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“Gringo” di Osamu Tezuka: il Giappone tra thriller e satira

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Gringo è l’ultima opera di Osamu Tezuka. Una delle ultime, per l’esattezza, visto quanto il Dio del manga riuscisse a essere prolifico e attivo su più serie e storie allo stesso tempo. Pubblicato tra il 1987 e il 1989, Gringo rimase sì incompiuto, ma non del tutto.

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Il protagonista è un giapponese che per lavoro si trova a vivere in paesi (di finzione) del Sud America, un “gringo”, così come sono chiamati gli stranieri in America Latina. Hitoshi Himoto è un dirigente d’azienda; è un ometto piccolo ma estremamente tenace, essendo un ex lottatore di sumo. L’azienda Edo per cui lavora è una corporazione moderna che lavora, anche con mezzi spietati, in ogni parte del mondo.

Himoto si ritrova, suo malgrado, a vivere da straniero in un paese estremamente pericoloso e ostile, dopo essersi scontrato anche con le insidie poste dalla stessa compagnia per cui lavorava. È malvoluto da chiunque, dagli abitanti del posto e dai sottoposti dell’azienda; è deriso per le sue fattezze, ma temuto per la sua posizione; sinceramente rispettato da pochi e adulato con falsità solo da chi trova in lui una possibile fonte di guadagno. Presto si ritroverà pertanto solo, ma spinto ad andare avanti da una forza interiore irrefrenabile.

Hitoshi Himoto in originale è scritto 日本 人, con gli ideogrammi di Giappone (日本) e uomo (人). Dunque, Tezuka suggerisce molto chiaramente che il suo protagonista è l’emblema del Giappone stesso. Il modo in cui viene trattato e visto dagli altri è il modo in cui per decenni, nel Dopoguerra, è stato trattato e visto il Giappone dal resto del mondo.gringo tezuka manga hikariCon la figura del protagonista e della sua azienda (che non a caso si chiama semplicemente Edo, antico nome di Tokyo, quindi simbolo del Giappone stesso) Tezuka ragiona attorno al ruolo del Paese del Sol Levante nel mondo, un tema da sempre complesso e controverso. Il Giappone si aprì al commercio e alle culture estere solo dopo il 1868 con l’evento chiamato Restaurazione Meiji. Sin da allora, è comunque rimasto vivo un condiviso sentimento di isolazionismo da parte della popolazione nipponica. Tezuka fa leva su di esso, usandolo sia come motivo di riflessione che di dileggio e satira.

La fine degli anni Ottanta è ancora periodo di pieno boom economico, la coda di una bolla che per il Giappone sarebbe presto scoppiata, lasciandolo in una crisi strisciante che sembra tuttora non esaurirsi mai. Tezuka racconta l’espansionismo economico giapponese e il capitalismo mondiale, mostrando spietati giochi d’affari che si intrecciano e scendono a patti con politica e corruzione, un po’ come in un romanzo di John le Carré o Tom Clancy. L’autore si concentra sulle contraddizioni della globalizzazione prima ancora che questi diventino, negli anni recenti, veri e propri connotati determinanti di una crisi economica globale.

Da un punto di vista più strettamente umano, inoltre, Tezuka ridicolizza il razzismo più banale basato sul pregiudizio per l’aspetto fisico. Il suo protagonista incarna buona parte degli stereotipi sull’aspetto dei giapponesi; è un uomo tozzo e minuscolo, deriso per la sua fisionomia, ma che dentro nasconde una determinazione inarrestabile.

Himoto viene trattato da gringo, o gaijin, come direbbero i giapponesi, un concetto molto forte nella lingua di un paese per tradizione diffidente nei confronti del mondo esterno. È individuo da temere, disprezzare, tenere a distanza. Ribaltando la diffidenza che il suo paese nutre verso il mondo, e mostrandola come tratto comune di ogni paese, Tezuka critica la percezione deviata dello straniero.

Gringo non è solo satira e critica, narrativamente parlando è anche un thriller. Ma non acquista mai i caratteri del racconto di genere. I protagonisti sono sempre le figure umane e mai la trama fine a sé. Tanto che Tezuka accenna certi intrighi sembrando a volte di non volerli davvero risolvere. Li lascia andare, concentrandosi sul percorso di Himoto e non tanto sugli ostacoli che incontra.

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Dicevamo che si tratta di un’opera incompiuta, ma non del tutto. Tezuka, infatti, compare nelle ultime pagine, giustificandosi per non essere stato in grado di mantenere il ritmo di produzione e quindi di non aver concluso l’opera. Malato, si giustifica ai suoi lettori, parlando – con rassegnato spirito critico – della dedizione dei nipponici verso il lavoro: «Siamo una società che ci spinge a lavorare oltre i nostri limiti, fino a morirne, per non esserne irrimediabilmente esclusi». Poi al protagonista di Gringo dice: «Tu sei come me, un tipico giapponese».

Quello di Gringo è un Tezuka definitivo, per come riesce a costruire una storia sempre in bilico tra finzione e realtà, trascendendo il vero, senza nemmeno ne tradirne i contorni. Le sue regole e i suoi dettami creativi sono sempre stati chiari. Il manga è intrattenimento, è sempre commedia, e anche quando racconta drammi deve saper far sorridere. Ci riesce anche in Gringo, e il realismo non è mai eccessivo o didascalico nei confronti del vissuto o del contemporaneo, ma i temi e toni spesso sconfinano in quelli cari agli autori del Gekiga (soprattutto Masahiko Matsumoto o Yoshihito Tatsumi), con i quali anni prima si racconta si fosse trovato in contrasto, sostenendo che mai il manga dovesse eccedere nel dramma realistico.

Eppure Gringo è un epopea drammatica, contemporanea, che concede pochi spiragli alla comicità caratteristica di Tezuka, fatta di parentesi estremamente cartoonesche, che non aveva risparmiato nemmeno La storia dei tre Adolf.

Gringo
di Osamu Tezuka
Hikari / 001 Edizioni, 2016
631 pagine, 24,50€

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