Uno dei piccoli piaceri per alcuni appassionati della musica di Francesco Guccini è ostentare conoscenza delle sue tante incursioni nel mondo del fumetto. Dalle caricature per mano di Staino, Cavezzali e Pazienza alle collaborazioni come vero e proprio autore con autori del calibro di Magnus (su Lo Sconosciuto) o Filippo Scozzari, passando ovviamente per la storica amicizia con Bonvi. Un rapporto influente e fertile al punto da avere generato nientepopodimeno che le Sturmtruppen – alcune delle prime strisce nascono da battute suggerite dal cantautore all’amico – e, in maniera esplicitamente condivisa, Storie dello Spazio Profondo.
I navigatori meno pigri potranno avere conferma di (quasi) tutto ciò non solo grazie a Wikipedia ma anche al sito ufficiale del cantautore, in cui è presente una stringata sezione comics nascosta e irraggiungibile dalla homepage, che riporta copertine, titoli e date di pubblicazione dei fumetti gucciniani.
Al di là delle consistenti collaborazioni con Bonvi e Magnus, il resto della produzione fumettistica di Guccini è però ormai difficile da recuperare, perché mai ristampata. Non fa eccezione quello che è il primo racconto a fumetti scritto per un disegnatore diverso dall’amico Bonvicini, ovvero il romano Guido Buzzelli: la storia breve, pubblicata sul numero 0 di Undercomics (1973) e ristampata in Francia sei anni dopo nel volume antologico Démons delle Editions du Fromage, intitolata “Colpo di Stato”.
Fumettisticamente, Guccini e Buzzelli si erano incrociati già nel 1970, quando la rivista Psyco ristampa La Rivolta dei racchi di Buzzelli, ovvero l’opera che secondo la vulgata sarebbe da considerare il primo romanzo a fumetti italiano, pubblicato nel ‘Comics Almanacco’ di Lucca 1967 in un numero esiguo di copie. L’incontro avviene nel sesto e ultimo numero del mensile, che nelle pagine non occupate da Buzzelli pubblica proprio l’ultimo episodio delle Storie dello Spazio Profondo, quello – bellissimo – in cui i teologi di Evangelicus III partono alla ricerca del Creatore.
Nel 1973 la casa editrice Dardo si affida a Bonvi per realizzare una rivista di fumetto, sulla scia di Linus e simili, che parli di musica, sport e fumetti ma senza l’impegno culturale della capofila. Prende forma così Undercomics, un giornale che tratta «di comics, di cultura» ma anche «di altre puttanate», come recita lo sfacciato sottotitolo. L’approccio è quello già collaudato anni prima con Off-Side, un esempio pionieristico nella storia dell’editoria di fumetto underground italiano, citato espressamente come modello nell’editoriale della nuova testata.
Nelle pagine del giornale la parte del leone la fa il Bonvi stesso, con la storia con finale a sorpresa “Incubo”, inserita poi nel ciclo degli Incubi di provincia, e l’esordio delle Cronache del dopobomba.
La squadra è composta da amici storici come Victor dell’Equipe ’84, titolare della rubrica sportiva, e collaboratori provenienti dalle esperienze precedenti di Off-Side e Psyco. Fra questi ultimi troviamo per esempio Marcello Toninelli, che qui ri-disegna le prime strisce del suo Dante, questa volta riuscendo anche a farsele pagare.
Sul numero 1 di Undercomics, inoltre, avrebbe dovuto esordire l’allora assistente di Bonvi con una sua serie personale chiamata La fattoria McKenzie. La casa editrice, però, blocca la produzione del giornale dopo il numero di prova, e il giovane Silver – ebbene sì, il creatore di Lupo Alberto – dovrà attendere il 1974 e la nuova vita del Corriere dei Ragazzi per vedere finalmente pubblicate le sue strips.
Ma a rendere davvero unico quell’unico numero è proprio la storia di Guccini e Buzzelli. In sei pagine i due raccontano la vicenda di Giuseppe Rossi: un uomo qualunque, impiegato, che vive una vita di routine e non vuole che qualcosa intervenga a turbarlo.
Una sera, mentre sta andando a letto, irrompe in casa sua la polizia. Viene arrestato, messo sotto processo e manganellato. Il motivo? Avrebbe firmato una petizione contro la guerra in Vietnam, e il nuovo regime sente il dovere di proteggere i probi cittadini dai sovversivi come lui. Per sua fortuna, si tratta solo di un sogno. Il suo risveglio però viene turbato da una manifestazione in piazza di gente che preferisce scioperare piuttosto che andare a lavorare. A Rossi non resta che augurarsi che lo Stato inizi a calcare di più la mano con questa gente…
È chiara l’ironia degli autori nei confronti della classe media italiana degli anni immediatamente successivi al ’68, ingabbiata in una vita monotona e piena di paure e pregiudizi. Il primo pensiero di Rossi, quando gli suonano alla porta di tarda sera, è che si tratti di un malintenzionato, visto che ormai la polizia non fa abbastanza per combatterli. Mentre sfila il corteo, sputa veleno contro chi manifesta per i propri diritti: «dovrebbero finire in galera», perché impediscono alla gente per bene di fare il proprio dovere andando regolarmente al lavoro. Non importa se tra la folla spicca un cartello con scritto ‘Democrazia’, la stessa parola a cui ha inneggiato qualche minuto prima, svegliandosi dall’incubo.
La reazione di Rossi è l’esatto opposto di quella dei passeggeri del tram di Andiamo all’Havana, fumetto di Guccini e Bonvi pubblicato sulle pagine di Off-Side. Lì, il dirottatore protagonista del racconto riesce a coinvolgere i suoi ostaggi nel folle piano di andare a Cuba con il tram, facendo dimenticare le preoccupazioni lavorative e la routine che occupa i loro pensieri all’inizio della storia. Certo, si risvegliano dal sogno a occhi aperti quando il pazzo viene arrestato, ma qualcosa è cambiato in loro durante quella folle corsa.
Anche Giuseppe Rossi vive imbrigliato dalla routine, che ormai ha modellato il suo pensiero. Tanto che gli scontri tra manifestanti e polizia, nella sua visione, non sono altro che un intralcio alla gente perbene, un fastidio che rompe il suo trantran. A nulla è servito l’incubo della notte prima. Un sogno che avrebbe potuto aprirgli occhi, ma che diventa, invece, soltanto un altro fastidio che gli rovinerà la giornata.
Che Rossi sia una persona gretta è chiaro da subito. Nella prima tavola gli autori lo mostrano mentre si prepara per dormire, si massaggia i piedi, legge fumetti ‘neri’ e giornali pornografici, fuma a letto… Azioni certamente non particolarmente nobili, ma che il tratto di Buzzelli rende tremendamente volgari nella loro meschina quotidianità. Se la prima impressione è quella che conta, Giuseppe Rossi è tanto un uomo pulito e preciso quando è in pubblico quanto è lurido nel suo privato.
In sostanza, Rossi è tanto brutto quanto meschino. Un uomo che non è in grado di essere coraggioso nemmeno nei suoi sogni. Arrestato dalla polizia, prima cerca di ingraziarsi il commissario, poi di scaricare le sue colpe su altri: non avrebbe mai voluto firmare la petizione contro la guerra nel Vietnam, sono i suoi amici che lo hanno costretto.
Attraverso il segno grottesco di Buzzelli, il carattere del protagonista si mostra e quasi si rivela in tutta la profonda grevità delle sue sfumature. L’interiorità di Rossi si riflette sul suo aspetto fisico e il disegnatore non si risparmia nel dettagliarne graficamente la bruttezza. La sola vignetta in cui i suoi tratti risultano addolciti è quella del risveglio, al grido di libertà e democrazia – ma subito il volto torna a riempirsi di ombre e rughe allo svanire del sogno. Quando la realtà riprende il sopravvento, la mente dell’uomo si riempie ancora una volta di pensieri ordinari, grigi, reazionari. Pensieri di repressione.