La mia vita in barca è un manga sulla pesca, ma non soltanto. Racconta le giornate di un uomo su una piccola barchetta, sul corso di un fiume giapponese, ed è ben lontano dall’idea di manga incentrato sullo sport. Da La mia vita in barca non ci si potrebbe trarre un cartone animato di quelli che rimangono impressi nell’immaginario comune per generazioni, come Sampei, per citare il più popolare tra i fumetti di pesca; sarebbe piuttosto adatto per un film d’autore (e una parte la lascerei senza dubbio anche a Takeshi Kitano, che con la sua smorfia storta starebbe benissimo lì a fissare il fiume, come fa il protagonista del libro).
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Per avvicinarsi a La mia vita in barca conviene innanzitutto comprendere e aver ben presente una caratteristica del mondo del fumetto giapponese, che vale spesso la pena ripetere. Ci sono manga per ogni aspetto della vita. Ma anche per ogni età, e con protagonisti uomini di ogni età; dunque vengono prodotti anche manga che hanno per protagonista un signore che si affaccia all’età anziana, che ha un bel po’ di tempo libero e decide di usarlo per starsene in solitudine su una barchetta.
Ciò si fa molto più interessante se questo ometto è in realtà uno dei personaggi che hanno contribuito a una vera e propria rivoluzione silenziosa dei manga. Tadao Tsuge (classe 1941) faceva parte infatti del gruppo di autori che dalla fine degli anni Sessanta hanno animato il movimento del Gekiga (“immagini drammatiche”), producendo storie a fumetti dal taglio maturo, sperimentale e introspettivo. Insieme a lui, tra gli altri il fratello Yoshiharu, il raffinato Seiichi Hayashi e i capostipiti Yoshihiro Tatsumi e Masahiko Matsumoto, pubblicavano sulle pagine del magazine Garo.
La mia vita in barca arriva dopo quei tempi giovanili; è un’opera in due volumi, realizzata a puntate dal 1997 al 2001 sulla rivista Comic Tsuri Tsuri. Tadao Tsuge, oltre che fumettista è scrittore, e in quegli anni sta lavorando per una rivista di pesca, scrivendo racconti incentrati sulla vita del pescatore. Sta iniziando la stesura di un romanzo a puntate per il magazine e la stessa cosa si vede fare al protagonista di La mia vita in barca, chiaramente un alter ego dell’autore stesso. Questo è l’incipit di un volume autobiografico, che mostra l’autore come un uomo anziano, stanco, alle prese con la quotidianità familiare e a un mondo odierno che ormai non lo interessa più. A ciò evade rifugiandosi in se stesso: acquista una barchetta e si mette in testa di passarci un po’ di tempo (proprio nel senso di dormire e mangiarci sopra) per pescare e scrivere, trasportato dal fiume Tama. La famiglia reagisce con scetticismo alla scelta di Tadao, e questo non fa che convincere l’uomo della bontà della sua scelta. Da lì hanno una serie di escursioni in barca, lungo il fiume, non una uscita e via, ma proprio qualche per giorno.
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Ogni uscita sul fiume di Tsuda è occasione di evasione dalla realtà, per il protagonista e per il lettore, spinti dal lucido disagio ormai vano di un uomo travagliato e in cerca di una pace che forse lui stesso conosce per inafferrabile. Le fughe di Tsuda si manifestano ogni volta in maniera diversa, quando come “viaggi” mentali indotti dal delirio di dolore per aver mangiato un cibo avariato, quando in preda ai ricordi, o sulle tracce dei racconti di personaggi incontrati casualmente. Tornare a casa, passare la soglia del negozio di jeans di famiglia, vuol dire ricadere nella realtà più banale. Sono espedienti narrativi tutto sommato semplici quelli che servono a Tsuge per riflettere su ciò che col proseguire delle pagine acquista i tratti, per il protagonista, della depressione. Facendo muovere la figura di un uomo maturo e sempre alla soglia dell’inedia e della passività all’interno della cornice e dei propositi di un manga “sportivo”, Tsuge ribalta i canoni del genere. Se i manga sportivi sono caratterizzati da una costante esaltazione del senso di determinazione e di rivalsa (quel sentimento ormai innato nei giapponesi, che nel contemporaneo ha origini dalla rinascita conseguente alla sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale), tra le pagine di La mia vita in barca c’è tutt’altro. Semmai, qui si trova senso di abbandono, rappresentato dalla barchetta spoglia, spinta a malapena da un misero remo rinsecchito: simbolo più una vita trascinati dalla corrente, anziché vissuta con sportiva determinazione.
Tsuge scrive un manga contemplativo, riflessivo. Il suo protagonista è molto spesso ritratto di spalle, intento a osservare in silenzio di un paesaggio spoglio o a riflettere sulla propria vita, con malinconia e disincanto. Tsuge scrive misurando le parole; i suoi personaggi si esprimono con grande semplicità del lessico, ritratti con un segno sottile, netto e minimale, su sfondi di un bianco e nero composto da tratteggi e pochi poche variazioni di mezza tinta.
La mia vita in barca è un’opera da consigliare a un pubblico adulto. La mia vita in barca suscita riflessioni e stati d’animo intensi, estremamente radicati nel reale; spinge a confrontarsi col passato, sia esso un lungo percorso di una vita prossima al tramonto, o sia ancora un concetto non del tutto consumato e vissuto.
La mia vita in barca
di Tadao Tsuge
Coconino Press, 2016
323 pagine, b&n – 20€