Si è da poco conclusa la ristampa di un classico del manga, Maison Ikkoku, di Rumiko Takahashi, occasione per riscoprire uno dei prodotti emblematici della cosiddetta “regina dei manga”, ma anche un’opera chiave per il fumetto nipponico più in generale. Star Comics ha pensato bene di dare alle stampe un’edizione definitiva: in dieci corposi volumi da oltre trecentocinquanta pagine l’uno, dalle copertine più corpose e materiche, caratterizzate da una grafica minimalista (stessa edizione “Perfect” riservata due altri classici, Rough di Mitsuru Adachi e Dr. Slump di Akira Toriyama).
In breve, la serie narra le vicende di Godai, studente squattrinato e molto timido, perdutamente innamorato di Kyoko, nuova amministratrice dell’abitazione in cui vive nonché giovanissima vedova. Nella Maison Ikkoku gravitano personaggi molto particolari, dal vicino di stanza Yotsuya, uomo di cui non si sa praticamente nulla se non che è un incredibile profittatore, ad Akemi, ragazza dai modi di fare decisamente sopra le righe, passando per Ichinose, casalinga e madre di Kentaro, totalmente dedita alle feste e all’alcol. Nel corso dei dieci volumi e degli otto anni che compongono il tempo narrativo di Maison Ikkoku l’autrice si diverte a tenere in sospeso l’inevitabile storia d’amore fra i due protagonisti per mezzo di fraintendimenti che vanno a comporre un gigantesco e sapiente costrutto narrativo che, in effetti, è il cuore pulsante dell’opera.
L’“altra” Takahashi
Pubblicato originariamente nel 1980 sulla rivista Big Comic Spirits (Shogakukan), Maison Ikkoku rappresenta uno dei lavori più riusciti di Rumiko Takahashi, tanto da aver conosciuto varie e diverse trasposizioni: la nota serie animata, in Italia trasmessa con il titolo Cara dolce Kyoko (96 episodi, 1986-1988), un film, tre OAV e addirittura un lungometraggio live action.
Maison Ikkoku si differenzia però dalle altre opere della Takahashi: è profondamente radicata in una dimensione reale, e rinuncia quindi agli ingredienti fantastici e folcloristici tipici di Lamù, Ranma 1/2, Inuyasha o la ‘Saga delle Sirene’. Eppure contiene tutte le componenti fondamentali della sua poetica, in particolare l’attenzione per la costruzione di un rapporto, il lento processo di innamoramento che, nonostante tutte le disavventure e il tempo incredibilmente lungo che richiede per compiersi, percorre una traiettoria emotiva sensibile e credibile.
Esattamente come negli altri titoli dell’autrice, Godai è un perdente che deve ancora capire la sua posizione nel mondo. Da questo punto di vista si avvicina molto ad Ataru, il protagonista di Lamù che, suo malgrado, si ritrova responsabile del destino del mondo intero: entrambi sono goffi, sfortunati e vivono in un costante stato onirico, irreale, tanto da trasformare il loro mondo in un sogno perenne (tesi più che confermata nel memorabile lungometraggio animato Beautiful Dreamer, diretto da Mamoru Oshii). La purezza di Kyoko, al contrario, si avvicina decisamente alle caratteristiche di un’altra eroina icona del manga: Kagome, protagonista di Inuyasha. Come lei, Kyoko è convinta della necessità di purezza e idealismo in un mondo destinato alla corruzione e alla faciloneria.
L’osservazione della società giapponese
Il fatto che Maison Ikkoku sia privo di sfumature fantastiche non fa che sottolineare un elemento che è anche il valore aggiunto di questo manga: la descrizione attenta del mondo, della società e delle dinamiche del Giappone contemporaneo, negli anni Ottanta. I personaggi che popolano Maison Ikkoku sono coordinate che compongono il ritratto ideale delle varie categorie sociali e comportamentali della classe media della società del tempo, il che allontana prepotentemente l’opera dal classico shojo e lo avvicina, piuttosto, al seinen. Il linguaggio utilizzato nel manga è semplice e proprio per questo universale, riuscendo ad alternare con fluidità toni da commedia, grottesco e poesia nostalgica. Nei singoli episodi possiamo trovare un po’ tutto; addirittura nelle singole tavole, spesso, convivono sentimenti e flussi emozionali opposti.
Proprio in questa coabitazione di emozioni diverse e contradditorie risiede la potenza di Maison Ikkoku e, più in generale, del lavoro di Rumiko Takahashi. Il marito disoccupato di Ichinose, la solitudine del piccolo Kentaro, il girovagare senza meta di Yotsuya ma anche la necessità di svago e ubriachezza di alcuni personaggi, così come la costante insicurezza sul futuro dello stesso protagonista Godai, sono tutti aspetti di un’ombra che, qualche anno dopo, esploderà in tutta la sua drammaticità con la crisi economica che ha stretto il Giappone in una morsa durata parecchi anni. Leggere Maison Ikkoku tra le righe è, quindi, è un modo per osservare in maniera originale un paese e le sue contraddizioni in un momento storico specifico. Takahashi riesce laddove in pochi hanno avuto successo: raccontare i mutamenti profondi del presente mascherando il discorso con la leggerezza dell’intrattenimento.
Crescere e dire addio alla giovinezza
Se c’è un aspetto intorno al quale Maison Ikkoku si è resa un’opera esemplare, è la fine della giovinezza. Con velata nostalgia, la Takahashi racconta qui l’addio a un’età fatta di sentimenti e vortici amorosi senza eguali. Come tutte le grandi opere che raccontano questo passaggio decisivo, anche Maison Ikkoku è intrisa di amore e di morte. L’una è necessaria all’altra. In questo senso la storia di Godai e Kyoko narra di una fine e di un inizio e, come ogni fine, c’è un po’ di amaro nell’abbandonare il trasognante universo dell’età del grande innamoramento.
Rumiko Takahashi è tuttavia molto delicata nel mettere a tema la tragicità di questa transizione. Basti pensare al lutto che Kyoko deve affrontare in seguito alla morte del marito, per capire che è con l’amore, e solo grazie ad esso, che ricomincerà a vivere. La crescita dei personaggi, dai protagonisti a quelli di contorno, è davvero ben delineata ed è interessante notare come essa sia proceduta in parallelo con quella dei lettori dell’epoca. La serialità di questo progetto, che ha accompagnato i lettori per otto anni, ha contribuito perciò a farne anche un piccolo cult generazionale. Persino in Italia, dove la serie animata è stata trasmessa nell’arco di circa 5 anni, dal 1989 (su Junior Tv, con una interruzione all’episodio #52 che fece arrabbiare i fans), prima di essere ampiamente replicata su altre reti.
Stile Takahashi
Dal punto di vista dello stile grafico Maison Ikkoku non si distanzia molto dagli altri lavori di Rumiko Takahashi. Ciò che distingue questa serie dalle altre, allora, è il modo in cui il suo tratto semplice ed essenziale, non privo di brillanti momenti poetici, sia perfettamente sincronizzato al tono dell’opera. Nel corso dei dieci volumi di questa edizione, tuttavia, è possibile anche osservare come il tratto viva una lieve evoluzione, in cui l’attenzione per i dettagli cresce progressivamente, rendendo le tavole finali qualcosa di differente da quelle, essenziali, dell’incipit.
L’essenzialità della Takahashi, quasi fosse una linea chiara giapponese, ha influenzato numerosi autori di manga: Mitsuru Adachi, su tutti, ha colto alla perfezione l’insegnamento della “regina dei manga”, tanto da farne una traiettoria distinguibile che attraversa tutta la sua opera. Ma il discorso vale anche per altri: si pensi ad Akemi Takada, l’illustratrice che prima del lavoro con Oshii e con il gruppo Headgear in Patlabor ha lavorato sul character design della trasposizione animata di Lamù.
Un’eco infinita
Perché vale la pena rileggere oggi, dunque, Maison Ikkoku? Perché è stata serie in grado di segnare un momento storico del fumetto e del manga in particolare, innanzitutto. Pur nei confini di un genere, lo shojo, talvolta stereotipato – ma talvolta, e ingiustamente, percepito come un unicum senza distinzioni fra eccellenza e mediocrità – Maison Ikkoku rimane la perfetta fotografia di una lucidità artistica cristallina. La stessa Takahashi ne ha riproposto, ma senza la stessa brillantezza, alcuni aspetti e dinamiche in opere successive come la pur riuscita “commedia degli equivoci” Ranma 1/2. La forza di questo manga sta dunque nella sua capacità di sintesi e, potremmo persino dire, ibridazione culturale: Takahashi riesce a portare a compimento nel suo shojo, per certi versi, l’insegnamento di maestri come Shigeru Mizuki, andando letteralmente a far collidere due universi come quello seinen con quello gekika. Nella sua pur brillante carriera, Maison Ikkoku è stato un momento forse irripetibile. Per il quale continuerà a lungo ad essere ringraziata, da un’intera generazione di lettori.
Maison Ikkoku – Perfect Edition
di Rumiko Takahashi
Edizioni Star Comics, 215-2106
10 Voll., 350 pagg. circa, 7,00 € cad.