Ho come l’impressione che Ei8ht passerà quasi del tutto inosservato. Per certi versi è un vero peccato – ha dalla sua una paio di frecce davvero notevoli –, per altri è una scontata e prevedibile conseguenza del suo più grosso difetto.
L’idea centrale dell’opera è l’elevazione a meccanismo narrativo di uno stratagemma visivo piuttosto abusato. Rafael Albuquerque, disegnatore e ideatore della serie, si inventa uno strano mondo dove le sue dettagliatissime tavole, così ricche di profondità e stratificazioni, vanno a fondersi con stralci di colorazione piatta e squillante. Mentre i personaggi acquistano corpo grazie alle sfumature di una gamma cromatica quasi del tutto desaturata, i fondali e solo alcuni particolari si rivestono di verde, arancio, viola, rosso e pochissimi altri toni pienissimi e ben identificabili. Sebbene nessuno abbia ancora perdonato Frank Miller per avere sdoganato presso il grande pubblico l’escamotage di scegliere un solo colore con cui arricchire una tavola in bianco e nero, in questo caso il risultato funziona in maniera splendida.
Sarà per via delle matite di Albuquerque – non al livello della sua X-Force ma comunque sopra la media – o per la paletta grafica scelta, ma rimane il fatto che, a vedersi, questo Ei8ht è davvero notevole. Moderno e dinamico quanto ci aspetterebbe da un albo del 2016. E in più c’è dell’altro. Come abbiamo detto, la scelta di una colorazione così singolare ha anche un preciso scopo narrativo. Nulla di nuovo, pensiamo ad Asterios Polyp, ma si tratta comunque di una piccola idea in grado di infondere un minimo di personalità a un titolo che ne ha disperatamente bisogno.
Trattandosi di una serie a base di salti tra passato, presente e futuro, a ogni tinta è stato associato un diverso segmento del tempo. Il blu indica il domani, il verde ciò che è stato e così via. Colorando con abbondanti campiture del giusto colore gli sfondi di ogni sezione del fumetto, si permette al lettore di costruirsi un’immediata mappa mentale degli eventi senza mai spendere una parola più del dovuto. E c’è di più, perché quando all’interno di una vignetta è presente un collegamento con un’altra epoca, questo viene evidenziato tramite il codice stabilito in apertura del volume. Quando il protagonista arriva alla sua destinazione, caratterizzata da sfondi arancioni, la trasmittente con cui comunica con il quartier generale rimane comunque blu. In questo modo il disegnatore riesce a trasmettere diverse informazioni basandosi solo sul linguaggio grafico e ovviando l’utilizzo di didascalie o muri di testo. Una piccola intuizione su cui si basa l’intera estetica di questo volume, forse caricandola eccessivamente di responsabilità.
Altrettanto interessante, e forse del tutto inconsapevole, è la descrizione di un tempo dove tutto è simultaneo. La stessa area arancione dove prende piede gran parte della storia viene definita come “qualcosa di totalmente diverso” visto che incarna in sé l’unione tra passato, presente e futuro. La cosa interessante è che, se prendiamo in analisi il mondo dove viviamo, le cose non vanno poi così diversamente. Le cronologie delle nostre visite web spariscono, a favore di indicizzazioni personalizzate, mentre scansioni temporali dal vago gusto nazionalpopolare come i palinsesti televisivi hanno perso ogni forma di importanza. Perfino il rifarsi a vecchi stilemi grafici non ha più intento nostalgico. Se, per spiegarsi meglio, una software house sceglie di programmare un videogioco sfruttando la pixel-art non lo fa certo per richiamare il retro-gaming. Sceglie quello stile per puro gusto estetico e per ovvi risparmi di risorse rispetto a una direzione artistica improntata al fotorealismo. Stessa cosa nell’editoria. A forza di essere bombardati di copertine finto-vintage, il significato storicizzante di tale estetica è andato perso, trasformando quella che era una testimonianza del passato in uno stile fine a se stesso. Se diamo la giusta attenzione a tutte queste piccole cose, anche noi potremo renderci conto di vivere in una sorta di zona arancione. Un plauso al team creativo per averlo capito per tempo e averlo trasformato in una storia che però, e qui arrivano le note dolenti, ha ben poco altro da dire.
Ecco il grosso problema di cui si parlava nel primo paragrafo: questo volume non ha null’altro da offrire se non le due belle intuizioni illustrate fino a ora. Va detto che il campo dei viaggi temporali rimane minato anche per gli sceneggiatori più esperti, figurarsi per un quasi esordiente – almeno alla tastiera – come Albuquerque. Gestire complessi intrecci alla Primer – probabilmente il miglior film sul tema mai girato – non è certo da tutti. Soprattutto quando li si vuole imbastardire con massicce dosi di avventura e quel pizzico di sentimento che non guasta mai. Il risultato di tali ambizioni è un fumetto che prima dell’ultima pagina rimette tutto al suo posto, ma lo fa nella maniera più piatta e meno appassionante possibile. Non vi ritroverete certo a dire che si tratta di una sceneggiatura scritta male o troppo scontata, semplicemente non vi lascerà nulla. Una colpa non da poco, tanto quanto non avere particolari guizzi da sbattere in copertina. Il risultato è quell’assoluta mancanza di carisma capace di stroncare sul nascere anche la più promettente delle idee.
Ei8ht vol. 1
di Rafael Albuquerque e Mike Johnson
Bao Publishing, 2016
128 pagine a colori, 14,00 €