Lorena Canottiere ha da poco pubblicato per Coconino Press il graphic novel Verdad (lo ha recensito Boris Battaglia sulle nostre pagine), suoi sono anche Oche (Coconino Press) e la striscia Marmocchi (raccolta da Diabolo Edizioni). Siamo entrati nel suo studio torinese, per scoprire come lavora e quali nuovi progetti ha in corso.
A che progetti stai lavorando attualmente?
Sto lavorando principalmente a due progetti. Uno di questi è particolare, sia come tema che come io e Luisa Pellegrino (con cui ho iniziato quest’avventura) pensiamo dovrebbe diventare concretamente l’oggetto-libro. Si tratta di un libro misto, con parti a fumetto, racconti scritti e illustrazioni. È un progetto a cui mi sto affezionando sempre più perché, grazie credo all’affinità e alla sintonia che ho trovato con Luisa, è diventato un percorso di esplorazione per entrambe. Abbiamo un approccio simile nell’affrontare le storie da raccontare, è estremamente curioso lavorare insieme, o meglio sarebbe dire viaggiare.
L’altro progetto a cui sto lavorando è una nuova storia a fumetti. Sono all’inizio, sto prendendo appunti sui personaggi e abbozzando le prime sequenze a story board: è possibile ancora che diventi tutta un’altra storia, non so. E’ comunque molto divertente iniziare, costruire castelli in aria.
Che strumenti e tecniche usi per disegnare?
Ultimamente uso spesso tecniche manuali e digitali insieme. Come in Verdad, per la parte manuale uso pennelli e acrilico oppure pastelli colorati (Derwent Inktense, Karisma, che mi pare non fabbrichino più, ma anche Giotto quando serve) che poi digitalizzo e completo aggiungendo il resto del colore a computer.
Hai delle abitudini da rispettare prima di metterti al lavoro?
Credo che l’unica condizione irrinunciabile sia di avere a disposizione del caffè. Tempo fa avevo l’abitudine di mettere in ordine la scrivania tra un lavoro e l’altro, ora non ne ho più bisogno (fortunatamente in casa siamo tutti disordinati così non do sui nervi a nessuno). Sono molto contenta quando riesco a liberarmi di tutte le incombenze pratiche della vita quotidiana prima di mettermi al lavoro, ma molto spesso non ci riesco, o non ci provo neanche, così me le trasporto sul groppone mentre disegno o scrivo.
Per il resto non ho nessuna abitudine, ma ho bisogno di avere sempre con me un quaderno su cui scrivere. Lavoro spesso in giro.
Quali sono per te gli autori e le opere di riferimento?
Ho iniziato a fare fumetti innamorandomi di Pratt, Breccia, Jose Muñoz e Lorenzo Mattotti, il gruppo Valvoline, Anna Brandoli e poi i francesi de L’Association.
Almeno la metà della mia libreria è in francese: è stata una grande fortuna per me vivere vicino al confine, per anni l’unica possibilità di trovare i fumetti che mi interessavano era andare in fumetteria a Nizza. Ancora oggi alcuni autori che adoro sono inediti in Italia.
Sulla nello studio tieni un oggetto a cui sei particolarmente affezionata?
Non uno, tantissimi; dalle forbici rotte e arrugginite trovate in gita anni fa, alle figure preparatorie di un caro amico scultore, alla trappola per topi che mi ricorda quando da bambina ci infilai dentro un dito per curiosità o alla lettera del preside del liceo artistico (che mio padre mi regalò incorniciata per ricordo) che lamenta dello stato in cui la “grafomania” degli studenti esonerati dall’ora di religione aveva ridotto lo stanzino in cui ci mettevano ad annoiarci; le fototessere trovate per strada; una bambolina boliviana che ha il terrificante potere di fecondare qualsiasi donna sbirci sotto la sua gonna; un Barbabarba pittore… Ci sono sicuramente più cimeli che articoli di belle arti!