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Tra Liberty Meadows e la censura: intervista a Frank Cho

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«Ero giovane e pieno di sperma» è forse il migliore dei modi in cui si riassume Frank Cho nel volume a lui dedicato della collana Modern Masters. La sua opera più famosa, la striscia Liberty Meadows con protagonista Brandy – psicologa in un santuario di animali parlanti –, Frank il veterinaio e i suoi pazienti (il maiale Dean, la rana toro Leslie, l’orso nano Ralph), ne è una prova.

E se il miscuglio di citazioni alla cultura americana (trasversali, dalla politica alla televisione, dal cinema ai cartoni), battute rancide come il latte avariato, nudità e bei disegni non sono abbastanza per comprovarlo, le successive Shanna the She Devil e i suoi lavori in Marvel, DC e Image sono dimostrazioni di un’unica tesi: per Frank Cho il fumetto è un gesto istintivo, visivo, puro. Quei pochi dubbi che avevamo in proposito li ha fugati lui stesso durante la scorsa Lucca Comics and Games, dove lo abbiamo incontrato in occasione della riedizione di Liberty Meadows proposta da saldaPress.

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Liberty Meadows è figlio diretto delle tue esperienze giovanili come fumettista per giornali locali o universitari, con le strisce Everything but the Kitchen Sink e University2. Che rapporto hai con queste due opere?

Quando realizzai University2 volevo solo essere divertente, poi però continui a scrivere e disegnare e pensi «Oh, potrei farlo meglio». Così, quando lasciai il Prince George Community College e mi trasferii nel Maryland, Everything but the Kitchen Sink diventò University2. È un po’ come il computer, ogni generazione migliora in qualcosa ed è successo lo stesso con me. Iniziai con Everything but the Kitchen Sink, passai alla nuova generazione con University2 e poi alla terza con Liberty Meadows, continuando ad aggiornarlo, per così dire.

Di Liberty Meadows ho sempre trovato interessante il tuo metterti in primo piano parlando apertamente delle censure che subivi. Una volta arrivasti a sostituire la striscia con delle puntate inventate di The Family Circus.

Non mi piace darmi dei limiti o cadere in certe abitudini delle strisce. Ogni tanto bisogna sperimentare, rompere il quarto muro. Rivolgersi al pubblico in maniera diretta. Nacque da lì, oltre a essere una delle conseguenze del fatto che venivo continuamente censurato e dovevo trovare un modo per aggirare i veti. Allo stesso tempo, spiegare perché certe cose venivano censurate è divertente, a causa dell’assurdità e del surrealismo della censura. Da cui l’idea di Monkey Boy che rompe la quarta parete.

Vieni criticato per i tuoi disegni, tacciati di sessismo, di essere oggetto costante dello sguardo maschile. Capisco i motivi sottesi a queste critiche però anche i personaggi maschili hanno loro volta corpi perfetti, proprio perché sono supereroi.

Sì, ci sono questi esemplari di mascolinità perfetta. Sono virili, sono perfetti, sono come Apollo. Ma è perché sono supereroi, chi se ne frega. È una cosa stupida, sono due pesi e due misure.

Le leggi le recensioni dei tuoi lavori?

A volte. Siamo tutti umani. Ma sulla lunga distanza non è che importi molto. Il mio scopo ultimo è intrattenere me stesso e pubblicare le migliori storie possibili. Conta solo quanto mi fanno divertire come autore.

Pensi che siti come The Mary Sue abbiano la loro parte di ragione nel criticarti?

Sono di vedute molto ristrette. Voglio dire, i fumetti sono un campo così vasto e ampio che c’è spazio per tutti i generi. I critici che parlano male di un certo tipo di fumetti o di un trend sono una cosa assurda. Perché? È pura censura. Se non ti piace, non lo leggere, non lo comprare e prendi quell’energia, quella foga nel criticare, per farti dei fumetti tuoi. Fai dei fumetti che vorresti vedere, è questo che dico alla gente. Se non vi piace, non compratelo, non guardatelo e fatevene uno voi. Ma sai come sono le persone, è così che sono fatti i critici, non hanno le abilità per fare quello che vorrebbero e non resta loro nient’altro che criticare il lavoro degli altri.

E non li stai trollando ogni volta che posti una tua copertina customizzata in cui disegni variazioni della stessa battuta?

No, quello è divertimento. È soltanto divertimento. Divertimento e soldi. Voglio dire, la gente mi chiede di continuo di farle e mi paga delle cifre molto buone per cui, perché no? Per certi versi si tratta di affari, ma per altri è davvero solo una scusa per disegnare cose che mi piacciono. Di quello che pensa Mary Sue non mi interessa. Non sono così importanti.

Ma si fanno sentire.

Si fanno sentire molto bene. Il fatto è che più si arrabbiano più rendono popolare quella cosa, capisci che intendo? Ed è un aspetto interessante. Io sono per la libertà. Fa’ quello che vuoi, finché non uccidi o ferisci nessuno, è solo un fumetto. Puoi farci quello che ti pare. Ma quando subentra una forza esterna, che cerca di imporre quello che puoi o non puoi disegnare, penso che diventi un modello di business creativo profondamente sbagliato. Capisco il loro obiettivo di livellare le differenze e portare uguaglianza nella rappresentazione, ma lo affrontano in maniera sbagliata, inimicandosi le persone sbagliate, facendo arrabbiare gli alleati. Mi considero una persona abbastanza liberale e sono per la parità di diritti per tutti, ma il loro attaccarmi non aiuta la situazione. Davvero, siamo nella stessa squadra, non capiscono che giochiamo nello stesso gruppo ed è frustante, anche triste, che ci siano persone lì fuori chiuse nella loro limitata visione in bianco e nero delle cose. La loro versione di un mondo perfetto è quella in cui opprimono altre persone.

Dicevi la stessa cosa al panel di Lucca L’arte delle copertine, in cui hai parlato della tua esperienza su Wonder Woman. Nella stessa sede hai accennato al fatto che sei al lavoro su una miniserie tutta tua sul personaggio.

Sì, siamo in fase di negoziazione.

Quindi non è proprio sicuro?

Ci siamo quasi, in pratica.

Diciamo sicuro al 99%?

Sì, voglio dire, siamo onesti: è quasi fatta, succederà. Ho un seguito di lettori molti forti ed è una storia che ho già scritto.

Di che parla?

Questo non te lo posso dire, ma non sarà una storia di origini. Odio le storie di origini. In ogni singolo numero di Wonder Woman che prendi in mano c’è una dannata storia di origini in cui non succede niente. Tratterò Wonder Woman come tratto tutti i supereroi: come un supereroe. È senza genere, combatterà i cattivi, ci sarà azione senza sosta dall’inizio alla fine. E tutte le priorità dell’agenda politica femminile non ci saranno. È Wonder Woman, dove c’è un cattivo lei lo combatterà. Ecco tutto. È così che dovrebbe essere un fumetto.

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Mi piace la spavalderia con cui hai detto di avere un grosso seguito di lettori. Quando hai capito di avere questo potere?

Quando ero su Liberty Meadows. Lo stavano eliminando dai giornali e alcuni lettori scrissero per protestare, contribuendo a riportare la striscia sui quotidiani che avevano smesso di pubblicarla. Quindi ho capito molto presto di avere questo seguito di fan fedeli incredibilmente forte. E lo sapevano bene anche in Marvel, quando mi contattarono per lavorare con loro.Shanna the She-Devil dimostrò loro che avevo questa enorme fan base, una fan base molto solida che non sarebbe scomparsa. Anche la DC lo sa. Durante la mia permanenza in Marvel, il mio seguito è cresciuto molto, e ora la DC sa che ho questo enorme gruppo di fan che apprezza il mio lavoro e che mi seguirebbe ovunque.

Ti capita di proporre storie agli editori o ormai lavori su richiesta?

Entrambe le cose. Per le copertine di Wonder Woman mi hanno chiamato loro e poi la cosa non ha funzionato a causa dello scrittore, ma la DC mi rivuole il prima possibile al lavoro su Wonder Woman, non appena lo scrittore se ne sarà andato. Per questo ho già scritto una storia del personaggio pronta da essere disegnata non appena lo sceneggiatore avrà liberato il posto. In generale, dipende tutto da come i progetti si prestano alle mie capacità di disegnatore. Ma a questo punto della mia vita voglio scrivere e disegnare cose mie, per questo ho proposto io la storia di Wonder Woman alla DC. A loro è piaciuta molto e mi hanno detto: «D’accordo, non è una storia di origini, è davvero una storia d’azione divertente». E l’hanno accettata subito. O la accetteranno a breve.

Quando ti offrono un progetto, non ti immagini mai soltanto come sceneggiatore?

Ci ho provato ma non ha funzionato. Sono un perfezionista e ho problemi di controllo. Ogni storia che scrivo ha qualcosa di me al suo interno e mi infastidisce se il disegnatore, non importa quanto bravo, non è quello giusto per la storia. A volte ci penso, ma a questo punto voglio solo scrivere e disegnare le mie cose perché sono stanco di lavorare con gli sceneggiatori. Ho delle storie che voglio raccontare e penso visivamente meglio delle gran parte degli scrittori, perché quando scrivo penso alle immagini e il fumetto è un mezzo visivo. Ci sono un sacco di scrittori bravissimi lì fuori, ma sembrano non capire che il fumetto è un mezzo fatto di azioni visive. Mi arrivano certe sceneggiature in cui ci sono sedici pagine di persone in piedi che parlano e io penso: «Questo non è un fumetto!». Dovrebbero tornare a fare quello che avrebbero davvero voluto, ciò diventare sceneggiatori di serie tv drammatiche e abbandonare il settore.

Però non ti senti nemmeno solo un disegnatore?

Ho sempre pensato a me stesso anche come uno scrittore. Fin dagli inizi. Quindi riesco a scrivere personaggi di altri, è solo che non me ne è mai stata data la possibilità in Marvel, anche se all’inizio ero stato assunto come autore unico e alla fine sono riuscito a scrivere e disegnare Shanna the She Devil e Savage Wolverine e in parte anche Il fichissimo Hulk. Senza contare altri lavori su cui non sono stato accreditato. Gli sceneggiatori con cui ho lavorato spesso avevano dei problemi a scrivere le scene d’azione, non riuscivano a capire visivamente come raccontare una storia durante una grande sequenza, quindi dovevo deragliare dalla pagina e in pratica ridisegnare e ripensare il flusso dell’azione. Ne I potenti Vendicatori lo facevo di continuo, aggiungevo delle scene per far scorrere meglio il ritmo. Stessa cosa sull’annual dei Guardiani della Galassia.

Ma ne parlavi con Brian Bendis, lo sceneggiatore di entrambi i fumetti?

No. [ride] Voglio dire, ci ho provato ma dopo un po’ ho rinunciato e l’ho fatto e basta. Un po’ perché è davvero difficile riuscire a parlare con Bendis e un po’ perché è così occupato che penso non gli interessi, si è fidato di me e io ho fatto il mio lavoro. Perché in realtà non ho tolto nessuna delle vignette che aveva sceneggiato. La linea guida della gran parte degli autori è che puoi aggiungere vignette ma non toglierne. È una cosa a cui Jeph Loeb dava grande importanza. Diceva: se vedi qualche scena che puoi migliorare, fallo. Perché io sono un professionista e tu sei un professionista e mi fido del fatto che tu sia un disegnatore migliore di me. Era una cosa che gli stava cuore e io la penso allo stesso modo. Ora che ci penso, lavorare con Loeb fu un’esperienza davvero positiva.

Quindi come ti fa sentire il fatto che adesso i fumetti siano un mezzo in mano agli sceneggiatori?

Credo che i disegnatori siano sceneggiatori migliori degli scrittori, per molti versi. Se guardi un fumetto funziona così: una bella storia non salverà mai dei cattivi disegni, ma dei bei disegni possono salvare una cattiva scrittura. E qual è la differenza tra un romanzo e un fumetto? I disegni. I fumetti sono un mezzo che ha al proprio centro le immagini, per questo i disegnatori saranno sempre più importanti degli scrittori.

Quanto ti ci vuole per finire una pagina?

Due giorni. Un giorno per le matite, uno per le chine. Di media, eh? A volte meno, a volte di più.

Tempo fa dicesti che ti dispiaceva bucare le consegne. Come sei venuto a patti con la mensilità dei fumetti?

Sono un perfezionista, quindi è sempre una questione di «lo vuoi in fretta o lo vuoi bello?». Con me non si possono avere entrambi e, a essere sinceri, alla fine la cosa che conta è che i bei disegni sopravvivono. Non importa delle scadenze. Guarda Brian Bolland su Camelot 3000, la gente lo vede e rimane senza fiato. Ma quello che non sa è che Brian mancò ogni consegna, facendo passare addirittura un anno tra un numero e l’altro. Quando vedi il fumetto, però, la gente non si ricorda del fatto che fosse arrivato in ritardo, solo che è un bel fumetto. Lo so che gli editori li vogliono veloci e… Be’, li vogliono veloci e basta. Ma come disegnatore devi poter mantenere la posizione e dire: «Lo farò il prima possibile ma non sacrificherò la qualità». Pensa ai vecchi disegnatori. Al Milgrom negli anni Ottanta era un valido professionista che sfornava pagine rispettando i tempi e senza mai sgarrare, ma nessuno se lo ricorda granché, perché erano disegni abbastanza mediocri.

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Guardando indietro a Liberty Meadows, cosa vedi? L’hai mai più riletto?

In realtà è da un po’ che non lo leggo. Ho letto l’ultima raccolta un anno fa e sono rimasto sorpreso di quanto fosse buona. Alcune cose mi hanno colpito: sono stato in grado di avere quell’idea e di eseguirla bene. Il mio modo di pensare è cambiato nel tempo e sono passati quasi dieci anni da quando ho pubblicato l’ultimo Liberty Meadows in formato comic book. Ero giovane ed energetico, ora sono più vecchio e riflessivo. All’epoca dicevo «Oh, questo è divertente, ora lo disegno», ora sono più «Oh, questo è diverte, fammici pensare un attimo». Non ho più la stessa energia, non so se sarei in grado di ricatturare quella magia. Più invecchi, più dubbi ti vengono. Quando sei giovane, vuoi solo mettere su carta i tuoi pensieri senza stare a ragionarci.

Pensi che concluderai mai la storia di Liberty Meadows?

Ci sto lavorando. In pratica, la striscia finiva con un cliffhanger e poi si passava alla storia del matrimonio. Tra questi due momenti c’è un centinaio di strisce che vorrei fare per connettere e unire organicamente le storie. La trama a cui sto pensando da un po’ si leggerà più come una soap opera che una striscia da una gag al giorno. Vorrei riuscire a realizzarla nei prossimi due o tre anni e chiuderla definitivamente, ma prima ho un paio di progetti creator-owned che devo completare. Ho piani davvero grossi per Liberty Meadows.

 

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