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8 storie per conoscere meglio Luke Cage

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Dopo il debutto nella serie tv Jessica Jones, Luke Cage ritorna sul piccolo (e piccolissimo, se lo guardate sul cellulare) schermo come protagonista di uno show tutto suo, che esordirà su Netflix il 30 settembre.

Abbiamo quindi pensato di riepilogare le tappe principali e le storie migliori della sua carriera fumettistica, a beneficio di chi la conoscesse poco.

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1. “Un eroe a pagamento!”, di Archie Goodwin e George Tuska (Luke Cage, Hero for Hire #1, in Italia su Super-Eroi: Le grandi saghe n. 22, RCS)

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Luke Cage nasce nel 1972 per mano di Archie Goodwin e John Romita Senior, che ne concepisce il design, e George Tuska, matitista del primo numero di Luke Cage, Hero for Hire, nel tentativo di sfruttare la scia dei film di blaxpoitation. Le origini del personaggio sono facilmente riassumibili: con la promessa di uno sconto di pena, il galeotto Lucas si offre volontario per un esperimento medico che gli dona accidentalmente una pelle invulnerabile e una forza sovraumana. Due storie successive hanno ampliato gli orizzonti narrativi del suo retroterra. In Cage #3 del 1992 si faceva luce sull’infanzia di Luke (il padre era un ex-poliziotto), mentre in Avengers Origin: Luke Cage il suo passato da criminale veniva edulcorato per renderlo un personaggio più eroico.

Come afferma Tonio Troiani, negli ultimi anni le direttive politiche della Marvel sono quelle di sfrondare la narrazione permettendo un accesso facilitato e «interpretando il mito originario attraverso la focalizzazione su minoranze etniche e sociali: non più un eroe w.a.s.p., ma un pantheon supereroistico vario, multietnico e ammiccante anche al proliferare di discorsi gender. La folgorante intuizione di Stan Lee amplificata sino all’eccesso: tutti possono e devono immedesimarsi con un prodotto di massa». Eppure, la casa editrice non è nuova alle ibridazioni nel suo corpus di personaggi. Essendo il primo personaggio afroamericano titolare di una serie Marvel, Luke Cage è uno dei personaggi neri che porta con sé istanze di diversità e narrazioni connotate culturalmente. Il gergo che adopera nei primi anni lo stacca dal parlare degli altri eroi, dando via anche a incomprensioni linguistiche. Racconta Sean Howe: «In un articolo pubblicato su Luke Cage, Hero for Hire n. 8, Steve Englehart disse che il disegnatore George Tuska lo convinse con l’inganno a riferirsi a Luke come a uno “schvartze”. Englehart non sapeva che schvartze è un termine dispregiativo yiddish per le persone di colore. Tre numeri più tardi venne pubblicato un goffo messaggio di scuse. “Cosa vi posso dire?” scrisse Englehart. “Sono dell’Indiana”.»

2. “Fredom!”, di Chris Claremont e John Byrne (Power Man & Iron Fist #50, in Italia su Marvel Omnibus: Power Man & Iron Fist)

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Alla fine degli anni Settanta, il genere di origine di Cage inizia ad andare fuori moda, insieme alla mania per le arti marziali, incarnate alla perfezione dal misticheggiante Iron Fist. I capoccia pensano bene di salvare entrambe le serie unendole. I magheggi con titoli e numeri sono un grande classico dei fumetti supereroistici, ecco quindi che dopo il quarantanovesimo numero di Power Man esce Power Man & Iron Fist #50, il primo numero di un team-up destinato a diventare uno dei più stretti sodalizi in casa Marvel. La storia di PW&IF #50 prende le mosse dalla festa per il ritorno in libertà di Cage, interrotta bruscamente da Stiletto e Discus, storici nemici dell’eroe, a cui farà seguito la nascita del bromance tra Cage e Danny Rand.

A realizzare l’albo, Chris Claremont e John Byrne, già artefici della serie di Iron Fist. Su queste pagine debutterà anche il gruppo Heroes for Hire, futuro brand di diverse collane. Il team-up andrà avanti fino al numero 125, con la controversa morte di Iron Fist, scritta da Christopher Priest (che all’epoca si firmava ancora con il suo vero nome, James Owsley).

3. “Alias: Identità segrete”, di Brian Michael Bendis e Michael Gaydos (Alias #1-5, in Italia su Marvel Omnibus: Alias e Jessica Jones: Alias vol. 1, Panini Comics)

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La morte di Iron Fist segna un grosso stop anche per Cage, che privato del suo compare e delle sue atmosfere anni Settanta, si trova sperduto in un panorama editoriale che non lo riconosce come legittimo partecipante delle narrazioni Marvel. Lunghi saranno i suoi travagli: qualche nuovo debutto (Cage, una serie tutta sua di cui in Italia è stato pubblicato soltanto il primo numero, su All American Comics n. 50, Heroes for Hire, vista da noi su L’Uomo Ragno Deluxe), qualche comparsata su Amazing Spider-Man, tutto dimenticabile. Il destino di Cage sembra segnato per sempre.

Poi, agli inizi del nuovo secolo, la Marvel di Bill Jemas e Joe Quesada tenta nuovi approcci ai supereroi, in particolare ingaggiando autori provenienti dal fumetto indipendente. Tra questi c’era Brian Michael Bendis, che dà vita a Jessica Jones, una detective dall’aspetto piuttosto ordinario con un passato da supereroina e una certa attitudine all’alcolismo e alle imprecazioni. La rinascita editoriale di Luke Cage inizia qui. Nel primo numero di Alias Jessica finisce a letto con Cage, innescando la scintilla per una lunga gestione di eventi che traghetteranno Power Man nella fascia alta dell’universo Marvel.

4. “Cage”, di Brian Azzarello e Richard Corben (Cage #1-5, in Italia su Max Best Sellers: Cage, Panini Comics)

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La linea MAX sembrava la casa ideale per un Luke Cage che voleva reinventarsi per gli anni Duemila. D’altronde, essendo testimone del suo presente, Cage sarebbe potuto passare dalla blaxpoitation al rap in zero punto tre secondi. Cage di Brian Azzarello e Richard Corben è l’unico tentativo a proposito, purtroppo Azzarello maneggia un immaginario che non gli è congeniale e Corben gli va dietro puntando al minimo comun denominatore visivo, con tirapugni, denti d’oro, spogliarelliste e felpe col cappuccio. Il Daily Dot lo descrive come «il tentativo di mischiare Get Rich Or Die Tryin’ con Hero for Hire, solo che il team creativo è composto da due uomini bianchi di mezza età che rendono l’operazione inautentica e imbarazzante». Ciononostante, rappresenta un what if editoriale su cosa sarebbe potuto diventare Luke Cage se Brian Bendis non l’avesse preso sotto la sua ala.

5. “Nuovi Vendicatori: Evasione”, di Brian Michael Bendis e David Finch (New Avengers #1-6, in Italia su Marvel Best: Nuovi Vendicatori vol. 1, Panini Comics)

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Proprio Bendis all’inizio degli anni Duemila ottenne le chiavi del regno (che all’epoca erano più le chiavi della casa a Fano che non arieggiano mai): i Vendicatori. L’autore distrusse e ricostruì il gruppo, dando vita ai Nuovi Vendicatori. L’arrivo di Bendis non venne ben accolto. Lo scrittore scelse di aggiungere ai Vendicatori supereroi di peso come Wolverine e Spider-Man che avrebbero fatto aumentare le vendite ma che però poco avevano a che spartire con gli Avengers. Bendis bilanciò la formula con acquisti d’annata come Spider-Woman e Luke Cage, per l’appunto. L’editore Dan Buckley si lamentò a lungo delle scelte per la nuova formazione: «Io gli chiesi se potevo avere Luke Cage e Spider-Woman», ha raccontato lo sceneggiatore a CBR. «E lui disse “Ma avevi detto Wolverine e Spider-Man!”, io feci: “Sì, sì, anche loro”, e lui rispose “Basta che metti Wolverine e Spider-Man, poi puoi mettere chi ti pare”».

Giocando a fare il Tarantino dei fumetti, Bendis prese personalità un tempo di spicco (o mai state di spicco) dando loro il lustro che si meritavano, puntando su scelte poco commerciali ma essenziali alla creazione di nuove dinamiche di gruppo: «Luke Cage è un grande personaggio, purché sia scritto in maniera realistica. Non volevo portare sulla pagina una versione anacronistica, ferma agli anni Settanta, del personaggio». Coadiuvato dalla matita ultrapatinata di Dave Finch, Bendis introdusse un Luke Cage family man che si sarebbe trovato suo malgrado a guidare la squadra nei momenti in cui le certezze degli eroi sarebbero venute meno.

6. “Alias: Porpora”, di Brian Michael Bendis, Michael Gaydos, Mark Bagley e Rick Mays (Alias #24-28, in Italia su Marvel Omnibus: Alias Jessica Jones: Alias vol. 4, Panini Comics)

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Sul finire della testata Alias, Bendis assestò la stoccata finale alla relazione tra Luke e Jessica, dato che quest’ultima rimase incinta. Jessica tornò in azione pochi mesi dopo su The Pulse, serie più mainstream ambientata all’interno della redazione del Daily Bugle, il quotidiano diretto da J. Jonah Jameson, nella quale lavorava come fotografo anche Peter Parker. Volendo sfruttare la popolarità dei supereroi, Jameson diede vita a un supplemento settimanale a loro dedicato, dallo stesso titolo della serie, e chiese a Jessica di fare da “consulente” esterna sull’argomento.

Pian piano la serie diventò sempre più incentrata sulle vicende personali di Jessica e Luke, e l’apice fu raggiunto con la saga in tre parti Paura, che mostrò l’evoluzione della loro relazione e la nascita della loro figlia (poi chiamata Danielle), dopo numerose tribolazioni in pieno stile Marvel. L’ultimo numero di The Pulse, poi, raccontando l’incontro tra una giovane Jessica e un altrettanto giovane Luke, catapultava di nuovo in avanti il percorso di vita dei due, con Cage che chiedeva all’amata di sposarlo.

7. “Nuovi Vendicatori: Lo chiamavano… l’Adattoide”, di Brian Michael Bendis e Oliver Coipel (New Avengers Annual #1, in Italia su Thor & I Nuovi Vendicatori n. 97, Panini Comics)

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Dopo la nascita della figlia Danielle, Jessica accettò la proposta di matrimonio di Luke Cage e lo seguì nei (Nuovi) Vendicatori, anche se non come membro attivo. La storia del loro matrimonio fu in classico stile Marvel: una lunga scazzottata con il nemico di turno, in questo caso una versione aggiornata dell’Adattoide, e poi spazio alla cerimonia, in cui Jessica non rinunciò a essere Jessica, interrompendo il celebrante – un sosia di Stan Lee – per imporre il proprio punto di vista cinico e disincantato (ma in fondo emozionato) alla situazione.

8. “Nuovi Vendicatori: Finale/Possessione”, di Brian Michael Bendis, Bryan Hitch e Stuart Immonen (New Avengers Finale/New Avengers vol. 2 #1-6, in Italia su Thor nn. 143-148)

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La linea di passaggio tra la fine della prima serie di New Avengers e l’inizio della seconda è particolarmente importante per Cage. Il finale della testata chiude anni di storie e fa il punto della situazione con un lungo monologo in cui la voce di Luke spicca per intensità emotiva. Accusato di far parlare tutti i personaggi allo stesso modo, con botta e risposta che sbiadiscono il tessuto lessicale dei singoli, Bendis caratterizza la voce narrante di Cage con una concretezza che ben si addice al suo spirito (con continui riferimenti alle sfera materiale e costruzioni non troppo sofisticate). Grandi splash page dei momenti migliori della serie accompagnano le considerazioni di un uomo che ha visto – anche editorialmente – alti vertiginosi e bassi profondissimi e che ora è pronto per una nuova era. Il numero successivo si apre infatti con L’età degli eroi, nuovo status quo in cui Cage è a capo di una nuova formazione dei New Avengers: Stark gli vende per un dollaro la sua torre e al Nostro è affidato il compito di gestire un distaccamento vendicativo tutto suo. In mezzo ci stanno ovviamente delle grandi botte da orbi disegnate da Stuart Immonen, in quella che è uno degli ultimi racconti memorabile di Luke Cage.

Forse, la storia più interessante di Luke Cage è quella che dobbiamo ancora leggere. Dopo nove anni di attesa, l’animatore Genndy Tartakovsky (Il laboratorio di Dexter, Samurai Jack) ha concluso Cage, una miniserie che recupera – anche esteticamente – le atmosfere anni Settanta. In ogni caso, visto l’esordio su Netflix, c’è da immaginare che le iniziative a suo nome nei prossimi mesi aumenteranno.

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