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Chester Brown e le riviste porno

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In attesa di Mary Wept Over the Feet of Jesus, una storia biblica della prostituzione, annunciata da Bao Publishing, Coconino Press recupera in questi giorni un vecchio lavoro di Chester Brown, Il Playboy. Serializzato nei primi anni Novanta sulla rivista autoprodotta Yummi Fur – poi edita Vortex Comics – e raccolta in volume da Drawn & Quarterly. L’edizione di cui ci apprestiamo a parlarvi fa riferimento a quella con note aggiunte dell’autore, pubblicata per l’editore canadese nel 2013.

Leggi l’anteprima de Il Playboy

playboy chester brown

Il volume rappresenta un importante saggio di quello stile autobiografico che avrebbe reso famoso Brown negli anni successivi a partire da I Never Liked You, nonché un’anticipazione delle meticolose e distaccate analisi di Io le pago. Memorie a fumetti di un cliente di prostitute.

Qui, Brown, attraverso la narrazione della sua adolescenza, parla di un argomento raramente trattato nei comic-book: la masturbazione e l’ossessione per le playmate di Playboy. Un antecedente illustre, lo troviamo nel fondamentale Binky Brown Meets the Holy Virgin Mary di Justin Green, sebbene la fonte d’ispirazione – a detta di Brown – provenga da un racconto di Joe Matt, l’autore di Peepshow e Poor Bastard:

«Joe Matt ha spesso rappresentato nei suoi fumetti l’ossessione che ha per la pornografia. Il primo fumetto che ha disegnato sul tema…è stata la fonte d’ispirazione per il mio Il Playboy […] Quel fumetto lasciava intendere che, siccome si era innamorato per la prima volta nella sua vita, gli era passata l’ossessione del porno. Riconobbi che fu coraggioso, ma pensai anche che Joe si stava prendendo in giro se credeva davvero di liberarsi così facilmente di quella roba. Quell’aspetto…mi parve falso, e pungolò in me il desiderio di scrivere e disegnare una storia autobiografica.»

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Implacabile e critico nei confronti dell’edulcorato racconto del collega, Chester Brown predilige la cronaca asettica. Si mostra adolescente in prenda ad un’implacabile scarica ormonale e ad un malcelato senso di colpa. Ansia e paranoia si insinuano negli ampi spazi bianchi – Brown sceglie una struttura leggera, fatta di poche vignette per tavola – dove aleggia una presenza angelica, un diavolo custode più che altro, tentatore e sobillatore. Ma l’intento autobiografico non cede al romanzo. Anzi, l’attenzione è quasi filologica: una complessa storia del desiderio sessuale e della sua estrinsecazione funambolica – la tecnica di masturbazione di Brown è abbastanza eccentrica. Questo rende Il Playboy più che un confessionale, un saggio di sociologia sull’introduzione al consumo di pornografia: disincantato e sincero, come dicevamo, nonché forzatamente realista.

Eppure, in queste pagine si parla soprattutto di un desiderio che forse non collide con il consumo di pornografia in senso stretto, una versione soft: un possesso ideale di un corpo esposto, «l’immondizia che ognuno si porta dentro», un dis-gusto. Non a caso il primo titolo scelto dall’autore per l’opera era Disgust. C’è attrazione e repulsione verso questo desiderio trasgressivo, che Brown cela, nonostante la società generalmente lo accetti, e anzi ne faccia oggetto di legge, ritenendolo necessario e salutare. Ciò nonostante vi è il richiamo continuo ad un pudore estremo: meccanismo della sofferenza per Brown, che accumula e distrugge le sue collezioni di riviste porno, ma ne conserva ricordi da archivista e studioso. Un’ossessione, più che una passione.

C’è anche un patina di nostalgia in questo curioso saggio, perché l’iper-consumo di pornografia ormai ha lasciato alle spalle la carta stampata, rendendola obsoleta e datata, decretando lo stato comatoso di una rivista storica come Playboy. Oggi il porno passa attraverso i pixel degli schermi dei pc in una sovrabbondante valanga di immagini estreme che, spesso, assecondano ogni minima perversione in una tassonomia sempre più accurata dei nostri reconditi desideri sessuali. Proliferazione di tag sempre più dettagliate che rendono le ricerche funzionali ad assecondare i nostri [dis]gusti.

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I tentativi e le sublimazioni di mascheramento di Brown sono roba da archeologia. Oggigiorno basta cancellare una cronologia o molto più frequentemente non celarla, come mostra il Brown maturo, ormai libero da ipocriti sensi di colpa. La pornografia è ormai parte integrante, in alcuni casi conoscenza enciclopedica e medaglia al valore.

Ecco perché la parte più interessante di questo lavoro giovanile di Chester Brown è la rilettura, la riflessione e la glossa erudita al margine, che preludono all’interesse storico e all’auto-analisi non solo personale, ma generazionale.

In conclusione, Il Playboy è una lettura che ogni consumatore di pornografia occasionale o nostalgico che sia – ma non solo, diciamolo – dovrebbe fare.

Il Playboy
di Chester Brown
Coconino Press, 2016
224 pagine, 18,00 €

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