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La fine e l’inizio: Aâma di Frederik Peeters

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Con il quarto volume, intitolato Sarai meravigliosa, figlia mia, si conclude la saga fantascientifica firmata da Frederik Peeters, probabilmente la sua opera più ambiziosa. Composta da quattro volumi, tutti pubblicati da Bao Publishing, Aâma – sul cui primo capitolo aveva già scritto Tonio Troiani – è la storia di Verloc Nim, un fallito che, in un futuro e in un pianeta imprecisati, decide di accompagnare il fratello in una missione ai confini dell’universo. Inconsciamente diverrà una pedina fondamentale di quella che può essere considerata una vera e propria rivoluzione universale.

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Mi sbilancio subito, e grido al capolavoro. Perché Aâma può essere ritenuto uno dei progetti seriali più importanti degli ultimi anni, e l’apice di un autore che, nonostante un percorso di carriera controintuitivo – dal graphic novel autobiografico alla serialità sci-fi – andrebbe considerato tra i più importanti nel panorama contemporaneo. Troppo? Forse, ma vedrò di spiegarmi.

Nonostante una trama complessa, che si snoda in un arco temporale frammentato, nonostante le digressioni, i flashback e i flashforward, i molti personaggi e luoghi, la profondità tematica, l’ultimo lavoro di Peeters riesce nell’arduo intento di avere una notevole compattezza narrativa e concettuale. C’è un inizio e c’è una fine, ed è chiaro come l’intera vicenda sia il risultato di una visione unica, mai frammentata, frutto di una lucidità che, nella stratificazione di Aâma, assume un valore aggiunto. Da questo punto di vista si distanzia da Lupus, l’opera più accostabile ad Aâma per l’ambientazione fantascientifica ma che procede per improvvisazione, per accumulo, rinunciando quindi a quella coesione che rivela una chiarezza nel cosa si vuole dire. Peeters crea qui, invece, un universo con una propria ragione di esistere, un macrocosmo che non ha bisogno di spiegazioni ma che è talmente credibile da ospitare una vastità di elementi del tutto verosimili.

I luoghi

Da un punto di vista scenografico, Aâma propone una dicotomia. Da una parte c’è il pianeta in cui Verloc vive, quasi un’unica, affollata metropoli futurista vagamente ispirata a quella di Blade Runner, meno orientale e più arabeggiante. Una struttura urbana che si sviluppa in orizzontale e soprattutto in verticale, in cui la componente sociale ha una ‘classica’ correlazione diretta con la struttura stessa. Dal lusso delle cime di grattacieli che svettano su un cielo scuro al degrado dei bassifondi in cui la droga, di cui Verloc è vittima consapevole, è all’ordine del giorno. Quella messa in scena in Aâma è una società dispotica, in cui l’umanità vive in un sogno perenne, un torpore costante causato dalla dipendenza da accessori tecnologici integrati direttamente nel corpo.

In questa assoluta fusione di corpo-macchina, sogno cronenberghiano che diventa realtà, Verloc fa una scelta che è rivoluzionaria: concepire sua figlia in maniera naturale. Ma le difficoltà e l’emarginazione che tale scelta comporta distrugge il rapporto d’amore con Silice, compagna del protagonista e madre della piccola Lilja. Per questo Verloc si lascia andare e la sua caduta compie una parabola il cui punto più basso coincide con l’incontro con il fratello e l’inizio di un viaggio. L’incipit di tale percorso è nel pianeta di Verloc, mentre la tappa determinante è nel pianeta Ona(ji), in cui un manipolo di scienziati capitanati dalla professoressa Woland testa una nuova forma di intelligenza artificiale chiamata appunto Aâma. Ona(ji) è l’opposto del pianeta da cui Verloc proviene: un luogo azzerato in ogni suo fattore artificiale, un punto zero da cui ricominciare o, addirittura, la riproposizione di un magma primordiale, simile a quello da cui tutto ha avuto origine. Ona(ji) è un personaggio al pari di Verloc, un’entità che interagisce attivamente con i protagonisti, un elemento fondamentale nel percorso del nostro eroe e nella progressione della storia. È l’inizio e la fine, l’alfa e l’omega.

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Il viaggio

Aâma è un viaggio fisico ma soprattutto interiore. Non si tratta unicamente di una catarsi del protagonista, ma di un vero e proprio itinerario dell’anima. Come si è detto, Verloc ricostruisce il senso della propria esistenza partendo dalla disperazione della solitudine e del fallimento: dall’obnubilamento della droga all’estasi di una nuova avventura che ben presto diventa pretesto per riesaminare gli errori della sua vita. Si libera dell’oppressione di una moltitudine anonima (il pianeta da cui parte) per arrivare al deserto e al nulla di Ona(ji). In questo nulla inizia un altro viaggio, percorso nel percorso, dove lo scenario, lentamente, muta, si trasforma. Dal vuoto di un’essenzialità alla complessità di un pianeta vivente: Verloc e compagni si addentrano sempre più all’interno di un gigante organismo, tra vene, muscoli, viscere, liquidi e l’orrore di un istinto primario e animale che domina tutto. Superata la fase corporea il viaggio giunge a una fase più eterea, idealista, astratta: dal corpo alla mente, passando per il sogno che, come vedremo, ha un ruolo decisivo nello sviluppo della storia.

Il viaggio di Verloc, come detto, ha una funzione catartica, ma questo cammino ha anche un significato in relazione alla filosofia che caratterizza Aâma. E in questa architettura concettuale emerge con forza tutta l’abilità grafica di Peeters.

Lo stile

La produzione artistica di Frederik Peeters si dipana su due direttive grafiche: da una parte uno stile più rotondo e dolce, dove il character design risulta più “cartoonesco”, dall’altra un approccio più realistico, netto. Della prima categoria appartengono opere come Pillole Blu, Lupus e Koma, mentre nella seconda tipologia possiamo classificare titoli come Pachiderma, RG e Aâma. Lo stile che abbraccia l’ultima opera di Peeters fonde suggestioni stratificate e distanti fra loro. L’influenza di Moebius è chiara sin da subito, specie nel proporre mondi immaginifici e dall’alto tasso onirico. L’opposizione di ambientazioni agli antipodi ricorda molto quelle presenti in L’Incal, mentre, in alcune sequenze, soprattutto d’azione, è facile ritrovare la dinamicità di alcuni manga o addirittura di certo fumetto supereroistico statunitense (lo scontro finale fra Verloc e Roosevelt).

Da questo punto di vista Aâma diventa una lezione di stile ma anche un esempio universale di quanto la Nona Arte possa offrire in termini di visionarietà e trasversalità. Il quarto volume dichiara esplicitamente un desiderio di virtuosismo: splash page, prospettive ardite, perfetta integrazione di intimismo e dinamismo atto all’intrattenimento puro. Il modo in cui Peeters mette in scena la sua storia si sposa perfettamente con la sua capacità di gestire il tempo della narrazione e, soprattutto, con l’assunto che domina l’intera opera, la filosofia che ne determina il significato.

La filosofia

Aâma non è un’opera semplice. Non lo è a partire dalla decisione di proporre un protagonista credibile, in cui è facile immedesimarsi per via della sua semplicità, delle sue paure, debolezze, indecisioni. Si tratta di un vero e proprio anti-eroe, il cui passato è tanto prevedibile quanto affascinante: Verloc, che fisicamente assomiglia molto allo stesso Peeters, trasuda umanesimo ed emozione sincera. La sua rinascita coincide con un passaggio, quello dell’umanità verso un nuovo stadio evoluzionistico. Quello che si racconta in Aâma non è facile da spiegare, e ciò che posso dire, anche per evitare inutili spoiler, è che riesce nel difficile intento di coniugare con equilibrio la dimensione personale del protagonista con quella assoluta dell’universo che lo comprende.

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La fantascienza di Aâma è figlia diretta delle visioni di Andrej Tarkovskij in Stalker (1979) e Solaris (1972, quest’ultimo soprattutto per il rapporto tra il personaggio principale, il suo passato e il mondo-pensante che deve affrontare). Proprio per questo motivo il fattore sogno diventa cruciale e si eleva a linguaggio prediletto grazie alle capacità dell’autore. Le vignette che compongono le tavole sono ricche di immagini di forte impatto emozionale. Quando Verloc racconta dei suoi sogni (a un altro dei personaggi o al noi lettori), Peeters si limita a proporre una serie di tavole slegate l’una dall’altra, fortemente evocative, senza dialoghi, proprio per restituire quella sensazione sfuggevole di malinconico estraniamento. Nel terzo volume, non a caso intitolato Il deserto degli specchi, Verloc e i suoi compagni di viaggio attraversano uno spazio in cui sono letteralmente travolti da un’onda onirica che li costringe a fare i conti con se stessi. Graficamente Peeters opta per una serie di scelte stilistiche e di racconto a metà tra Lewis Carrol (l’attraversamento dello specchio come atto di passaggio definitivo) e Jorge Luis Borges, ma in generale tutto Aâma è costituito da una corrente surrealista piuttosto evidente.

La fine o l’inizio?

Ma quindi di cosa parla Aâma? Da un punto di vista tematico ricorda nientemeno che Akira di Katsuhiro Ôtomo, almeno per quel che riguarda la necessità di una fine assoluta per ricostruire l’Universo. Entrambe le opere raccontano di evoluzione e sconvolgimento, ma anche di storie dei singoli, di uomini alle prese con le proprie paure, di amori e passioni, di tenerezza e disperazione. Alcune soluzioni adottate nel quarto volume mi hanno ricordato certe scelte di Bryan Talbot in Le avventure di Luther Arkwright, mentre l’impianto filosofico si rifà alla sci-fi esistenzialista di cui 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick (1968) o Solaris di Tarkovskij sono capostipiti eccellenti (un esempio letterario recente è la Trilogia dell’Area X di Jeff VanderMeer, tradotta da Einaudi).

Aâma non è un semplice racconto, è un anello di Moebius, uno stupefacente viaggio che non ha paura di andare controcorrente e di sfidare certo buonismo che caratterizza parecchie opere fantascientifiche contemporanee. Un’occasione per scoprire la magnificenza di un autore in grado di regalarci picchi inaspettati di dolcezza e profondità concettuale. Fatevi un regalo, non ve ne pentirete.

Aâma vol. 4: Sarai meravigliosa, figlia mia
di Frederik Peeters
Bao Publishing, 2016
104 pagine, 15,00 €

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