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Giacinto Facchetti, il rumore non fa gol. O l’epica (e la genetica) nerazzurra

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L’interismo è una malattia genetica, che si trasmette da padre e figlio. Dev’esserci una striatura nerazzurra nei cromosomi che porta un bambino a votare la propria vita alla sofferenza, soprattutto se il suddetto bambino è cresciuto a Milano nei disastrosi anni Novanta / primi Duemila e circondato da compagni di classe milanisti e juventini.

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Insieme al cromosoma difettoso, però, di padre in figlio si trasmettono due formule magiche che sostengono l’animo del ragazzo durante la crescita. La prima è l’orgoglio ben sintetizzato da Elio e Graziano Romani con gli Immortali Versi «Io non rubo il campionato / e in serie B non son mai stato», da sputare in faccia agli altri bambini mentre festeggiano per un derby o sghignazzano il 5 maggio. La seconda è il mantra da recitare da soli o intorno al tavolo con i sodali, una litania dal suono quasi religioso, capace di sanare le ferite e riportare alla mente l’Età dell’Oro: Sarti, Burgnich, Facchetti, Bedin, Guarneri, Picchi, Jair, Mazzola, Milani, Suárez, Corso.

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Di generazione in generazione

Giacinto Facchetti, il rumore non fa gol (testi di Paolo Maggioni e Davide Barzi, disegni di Davide Castelluccio, tutti interisti) è incentrato proprio sul rapporto tra padre e figlio, Mario e Pietro Bresciani, interisti. Facciamo la loro conoscenza il giorno dopo la semifinale di Coppa dei Campioni del 1965, Inter – Liverpool, quando il bambino è ancora sovreccitato per la vittoria e si sofferma durante la colazione per realizzare un disegno importantissimo, che dev’essere «graaande, ma anche velocissimo». Soggetto del disegno, ovviamente, Facchetti. Il capitano dell’Inter, infatti, altissimo e velocissimo, era un raro terzino d’attacco, che dalla difesa si spingeva nell’area avversaria per mettere a segno micidiali colpi di testa e tiri vincenti, come quello per il 3-0 di quella semifinale di ritorno.

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Il gol di Facchetti al Liverpool, nell’obbligatoria bicromia con cui è realizzato tutto il libro

Pietro Bresciani cresce quindi fortemente interista, grazie all’ottimo esempio del padre, cronista sportivo che se lo porta dietro a ogni partita giocata a San Siro. Diventerà anche lui giornalista, arrivando a intervistare proprio Facchetti quando questi si ritira, fino a raccontare la prima partita dell’Inter dopo la sua scomparsa nel 2006.

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La materia di cui sono fatti i capitani. Per chi non lo riconoscesse, il mago è Helenio Herrera, l’allenatore che ha “creato” Facchetti

Il ritratto di Facchetti che emerge dai finti articoli dei due giornalisti – ma anche dalle numerose vere testimonianze e interviste che compongono l’appendice al fumetto – è quello di un grande uomo, oltre che di un grande atleta. «L’è trop bu’, al pica mia» [«È troppo buono, non picchia»] fanno dire gli sceneggiatori al padre di Facchetti mentre lo osserva giocare a calcio, ragazzino, nell’oratorio di Treviglio.

La correttezza dentro e fuori dal campo del Cipe è leggendaria: una sola espulsione in tutta la carriera – esempio seguito dal suo degno erede, colui che per la mia generazione di interisti è il Capitano. Quando nel fumetto Pietro, ormai adulto, incontra il suo campione e conclude l’intervista chiedendogli che cosa avesse imparato dal calcio, quello risponde con una semplicità disarmante, nel modo in cui avrebbe potuto rispondere il vero Facchetti: «All’oratorio mi hanno insegnato che per giocare bisogna anche comportarsi bene… essere bravi ragazzi… poi, diventa un’abitudine.»

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L’omaggio di Paolo Bacilieri a Giacinto Facchetti, apertura del terzo capitolo. Al volume hanno partecipato 11 autori interisti, disegnando gli 11 frontespizi dei capitoli

“Il rumore non fa gol” perché non sono il chiasso e la prepotenza a fare il grande giocatore. Facchetti è un personaggio che non si può non amare, un capitano che non si può non seguire e rispettare. Anche solo leggendo un fumetto agiografico su di lui; anche senza aver mai visto – per ragioni anagrafiche – una sua partita dal vivo. L’uomo raccontato dal libro è talmente ‘grande’ da meritare allora un finale epico, tra l’ultimo abbraccio in ospedale del “figlioccio” Materazzi, tornato da Berlino con una Coppa del Mondo, e il tributo della sua squadra, della sua curva e di tutto il mondo del calcio.

Con un happy end del genere, sarà inevitabile il groppo alla gola per il lettore interista. Ma sono pronto a scommettere che anche gli altri tifosi non resteranno indifferenti. In fondo, perfino gli juventini rispettano Giacinto Facchetti.

Giacinto Facchetti, il rumore non fa gol
di Paolo Maggioni, Davide Barzi e Davide Castelluccio
Becco Giallo, 2016
176 pagine, € 17,00

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