Da quando il fumettista argentino Ricardo Siri (in arte Liniers) è stato portato nelle librerie italiane è passato diverso tempo. Intanto l’autore è diventato sempre più popolare, continuando a essere tradotto all’estero (Francia, Spagna, USA) e ampliando la propria produzione con libri illustrati per ragazzi e varie copertine per il New Yorker.
La serializzazione in patria del suo Macanudo non ha trovato pausa, e ora – pubblicato costantemente dal 2002 sulle pagine del quotidiano argentino La Naciòn, raccolto in oltre dieci antologie – dopo lo stop di pubblicazione in Italia, è da poco tornato sugli scaffali delle nostre librerie a opera di un nuovo editore, La Nuova Frontiera (i primi volumi erano pubblicati da Double Shot, tra il 2009 e il 2013).
Il volume più recente – intitolato Una pioggia di idee – è uscito a fine 2015 (è il sesto), ed è la quarta raccolta. Cosa è cambiato nel frattempo sulla serie, dall’assenza di Macanudo in Italia? Non molto, a dir la verità. Le strisce di Liniers nascevano già piuttosto mature sin dall’inizio, poiché si sviluppavano attorno a un approccio talmente libero da non avere regole o parametri. L’unico punto fisso formale di Macanudo sta nel fatto di essere una striscia; brutalmente parlando, nel senso di estendersi per lunghezza, fondamentalmente. Una striscia, ma non necessariamente suddivisa nelle classiche quattro vignette di una giornaliera, come comunemente intesa. In una vignetta lunga unica, o addirittura ventiquattro piccoli riquadri (è successo, in un episodio), ai personaggi di Liniers succede di tutto, non c’è un contesto fisso, né tanto meno un cast limitato fisso che interagisce, bensì soltanto una lunga fila di personaggi irregolarmente ricorrenti (una bambina, un gatto nero, l’autore stesso, gente qualunque, Picasso). Il disegno è doverosamente semplice (al servizio di inquadrature spesso fisse), anche se gli va riconosciuta densità e varietà (soprattutto nella composizione); mentre aspira a una plasticità apparentemente reminiscente dell’insegnamento di Jacovitti, senza mai avvicinarsi alla vivace tridimensionalità di quest’ultimo.
La serie manca dunque di quelle caratteristiche che hanno tradizionalmente fatto la fortuna delle strisce popolari del passato. Ci si appassiona alle vicende raccontate nei Peanuts anche perché si diventa “amici” di quei bambini, e così vale probabilmente per molte altre serie con protagonisti infantili, mentre quando i personaggi sono più adulti, le regole della serialità si fanno più complesse ed è alla storia che ci si appassiona (poi ci sono le eccezioni, come Zippy the Pinhead di Bill Griffith, che se vogliamo è avvicinabile a Macanudo per l’approccio surreale, ma è estremamente più stratificato e complesso, nella sua apparente pazzia).
Un contesto del genere, in cui l’impossibilità di legarsi al carattere di alcuni personaggi, e nemmeno di seguire con continuità le loro vicende, non sembrerebbe l’ideale per conquistare il pubblico e garantire longevità all’opera. Ma dunque cos’è che ha fatto il successo il Macanudo? In realtà, è proprio quello che poteva apparire come un difetto – l’assenza sia di continuità che di coralità, dicevamo – a garantire longevità e simpatia nel pubblico casuale. In un certo senso si tratta di una regola contemporanea. Quella di Macanudo – ammettiamolo – è spesso comicità piuttosto povera, istantanea, quasi da meme internettiano, che non richiede associazioni mentali particolari e spesso gioca con luoghi comuni universali (e anche quando l’autore cerca di alzare il tiro facendo della satira, difficilmente si eleva dal luogo comune, o peggio, dal buonismo).
L’altro elemento che ha fatto meritare successo alla serie è stato l’irriverente approccio verso le regole tradizionali del gioco creativo della striscia di cui già sopra. Spesso, inoltre, si ha a che fare con anti-fumetto, privo di movimento sequenziale tra le vignette e composto da inquadrature fisse. Macanudo gioca con le vignette, le manipola e muove tanto quanto fa con i personaggi. Sei anni fa diceva il nostro Matteo Stefanelli sul suo blog che Liniers “giogioneggia” e gestisce con fare giocoso il mezzo espressivo della striscia. È proprio quello che penso anche io dell’approccio di Liniers, però con un’accezione più rigida rispetto al termine giogioneggiare (dal dizionario: tendere nella recitazione a facili effetti scenici; esibirsi, fare scena, vantarsi). Sì, ormai l’atteggiamento di Liniers è ostentazione. Se all’inizio la sua abilità e conoscenza del mezzo espressivo erano fonte di stupore nel lettore, dopo anni e anni di decostruzioni il gioco si è perlomeno consumato, diventando un trucco per camuffare luoghi comuni e scarsi contenuti.
Macanudo, dal punto di vista della comicità, ha anticipato il vuoto e l’immediatezza dell’ironia da webserie comica, per certi versi affermando una stagnazione creativa nel contesto delle strisce a fumetti. Le strip hanno in buona parte abbandonato la serialità (basti guardare quelle pubblicate in Italia su Internazionale, perlopiù anch’esse basate solo su gag istantanee e giochi di parole), ma anche l’approfondimento del personaggio. Di novità interessanti se ne vedono poche, un esempio fortunato è Klaus dell’inglese Richard Short (in Italia su Linus), che rinnova con raffinatezza (anche linguistica) temi e stilemi del passato; mentre in Italia Tuono Pettinato e il Dott. Pira sono ottimi portavoce della comicità in forma breve, perché irriverenti manipolatori di attualità e cultura pop.