e squillante, tanto diversa da quelle a cui siamo abituati da sembrarci la cosa più moderna del mondo. Nonostante si trattino in maniera chiara di soluzioni piuttosto vintage. Era successa la stessa cosa con Hawkeye di Marvel Comics. Nella tavola rotonda tra coloristi organizzata da Andrea Fiamma, il colorista della serie dedicata all’arciere Marvel ci teneva a mettere in chiaro quanto poco di nuovo ci fosse in quelle tecniche. Eppure la percezione da parte di noi lettori fu tutt’altro che tiepida o annoiata.

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A ulteriore dimostrazione della grandezza dell’apparato grafico di Starlight, abbiamo il fatto che Mark Millar decida di aprire il volume con una sequenza di dolorosa vita quotidiana e di chiuderlo con una sigaretta fumata in solitudine, sotto un cielo stellato. Un piccolo rito che si consuma anche nel momento della decisione più difficile della vita del protagonista. Sono frangenti di intimismo spicciolo, difficilissimi da scrivere senza il rischio di cadere del didascalico o nel banale. E infatti non sono così presenti in tutte le altre opere dello sceneggiatore, ben consapevole di non essere in grado di gestirle in maniera degna. Provate a ripensare alla conclusione di Wanted, per capire piuttosto a che bassezze sia riuscito ad arrivare. Frammenti di vita impossibili da rendere se non si ha a disposizione un disegnatore in grado di cambiare repentinamente tono senza stonare con tutto il resto del volume, garantendo una recitazione dei personaggi credibile e intellegibile. Perché un conto è disegnare astronavi, risse, cattivi muniti di elmi bizzarri o mostri di vario genere, un altro è rendere i pensieri di un uomo tangibili senza ricorrere a didascalie o balloon.

Parlov ci è riuscito benissimo, dimostrando di essere il punto forza di questa serie. Ben lontano dalla fretta sciapa e criminale con cui lo sceneggiatore tende a esaurire le proprie idee – il terzo atto è da bocciatura immediata per quanto è insipido e mal progettato – si prende spazi e tempi per raccontarci un mondo che con ogni possibilità non ci lascerà nulla. Ma che per il tempo di una rapida lettura saprà garantirci davvero una vacanza dalla nostra realtà quotidiana. Come se i Duke McQueen richiamati all’avventura fossimo un poco anche noi.

Starlight
di Mark Millar e Goran Parlov

Panini Comics, 2016
168 pagine a colori, € 18,00

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