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Casty è Romano Scarpa, ma anche molto altro

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Soffocata dalla sicuramente meno riuscita storia-evento Topolinix e lo scambio di galli, pubblicata sullo stesso numero, Topolino e qualcosa nel buio di Casty è passata per lo più inosservata. Ed è davvero un peccato perché, per quanto rappresenti un lavoro minore dell’autore friulano, per lo meno se confrontato con i suoi più famosi e corposi kolossal, questa storia dall’impianto narrativo e dall’intreccio più complesso, per compattezza, coerenza stilistica e atmosfere si presenta certamente come uno dei suoi lavori più densi e coerenti.

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Incomprensibile, da questo punto di vista, la scelta di inserire questa storia in un numero che, fin dalla copertina, si sapeva piegato alla necessità di promuovere il personaggio francese i cui diritti di distribuzione italiana erano non molto tempo prima passati alla Panini. Nell’ambito di un piano produttivo che negli ultimi mesi ha portato all’uscita di molti numeri deboli del settimanale, formati da quelle che inserite in un contesto creativamente più competitivo sarebbero state chiamate tranquillamente storie riempitivo, questa storia di Casty avrebbe meritato dunque una ribalta migliore.

L’impianto adottato da Casty è quello di un mockumentary, sul modello di The Blair Witch Project o Cloverfield. La ricostruzione delle pellicole di questo particolare genere, solitamente declinato in chiave orrorifica, procede con rigore quasi filologico: la prima tavola, infatti, si apre con una didascalia su sfondo nero che avverte che quello che stiamo per vedere è la registrazione degli eventi accaduti a Topolinia l’estate precedente. Nella tavola successiva viene fatto capire che la storia inizierà a essere raccontata dal punto di vista soggettivo di Pippo, che sta riprendendo gli eventi attraverso una camera frontale, fornendo, fra l’altro, una giustificazione molto più plausibile della persistenza delle riprese in situazioni tensive – se non propriamente pericolose – rispetto a quelle fornite nei film qui citati.

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Per rimarcare l’idea di un’inquadratura di tipo televisivo o cinematografico, Casty, qui in veste anche di disegnatore, sceglie una divisione della griglia fissa, due vignette orizzontali per tre verticali, di dimensioni costanti. Con notevole finezza, escludendo le pochissime inquadrature che non vengono mostrate attraverso la soggettiva (o semi-soggettiva, come sarebbe più giusto chiamarla) di uno dei protagonisti, l’inserimento di una vignetta doppia verrà giustificato dalla voce fuori campo di Pippo che spiega: «faccio una panoramica». Il movimento orizzontale della videocamera è quindi reso spazialmente attraverso una vignetta orizzontale.

Anche il taglio delle inquadrature è scelto per concorrere al raggiungimento di questo mimetismo. Le inquadrature sono spesso “sbollate”, i personaggi recitano ai bordi e abbondano i primi piani quasi grandangolari. Quello di Pippo, però, non è l’unico punto di vista soggettivo attraverso cui viene mostrato lo svolgimento della storia. Nel corso dell’avventura, infatti, il testimone passerà più volte da uno all’altro dei protagonisti (forniti via via di altri occhi elettronici), e la capacità di Casty nel gestire questa moltitudine di punti di vista in un tempo narrativo così breve senza che la cosa generi confusione, né sembri frutto di un virtuosismo o di una scelta artificiosa, è ammirevole.

Casty mantiene la capacità di far vivere i propri personaggi in modo credibile anche all’interno di quello che potrebbe essere tranquillamente descritto come un esercizio di stile. Inoltre, anche se in un contesto ovattato come quello disneyano odierno – o forse proprio per via di questo –, questa storia orrorifica, tesissima e senza un attimo di respiro, riesce a essere nel contempo parodia del genere o sottogenere cinematografico preso a spunto e racconto autenticamente claustrofobico, a tratti persino inquietante.

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Si è ripetuto fino allo sfinimento che Casty è il vero, grande, erede di Romano Scarpa, ma il paragone, seppur calzante, è stato spesso portato a sproposito. Storie come Topolino e qualcosa nel buio dimostrano però pienamente la giustezza dell’accostamento. Il paragone più immediato, ma anche più scontato, è quello con uno dei grandi classici della produzione scarpiana, Topolino e la collana Chirikawa, per l’utilizzo creativo e originale della soggettiva, una tecnica narrativa non frequentissima nel fumetto di allora e ancora oggi non così abituale, tanto da segnalarsi all’occhio per via della sua eccezionalità. L’intero corpus scarpiano è segnato dal gusto per la sperimentazione, dalla ricerca di soluzioni originali ma non pretestuose, dall’attenzione per l’intreccio. Tutti elementi che ritroviamo nell’opera di Casty insieme, naturalmente, a molti altri.

Casty è Scarpa, ma, bisognerebbe dirlo più spesso, è anche altro: rispetto al maestro veneziano, si distingue per una più sottile e pungente cattiveria, per una satira meno bonaria e per la maggiore capacità di gestire un gran numero di personaggi in storie molto articolate. Tutti elementi che possiamo ritrovare anche nella splendida avventura qui raccontata.

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