Il numero 10 di Hellboy in Hell segna la fine delle ventennali avventure di Hellboy, il personaggio creator-owned (cioè di cui l’autore detiene anche i diritti) di Mike Mignola, nato quando ancora la mentalità creator-owned nell’industria dei fumetti di genere non era la norma.
La prendo larga. Joe McCulloch, sul Comics Journal, ha accostato l’ultimo numero di Hellboy in Hell a Spawn #10, un’uscita atipica in cui Todd McFarlane disegnava, sui testi di Dave Sim, una storia metanarrativa sui diritti d’autore. Quella storia si concludeva in maniera violenta con la scritta «Spawn e Cerebus sono di proprietà rispettivamente di Todd McFarlane e Dave Sim. PER SEMPRE».
Ecco, Hellboy nasceva in quel periodo, i primi anni Novanta, ed era figlio di una mentalità che, a differenza di quella di Sim, voleva godere dei privilegi dei due mondi, quello popolare dei supereroi (definizione che a Hellboy sta stretta, ma tenetela buona a fini argomentativi) e quello indipendente dei lavori creator-owned. Una sottolineatura così forte da parte di McFarlane suona stonata in un panorama attuale, in cui Mark Millar si foraggia vendendo le sue idee alle major di Hollywood e le questioni fondamentali sembrano perdere d’importanza (il trattamento dei creativi, i riconoscimenti dei meriti, la paternità delle idee). Negli anni, nonostante il relativo successo del franchise, Hellboy è rimasta una cattedrale nel deserto. Fa strano dirlo, dato che l’ultima storia di Hellboy si apre con dei versi di John Donne, tra cui compare il famoso «Nessun uomo è un’isola», però è così. Il Mignolaverse si è espanso con altri progetti ma è isolato, coadiuvato da un gruppo ristretto di artisti, e non segue alcun piano editoriale se non quello che risponde ai bisogni del suo creatore. Questo ha un suo peso nella conclusione delle storie di Hellboy perché la rende personalissima e senza il bisogno di dover accontentare qualcuno, aderire a bisogni commerciali o anche solo avere un senso.
Eravamo rimasti a Hellboy che, morto per salvare l’Inghilterra, finiva all’inferno. L’idea di Mignola per questa serie era quella di risolvere le questioni strettamente pratiche (cioè la trama) nei primi quattro numeri e poi lasciare libero Hellboy di vivere le sue solite bizzarre avventure nella nuova ambientazione. A un certo punto l’autore ha cambiato il piano e ha deciso di mettere la parola fine alle vicende di Hellboy.
La narrazione di Mignola si muove a un ritmo ellittico tanto nella storia, fatta di fugaci dialoghi tra personaggi che raccontano la vicenda di Hellboy (qui silente per tutto il numero), quanto nei disegni. Come Hokusai che ripeteva ogni giorno lo stesso disegno con tre segni sperando che da vecchio lo avrebbe realizzato con un segno solo, Mignola è arrivato a un livello di sintesi atarassico. Ha affinato, ha tolto, si è spogliato, ha perfino abbandonato le matite in due pagine, passando all’acquerello (nel numero 7). Le forme, anche le più complesse, sono rappresentate con un’economicità da manuale. Non è che sia una scoperta, lo stile del Nostro è sempre stato parco di sbavature e poco strutturato nelle trame rispetto agli spin-off come B.P.R.D. (anche grazie alla presenza dello sceneggiatore John Arcudi ma soprattutto del disegnatore Guy Davis), però qui pare davvero oltre ogni preoccupazione terrena.
Non c’è una pagina sbagliata, non c’è un cazzotto male assestato, un’onomatopea di troppo o un’inquadratura ridondante. Prendete la dodicesima pagina. Ci vengono mostrate cinque vignette: Hellboy ha appena sconfitto il suo ultimo nemico, un tonfo annuncia la fine della battaglia, i demoni si affacciano a guardare chi ne è uscito vincitore, Hellboy svetta da una cima, poi li guarda. Dopo la caduta del mostro, Mignola posiziona in una vignetta l’onomatopea ‘boom’ in alto e una nuvola di polvere in basso, così che il nostro sguardo parta dal basso nell’inquadratura successiva, quella in cui due demoni alzano la testa per vedere cos’è successo. L’occhio è obbligato poi a salire, da come Mignola dispone i personaggi, uno in primo piano in basso, uno sullo sfondo in alto. L’autore ci forza a guardare la sequenza in modo che si crei l’illusione che i mostri abbiano davvero compiuto il movimento di alzare la testa.
Lo stesso meccanismo è adottato nel dittico che riempie il resto della tavola, ossia Hellboy che alza la testa sfidando i demoni. La vignetta è composta con linee discendenti che ci riportano in alto nell’inquadratura successiva, dando di nuovo l’impressione che Hellboy abbia alzato il collo proprio nel momento in cui lo stavamo guardando. A questo si aggiunge il lavoro del colorista Dave Stewart, che toglie tutto il rosso precedentemente spanto sulle tavole (molte delle quali tenute insieme dai contrasti dei complementari rosso-verde) per lasciare due punti di luce verso cui dirottare le attenzioni. Hellboy ha sconfitto l’inferno e dove c’è lui non può più esserci il fuoco carminio del Cocito. Da lì in poi il viaggio si spegne, la pelle stessa di Hellboy perde di cromatismo e un unico, ultimo, pannello di rosso segnala la saldatura finale. Le ultime pagine, come nel cerchio rigeneratore di 2001: Odissea nella spazio, sono aperte all’interpretazione.
Sotto la scorza pulp, il tema predominante dei fumetti di Hellboy è quello del libero arbitrio. Un tema parossistico che si manifestava anche nel più breve dei racconti. Basti citare Pancake, forse la sua migliore storia, in cui Hellboy bambino veniva sedotto dagli umani grazie a un piatto di frittelle. In quel racconto, Mignola era stato chiaro: il pancake è la mela che conduce l’eroe fuori dal suo Paradiso, innescando un libero arbitrio indotto che qui, nelle ultime pagine di vita dell’eroe, trovano soddisfazione.
Mignola ha reso l’inferno una landa zeppa di luoghi letterari, di bassezza pulp. Quello che di solito immaginiamo come un posto connotato religiosamente diventa un catalogo di mostri e demoni. Ci sono tutti i suoi vezzi, i riferimenti folkloristici e letterari e le sue ossessioni. Le rovine, le architetture, i luoghi vuoti e abbandonati. Questo grande eterno senso di solitudine che si chiude su se stesso è uno dei segni iconografici di Hellboy. E nella sua ultima – per ora – apparizione Hellboy svuota l’inferno finendo a vagare per l’ennesima wasteland. Per tutta la storia il protagonista non parla, è affaticato dalla lotta e riprende un po’ i sentimenti di Mignola, che con le parole ha sempre stentato e che magari non ne può più di tornare sempre sugli stessi motivi. D’altronde la parabola di Hellboy è connotata da uno spirito autobiografico: entrambi hanno cercato e ottenuto controllo e indipendenza, in un luogo che li ha adottati come figli. E ora, ancora, Hellboy e Mike potranno cominciare da un nuovo inizio.