La premiata ditta Jeph Loeb & Tim Sale sono forse un unicum nella storia recente del fumetto supereroistico mainstream, sinonimo di qualità e arguzia artistica. Famosi per aver creato una delle run più riuscite e spettacolari di Batman e per aver giocato con disinvoltura e leggerezza con i personaggi della Casa delle Idee, finalmente hanno concluso il quarto capitolo della “tetralogia dei colori” per Marvel Comics.
Dopo aver riletto le origini di Daredevil, Spider-Man e Hulk, ora è la volta del più iconico dei supereroi della casa editrice americana: Capitan America.
Capitan American: Bianco è un sentito omaggio alla sentinella della libertà, tutto virato come i vecchi cinegiornali dell’epoca in bianco e nero: Loeb sceglie di raccontare e rinverdire il mito di Steve Rogers, giocando su un doppio registro e intrecciando una narrazione retrospettiva attraverso il monologo di un Capitan America ormai maturo, e una rappresentazione oleografica e naif, che lo vede in compagnia della fidata spalla Bucky e dell’Howling Commando di Fury combattere contro le forze dell’Asse. Sullo sfondo, il tema del lutto – di capitale importanza in questo progetto – regala un tono adulto e drammatico: un commiato alla figura di Bucky Barnes.
Loeb costella l’opera di rimandi e citazioni ironiche che donano profondità ad una trama volutamente semplice e lineare, senza troppe sorprese e tutta declinata sul confronto archetipo tra bene e male: in totale rispetto filologico di quelle che erano le direttive pre-maccartismo. L’America – la più grande delle nazioni mai esistite – si erge a paladina della giustizia e della libertà contro le forze nazional-socialiste che hanno invaso la Francia (nonostante le rimostranze della stessa espresse nella figura di Marylene, la Zingara.).
Ci sarebbe molto da dire sulla strategia utilizzata da Loeb per tratteggiare in filigrana la dimensione quasi anacronistica della retorica americana: lo sceneggiatore usa un registro anfibio, fedele alla lezione di Simon e Kirby, ma nel contempo ironico, che manda tutto in farsa anche nei momenti più altezzosamente nazionalisti.
Sale fa sempre il suo sporco lavoro, dimostrandosi però più a suo agio con le ambientazioni cittadine e claustrofobiche, dove i suoi famosi neri possono tornare a farsi densi e catramosi. Si sente una fretta insolita in alcuni passaggi e una altrettanto dedita attenzione nella costruzione di tavole magniloquenti, soprattutto in presenza dell’iconografia nazista, con un Teschio Rosso davvero pauroso. L’omaggio a Kirby – con una pedissequa citazione step by step di una delle sequenze di lotta più celebri – ci ricorda che il Capitano è una creatura del Re e che ogni confronto non può che concludersi con una resa.
Notevolissimi i colori di Dave Stewart, tutti giocati su una palette calda e con una patina vintage che restituisce spessore alle immagini di Sale.
In definitiva, una prova minore per gli autori, ma sempre di alta qualità nell’ottica del sentito omaggio verso la mitologia Marvel. E addirittura in contraddizione con la stessa, che negli ultimi tempi, non sapendo più come portare acqua sotto i ponti, le sta provando tutte: dal riportare in vita Bucky allo svendere l’integrità morale del Capitano.
Capitan America: Bianco
di Jeph Loeb e Tim Sale
Panini Comics, 2016
144 pagine, 14.00 €