Di Nicolas De Crécy si era relativamente poco a conoscenza in Italia, prima dell’uscita de Il celestiale Bidendum; la serie Leon lo Strambo era stata pubblicata a puntate da Comic Art e Foligatto era apparso su Il grifo, mentre Salvatore era stato raccolto in volume nel 2014 da Panini. I primi due, seppur notevoli, erano ormai dimenticati dal pubblico contemporaneo (complice la pubblicazione su rivista), e conoscere De Crécy voleva dire fare i conti con l’opera ambiziosa e complessa che lo aveva consacrato in patria, il Bibendum, appunto – uscito originariamente in tre albi, tra il ’94 e il 2002 (in Italia consacrato con la vittoria del Premio Micheluzzi al Napoli Comicon come miglior fumetto estero).
De Crécy è autore prolifico, che nel corso della sua carriera ha prestato i pennelli per testi altrui o realizzato volumi di illustrazioni (New York-sur-Loire, Les carnets de Kyoto). Per un periodo poi, dopo il 2010, è sembrato voler abbandonare il fumetto per darsi del tutto all’illustrazione, senza impegni pressanti, dopo un ventennio circa estremamente impegnativo. Ma la pausa è durata ben poco, e cosa ha deciso di fare De Crécy per tornare al fumetto? Una scelta drastica: ripartire lavorando per il Giappone, il paese dove la produzione di fumetti è forse la più intensa al mondo, con ritmi estremamente impegnativi per gli autori.
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La Repubblica del Catch, tradotto in Italia da Eris Edizioni, è il fumetto nato dall’impiego di De Crécy nel mondo del manga. Pubblicato originariamente dall’editore Shueisha sulla rivista Ultra Jump, dedicata al genere seinen (per un pubblico dalla maggiore età in su), che ha ospitato autori come Tsutomu Nihei (Abara, Biomega) o Yukito Kishiro (Battle Angel Alita: Last Order). Coniugare i ritmi e i linguaggi del manga con la cifra stilistica di De Crécy, contraddistinta da una visione complessa ben testimoniata da Il celestiale Bibendum sembra impresa ardua. Il manga richiede solitamente – come noto – lettura veloce, data da una tavola dalla composizione chiara ed asciutta. Ciò che nasce in La Repubblica del Catch da questa necessità è un racconto dalle tematiche dense, ma dal ritmo sostenuto.
La Repubblica del Catch racconta le vicende e i disagi quotidiani di Mario, un buffo omino che gestisce un negozio di pianoforti. Mario è schiacciato dalla pressione di una famiglia “importante” di mafiosi, in una nazione che idolatra la lotta e la forza (la Repubblica del Catch, appunto), sembra proprio compresso, piccolissimo e tondo, alto quanto la tazza del cesso. Mario si rifugia nella musica, col suo amico pinguino che suona magistralmente per lui. Soffre però la differenza nei confronti dei suoi familiari e di un mondo molto più forte di lui. Non solo per un complesso d’inferiorità, ma proprio per la manifesta avversione che i parenti più forti hanno nei suoi confronti (in particolare il nipote, piccolo ma pericolosissimo). Mario è la figura dell’inetto di ispirazione letteraria novecentesca opposto al uomo moderno, forte e iperattivo.
È proprio su immagini stereotipate della forza e della superiorità fisica che si esplicano alcuni paradossi della storia. Si tratta di un dualismo ampiamente esplorato in letteratura, ma che non sembra mai perdere di significato; qui De Crécy lo coniuga con il tocco onirico dell’immaginario a cui ci ha abituato.
La città in cui si svolgono le vicende non è troppo diversa da New York sur Loire, quell’incrocio tra New York e Parigi di primo Novecento, tra Art Deco e Gotico, vista come vera protagonista nelle pagine de Il celestiale Bibendum. Nel Bibendum era popolata non solo da esseri umani, ma anche e soprattutto da animali antropomorfi; qui lo stesso spirito visionario è portato avanti dalla presenza di spettri mutuati dalla tradizione giapponese degli Yokai (mostri e spettri mitologici). Saranno appunto gli spettri a scontrarsi con mafiosi di ispirazione occidentale (più vicini alla mafia da film americano che alla Yakuza) e con lottatori di catch.
La Repubblica del Catch è una commedia degli opposti, che mette in contrapposizione violenza e bellezza, amore e odio, fantasia e cruda realtà. E il risultato? I vincitori? SPOILER: non ce ne sono. E questo lo si scopre in una singola e brutale pagina (forse troppo bruca? Ma di sicura efficacia e intensità). Tutti perdono. Mario è un disadattato, circondato da altri disadattati, ma anche i suoi rivali nascondono disagi profondi, difficili da risolvere (e che l’autore ben si guarda dal risolvere).
Il libro nasce dall’incontro di due culture – anche fumettistiche – diverse. De Crécy accoglie necessità di un linguaggio fumettistico lontano da quello a cui è avvezzo (come spiega nella postfazione) e lo fa aggiungendo espressività al proprio. La Repubblica del Catch è un libro che scorre con sorprendente fluidità e intensità, nonostante le tematiche sofferte e il linguaggio verbale mai banale.
Per quanto distanti e nati in presupposti diversi, il paragone con Il celestiale Bibendum sorge. E La Repubblica del Catch non ne esce affatto come un’opera inferiore. Anzi. De Crécy, accettando la sfida nipponica, ha aggiunto chiarezza alla sua narrazione, sia nell’immagine che nel linguaggio, lasciando da parte la stratificazione dell’immagine (complessità cromatica e moltitudine di tecniche) e un certo ermetismo dei concetti espressi (dato da un linguaggio ricercato e scenari surreali). L’asciuttezza del segno e la chiarezza della regia di queste pagine pongono peraltro De Crécy in curiosa affinità con alcuni dei più raffinati autori seinen giapponesi, come Taiyo Matsumoto, Daisuke Igarashi o Mohiro Kitoh.
La Repubblica del Catch
Nicolas De Crécy
Eris Edizioni, giugno 2017
brossura, 224 pagine, bianco e nero
17,00 €
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