HomeFocusLoot Crate, le "buste sorpresa" che drogano le vendite

Loot Crate, le “buste sorpresa” che drogano le vendite

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Il modo più facile per spiegare cos’è un Loot Crate è con due parole: il Pasqualone. L’idea è cioè che ogni mese l’acquirente riceva una scatola con dentro un assortimento di prodotti a tema. Il modello di business si chiama subscription box ed è un’idea sfruttata principalmente da marchi di cosmetici e gastronomici, ma si può adoperare anche come strategia di marketing per riunire in un’unica soluzione varie compagnie e attirare consumatori che altrimenti non verrebbero a conoscenza di tale prodotto. Chris Davis e Matthew Arevalo hanno declinato il concetto varando Loot Crate, «il Comic-Con in una scatola», come l’hanno definito loro. Nato nel 2012, Loot Crate ha riunito abbigliamento, collezionismo e merchandising fantasy/sci-fi in un bandolo pop, facendo dei fumetti uno dei suoi pilastri. Non propriamente l’idea del secolo, ma gli editori maggiori (Marvel, DC e Image) hanno colto l’occasione per diffondere i loro fumetti a generici nerd che non avevano mai nemmeno letto un libro.

loot crate

Tutto ha avuto inizio nel 2014, quando il primo numero di Rocket Racoon è stato inserito in un Loot Crate estivo, in previsione dell’uscita nei cinema di Guardiani della Galassia. Diamond – il più grande distributore di fumetti statunitense – ha spedito le copie a Loot Crate su commissione dell’editore e si è riservata il diritto di inserirle nel conto totale delle vendite. Risultato: le 300.000 copie vendute in pre-ordine di Rocket Racoon hanno aperto la vena per collaborazioni sempre più frequenti, arrivando a proporre esclusive come un fumetto di Harley Quinn realizzato dagli stessi autori della serie regolare.

«Le scatole regalo esistono da decenni», ricorda John Jackson Miller a Fumettologica. Oltre a essere sceneggiatore di fumetti, Miller è uno dei principali analisti delle vendite, attività che porta avanti con il suo sito Comichron. «Si usava questo metodo per offrire ai collezionisti scatole attraverso i cataloghi dei grandi magazzini, e la pratica non è diversa dalle “buste sorpresa”. Solo che ora le scatole sono più curate, selezionate e organizzate secondo un tema, il che dovrebbe darle un qualche valore aggiunto».

L’accordo stretto con la Marvel si è poi esteso ad altri editori, facendo registrare vendite strabordanti per ogni albo che veniva incluso nelle scatole, con l’unica eccezione della DC Comics, che non si avvale dei servigi della Diamond per quanto riguarda l’accordo con Loot Crate. Grazie a LC, sono iniziate ad apparire anomalie come Orphan Black #1 (IDW Publishing) o Bravest Warriors: Tales from the Holo John #1 (Boom! Studios), finiti entrambi tra i dieci fumetti più venduti del 2015. D’altronde, gli oltre seicentomila abbonati al servizio risultano un bersaglio goloso per le case editrici. È un modo di drogare le vendite come tanti altri, ma a differenza di espedienti come le variant – che costringono le fumetterie ad acquistare più copie di un albo per averle – le copie di Loot Crate finiscono nella mani di potenziali lettori invece che a prendere polvere sugli scaffali.

L’effetto Loot Crate, in cui cadono tutte le collaborazioni con servizi di abbonamento (le varie realtà minori di CollectorCorps, Comic Block, Geek Fuel, Comic Con Box), è un elemento che ha iniziato non soltanto a cambiare ma a distorcere il direct market. Ragionando di getto, sembra di stare a cavillare su dei dettagli. Alla fine, che importa chi sia l’acquirente, l’importante è che i fumetti vengano venduti, magari letti, almeno conosciuti. E se nemmeno quello funziona, il limite ultimo è un bel dato con cui lucidarsi la reputazione, un investimento particolarmente conveniente sull’immagine (il costo vivo è sulla stampa delle copie e nulla più). In realtà, i benefici sono superati dai danni.

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Il fumetto di Harley Quinn in esclusiva per Loot Crate

 

La distorsione affiora quando si guarda l’effettivo ricavo del venduto. Per ogni copia venduta di Secret Wars #2 sono state vendute due copie e mezzo di Bravest Warriors (costano entrambi 4,99 dollari), eppure il distributore ha incassato la stessa cifra, il che vuol dire che Loot Crate ha stretto un accordo con Boom! Studios più vantaggioso di quello che la Marvel ha con i rivenditori.

«Questo significa che anche se la fetta di mercato occupata da Boom si sta ampliando in termini di quantità, i margini di profitto non sono direttamente proporzionali. Non solo, non c’è nemmeno un dato quantificabile su quanti lettori casuali si sono convertiti in acquirenti dopo aver trovato il fumetto nel Loot Crate», scrive Comics Beat. Più perentoria l’opinione di Miller: «Per gli editori, tutto questo non ha niente a che fare con le vendite. Non guadagnano quasi nulla sui fumetti venduti a Loot Crate, è pura promozione».

Nei mesi successivi all’uscita dei loro numeri uno, Rocket Racoon, Orphan Black e Bravest Warriors sono tornati ai rispettivi livelli fisiologici di distribuzione. Non c’è un progetto strutturato per instradare i neofiti a diventare lettori fissi, indicando loro dove/come/quando si possano acquistare i fumetti, magari attraverso diversivi dall’alto production value (Cameron Stewart ha realizzato un minifumetto per spiegare ai nuovi fan come acquistare Batgirl, ma nessuno ha mai pensato di inserire una cosa del genere nei Loot Crate). Gli effetti sul mercato sono, per ora, non pervenuti: «Ci sono ancora troppi pochi casi per verificare gli effetti a lungo termine» dice Miller. «Senza contare che un titolo come Orphan Black subirà delle fluttuazioni nella popolarità in base alla serie tv. Credo che a livello mensile costituisca un piccolo incentivo, ma è probabile che gli effetti si vedranno sulle vendite delle raccolte».

Inoltre, da oltre un anno le classifiche non riportano più i dati di Loot Crate (o delle altre subscription box, se mai erano state incluse nel computo), perché Diamond ha smesso di fornire le copie alla compagnia. Bravest Warriors #1 è stato l’ultimo fumetto di cui si conoscono i numeri di vendita. «È stata una decisione logistica», spiega Miller. «Ma sono certo che alcuni editori non fossero contenti della piega che stava prendendo l’operazione, e io stesso sono stato critico. Era una peculiarità del sistema il fatto che venissero incluse, ed è un bene che non sia più così. Sarebbe come includere i fumetti omaggio che danno alle convention».

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