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Secret Wars e il tempo che non c’è mai

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Mentre in Italia siamo ancora alle battute iniziali, negli Stati Uniti la super reclamizzata saga Secret Wars si è appena conclusa. Anche se non ne avete letto un numero – e non ne siete neppure troppo interessati – qualche informazione potrebbe comunque esservi arrivata: le vendite folli, i ritardi, l’aggiunta in corsa del nono numero, la delusione di molti fan, l’apparente stato confusionale in cui pare trovarsi attualmente la Marvel. Da questo punto di vista pare proprio che gli aspetti negativi abbiamo, al netto dei conti, sopraffatto i quelli positivi. Eppure quella che si presentava come una mera operazione commerciale al pari di tante altre, è comunque riuscita ad imporsi agli appassionati come poche altre volte era successo. Potere del marketing martellante, verrebbe da dire buttando un occhio all’esorbitante numero di interviste e comunicati stampa rilasciati dal direttivo Marvel nello scorso anno, ma forse questa volta qualcosa in più c’è stato davvero. O, meglio, avrebbe potuto esserci.

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Se nel corso degli anni avete sviluppato un minimo di confidenza con il fumetto seriale statunitense sarete ormai pratici del concetto di “saga-evento-dell’anno”. Curiosa pratica per cui, a cadenza più o meno serrata, tutti i personaggi di una determinata casa editrice convergono in un un’unica grossa trama con lo scopo di arrivarne alla fine profondamente cambiati. Sebbene l’idea sia interessante e nel passato ci abbia regalato qualche storia memorabile (vedi Civil War o Il Guanto dell’Infinito, tanto per citare due titoli che da qui ai prossimi anni sentiremo citare diverse volte) in realtà il riproporsi reiterato e sempre meno giustificato di questo escamotage ne ha rivelato ben presto la vera natura: un mezzo di comodo per obbligare il lettore a seguire un numero assurdo di testate – nonostante il plot principale si sviluppi solo sulla serie omonima all’evento, tutti gli sviluppi più interessanti vanno a prendere corpo sul resto delle pubblicazioni – e per fare una bella tabula rasa di poco plausibili sviluppi di continuity accumulatisi negli anni. Motivo più che valido per farci perlomeno inarcare un sopracciglio in segno di legittimo dubbio a ogni strombazzo da PR – attività tra le altre cose portata avanti con particolare veemenza soprattutto da parte di lettori non più esattamente di primo pelo (me compreso) – ma non sufficiente a farci rinunciare a buttare almeno un‘occhiata. Dopotutto con certe cose ci siamo cresciuti, e la speranza che la magia si ripeta è dura a morire.

Attitudine questa stoicamente portata avanti anno dopo anno, anche se l’incedere baldanzoso delle grandi occasioni ha lasciato da tempo spazio a un andazzo ben più traballante. Andatura che ha raggiunto il suo culmine nel periodo legato a Secret Invasion. Un’epocale trama sotterranea in sviluppo da anni e anni – o almeno così ci veniva venduta – rivelatasi in seguito poco più di un’innocente scazzottata tra omoni in costume. Questo è quello che ci si merita quando si decide di affidare a uno come Bendis – che ha fatto cose enormi, sia chiaro, ma in ambiti del tutto diversi – la gestione di decine e decine di personaggi. Cosa che invece era nei sogni più proibiti di un giovane sceneggiatore appena imbarcatosi alla Marvel e a cui la dirigenza dell’epoca decise di affidare la testata Secret Warriors, super grupponato proprio sulle pagine di quello sciagurato evento.

L’incarico non era certo di primissimo piano, eppure il Nostro si rimbocca le maniche e comincia a tessere trame a più non posso. Passano gli anni, altri crossover si consumano davanti agli occhi di noi lettori, e lo scrittore entrato in punta di piedi si afferma sempre più. Prima con una straordinaria gestione dei Fantastici Quattro, poi con la maxiserie Infinity e infine grazie a una serie di strabilianti progetti personali lanciati dalla Image, casa editrice con cui aveva esordito solo cinque anni prima. Tra tutte queste centinaia di pagine fitte di macchinazioni, personaggi, influenze e assurdità da visionario emerge soprattutto una cosa: Jonathan Hickman non vuole cambiare le carte in tavola, vuole solo introdurre qualche migliaio di regole in più e complicare il banco il più possibile. Date a quest’uomo Jenga e come minimo vi ritroverete tra le mani Warhammer.

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Ed ecco il motivo principale per cui Secret Wars appare come qualcosa di completamente diverso rispetto a quanto fatto fino a ora nello stesso ambito. Per la prima volta dopo tanti, troppi anni lo sceneggiatore messo alla guida di tutto il baraccone non ha la faccia di quello per cui è stato staccato l’assegno più grosso dell’anno, ma di quello che pare pensare «è troppo bello per essere vero». Perché anche se gli avessero chiesto di farlo gratis per lui sarebbe stato comunque un regalo. Hickman pare un bambino in pieno overdrive saccarinico abbandonato in un negozio di caramelle dopo l’orario di chiusura. Mette in piedi un circo di una complessità maniacale, dove alle nove uscite della serie principale seguono un numero annichilente di testate parallele. Lo spunto su cui si basa tutto l’evento è già di per sé un piccolo capolavoro meta-referenziale, seppur costruito sulle idee alla base della Crisi sulle Terre Infinite di casa DC: il piano della realtà di Terra 616 (quella dei supereroi tradizionali) e quello di Terra 610 (dove si svolgono gli eventi delle linee Ultimate) si scontrano combinando un gran casino. Letteralmente e su ogni piano la vogliate mettere. Nel fumetto è un cataclisma con ben pochi precedenti, nella vita vera un ginepraio di storyline davvero inestricabile. Da questo punto di vista siamo dalle parti del Supreme: Blue Rose di Warren Ellis, dove anni di continuity confusa e ribaltoni editoriali vanno a influenzare le vicende della miniserie come se fossero scelte di sceneggiatura.

In seguito alla devastante collisione il mondo come lo conosciamo se ne va in pezzi, ripresentandosi ai nostri occhi nella forma di Battleworld. Scomparsi i continenti, ora la Terra è divisa in quarantuno zone, ognuna dedicata a una grossa saga di Casa Marvel. Non abbiamo a che fare con una narrazione tradizionale quindi, ma con un intero mondo da visitare a nostro piacimento. Basato oltretutto su storie che ci sono già state raccontate. C’è la zona degli zombi, quella delle arti marziali, quella futuristica… Un sogno bagnato per appassionati allo stadio terminale, categoria di cui il buon Jonathan non ha mai fatto segreto di appartenere. Se cercavate un’occasione per sfoggiare la vostra cultura enciclopedica scovando ogni minimo riferimento o inside joke inserito nelle tavole, be’, questa è la vostra occasione giusta. Probabilmente voi vi divertirete da pazzi nel rivedere quel vecchio personaggi secondario dimenticato da almeno un paio di decenni fare la sua diligente comparsata muta alle spalle dei protagonisti. Ma tutti gli altri? Quelli che non hanno interesse nel passato e dai narratori pretendono qualcosa di nuovo?

Ancora una volta si decide di guardare avanti gettando uno sguardo al passato dei lettori. Per quanto mi riguarda, dubito che il fruitore medio di questo Secret Wars possa appartenere alla fascia dei cosiddetti young adult. Categoria di consumatori che mai come in questo momento appare coccolata da una serie di uscite di livello davvero notevole – pensiamo per esempio a un successo inequivocabile come Lumberjanes – e che di lambiccarsi il cervello su anni di uscite arretrate penso non abbia la minima voglia. In realtà, per godere a pieno di questa saga, siamo proprio noi ex-ragazzini che dobbiamo fare mente locale, facendo riaffiorare quei pomeriggi passati a non far nulla se non a dedicarci all’esercizio delle nostre passioni. Un déjà-vu che ricorda lo snervante meccanismo per cui ci ostiniamo a comprare giochi di ruolo da centinaia di ore per console di ultima generazione crogiolandoci nel ricordo delle settimane sgombre da ogni forma d’impegno dei sedici anni. Quando parole come lavoro, straordinari, trasferte, figli, casa non ci passavano neppure per la testa. Con Secret Wars è la stessa cosa. Leggi il piano dell’opera e, una volta accettato il fatto che si tratta di un enorme accumulo di fan service dedicato ai nostalgici, ne sei entusiasta. Non segui più certe cose da anni ma, accidenti, qui c’è proprio di tutto. Perfino una parentesi dedicata ai Ghost Racers. In più ogni Marvel-zombi che si rispetti non fa altro che ripeterti di come si tratti del tassello definitivo per dare finalmente forma al grande puzzle concepito da Hickman, uno degli scrittori che stimi di più in questi anni. Vuoi vedere che è la volta buona per rimetterti in carreggiata? Allora ti armi di santa pazienza e prendi tutti gli appunti del caso. Poi arriva il momento di partire davvero e… decidi di seguire solo la vicenda principale. Dopotutto, non c’è una sola serie di quelle già in corso con cui sei in pari, figuriamoci aggiungerne qualche decina così dal nulla.

Grosso, grosso errore.

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Perché sicuramente vi ritroverete conquistati dalle tavole di Esad Ribić, dalla narrazione epica e carica di spunti, dalle uscite lapidarie disseminate ad arte, dal vago sentore fantasy di tutto l’insieme. Ma ci saranno anche un sacco di volte in cui vi starete chiedendo cosa diamine stia succedendo. Tutti adoriamo il fatto che per una volta gli artisti messi alla guida di quella mastodontica macchina chiamata Universo Marvel stiano lavorando per i loro lettori più hardcore e non per fruitori capitati sulle loro pagine per puro caso, ma con Hickman in giro questa cosa può rivelarsi un’arma a doppio taglio piuttosto pericolosa. E paradossalmente riesce a esserlo in quella che poteva essere una delle saghe più mature e interessanti di sempre, quella che aveva in sé il seme della dimostrazione definitiva di come dietro a queste grosse e grasse carnevalate si possano ritrovare talvolta riflessioni profonde.

[Spoiler]

Evitiamo di prendere in esame la trama più superficiale e concentriamoci sui personaggi, su quello che passa per la loro testa. Quando i due piani della realtà stanno per scontrarsi e scatenare il più grande cataclisma della storia, i nostri amati supereroi pensano bene di imbarcarsi sulle loro astronavi e di mettersi in salvo. E avevamo anche il coraggio di chiamarli salvatori. Gli unici che provano a fare qualcosa sono il Dottor Strange e Destino. Mentre il primo non si dimostra all’altezza della situazione, il sovrano di Lavteria si decide a prendere il toro per le corna e a schiantarlo al suolo. Grazie alla sua inesauribile sete di potere e al suo egocentrismo smisurato riesce a salvare la giornata e a mettere in piedi un nuovo pianeta su cui ricominciare tutto da capo. Lo avrà sicuramente fatto per esaudire i suoi smodati sogni di grandezza e non certo per spirito filantropico, ma rimane il fatto che sia rimasto l’unico a fronteggiare la più grande minaccia mai affrontata dal popolo (anzi, visto che parliamo di realtà parallele, dai popoli) terrestre. Una volta sistemato tutto decide di darsi un premio: si autoproclama dio e sposa la moglie di Reed Richards, suo storico nemico. Non mi pare ci voglia una laurea in psicologia per capire come sostituire nel talamo nuziale l’uomo che ha dedicato gran parte della vita a impedirci di diventare Re del Mondo non sia proprio una mossa data dall’amore per l’avvenente Donna Invisibile.

E infatti ecco che a rompere le uova nel paniere si ripresenta il petulante ex-marito. Quello fuggito a gambe levate e che ora ha la pretesa di voler fare la morale all’uomo per cui esiste ancora uno straccio di vita. Manco a dirlo, il buon Victor non regge il colpo e comincia a perdere di lucidità, lasciandosi sgretolare tra le dita il regno così faticosamente costruito. Se Destino esplicita in maniera umanissima e straziante un senso di inferiorità capace di limitarlo per tutto il corso della sua vita, Reed Richards si dimostra un maniaco del controllo, ottuso e vagamente fascistoide. Perfetto per mettere sotto un debole come Von Doom. L’unico ad aver capito la pericolosità di un simile rapporto è Strange, che infatti ci lascia le penne quasi subito. Quante volte vi è capito di vedere con i vostri stessi occhi – o di provare direttamente sulla pelle – equilibri simili? Non tutti hanno l’incredibile abilità di parlare di noi stessi sfruttando il quotidiano – si rischia la famigerata zona Fabio Volo – così un sacco di gente preferisce giocare coi contrasti e inserire i nostri strambi meccanismi mentali in contesti ben poco plausibili. Tipo due universi paralleli che si scontrano, per dire.

[Fine spoiler]

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Da questo punto di vista Secret Wars non è la solita smargiassata fatta solo di splash page a cui ci siamo abituati, ma una fantastica dimostrazione di come sotto cappe e tute in latex si nascondano personalità molto meno archetipali di quello che si aspetterebbe. Hickman lo sa bene e sceglie di procedere in due direzioni opposte: da una parte sfrutta le evocative tavole di Esad Ribić per dare vita a un mondo enorme, popolato di giganti, orrori, donne bellissime e candide divise scintillanti, dall’altra infarcisce le pagine con muri di dialogo e scene statiche, spesso limitando le matite a sfiancanti mezzi busti. Come una sorta di Trono di Spade dal budget illimitato, per capirci. Sarebbe bastato sviluppare questo concetto in maniera organica nei nove albi dedicati per avere tra le mani un gran fumetto, invece si è scelto in diluirlo in un marasma di battaglie, sottosaghe, deviazioni e eventi paralleli. Perché? Semplice, perché è una gran ficata concepita con il cuore di un sedicenne deciso a non crescere mai. La Marvel è riuscita a far scrivere la più bieca delle operazioni commerciali all’unico sceneggiatore capace di amare tutto questo nella maniera più innocente possibile. Peccato che il risultato rischi di risultare incomprensibile a chiunque non sposi in pieno questa visione del mondo.

Seriamente, se non siete tra gli intenzionati a seguire il maggior numero di testate sappiate che Secret Wars regge benissimo fino alle prime ellissi – che sono tali solo per chi si è limitato ai nove numeri della serie centrale – narrative. Poi si trasforma in una sorta di enorme esercizio mentale sul capire chi stia facendo cosa e perché. Sempre scritto e disegnato benissimo, sia chiaro, ma limitato da una crescita gargantuesca alimentata in egual misura dalla passione di Hickman e dall’avidità del consiglio di amministrazione Marvel. Da questo punto di vista Secret Wars parte alla grandissima e si conclude in maniera del tutto deludente, con un finale che più loffio non potrebbe essere. Potrebbe essere colpa mia, sicuramente qualcosa di importante mi è sfuggito, oppure semplicemente certi mondi è bello metterli in piedi e basta. Sperando che uno ci si perda, senza preoccuparsi di arrivare davvero a un dunque. E forse sono queste le guerre segrete di cui parla davvero il titolo: tra la nostra pulsione mai sopita verso il gettarsi a capofitto in universi tanto entusiasmanti quanto sfiancanti e i reali mezzi messi a nostra disposizione. Il mondo dei videogiochi pare essersene accorto, cominciando a studiare attorno al giocatore esperienze più limitate, come produzioni a puntate o dalla spiccata natura esperienziale (solitamente di durata piuttosto esigua). Il mercato dei giganti da centinaia di ore verrà lasciato in mano a pochi titoli inaffondabili, dai gdr ai moba, perché tanto non avremmo mai il tempo di giocarceli tutti. Lo strascico di Secret Wars dovrà dimostrare se la Marvel farà parte di questi giganti – le 550.000 copie del primo numero dovrebbero farci capire qualcosa – o potremo sperare in più serie sul modello stand-alone di Daredevil, Hawkeye o Howard the Duck. Anche se l’incedere imponente di questi blob dell’intrattenimento mi fa pensare che nessuna strada verrà lasciata sgombra, andando a occupare ogni possibile interstizio del nostro tempo libero.

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