I’m torn between the light and dark
Where others see their targets
Divine symmetry
Should I kiss the viper’s fang
Or herald loud the death of Man?
[…]
Don’t believe in yourself
Don’t deceive with belief
Knowledge comes with death’s release
David Bowie, Quicksand
Quando a Joe Quesada e Jimmy Palmiotti fu data carta bianca per il lancio delle testate dell’universo Marvel Knights, la scommessa fu quella di riportare in vita un titolo ormai sull’orlo del collasso affidandolo a Kevin Smith, giovane regista di culto grazie a Clerks. La scommessa era dovuta al fatto che Smith non aveva mai scritto un fumetto, nonostante ne fosse un accanito lettore. La scelta di Quesada fu di certo temeraria, ma vincente, vista l’attenzione che la stampa mostrò per il nuovo progetto in corso alla Casa delle Idee, dopo il fallimentare Heroes Reborn della coppia Lee-Liefeld. La saga in otto capitoli che rilanciò la testata del Cornetto, azzerandone la numerazione per la prima volta, è Guardian Devil, ristampata nel secondo volume della Daredevil Collection di Panini Comics, in un elegante volumetto rilegato, con il titolo Il diavolo custode.
La ridicola vita segreta dei supereroi
Il diavolo custode è una storia fatta di celeri scatti in avanti e deliziosi rallentamenti, che coinvolge senza alcuna parsimonia tutti i personaggi che appartengono all’universo di Devil: è una storia che attinge a piene mani da Rinascita e ne è quasi una rilettura, ma è anche una spietata critica tanto verso i meccanismi del fumetto seriale americano quanto verso il cristianesimo, pur paradossalmente elevando la fede come gesto e scelta personale. In un’estrema sintesi, Matt Murdock si trova al centro di un’incomprensibile vicenda dai tratti sovrannaturali, dove l’elemento chiave è una bambina, dalla cui salvezza o morte sembra dipendere il destino dell’umanità, o forse semplicemente quello di Devil. Perché, nel corso della vicenda, senza nessun timore, Smith percorre la stessa traiettoria di eventi – certo in una chiave spettacolarizzata e con un tocco di sadica ironia – disegnata da Frank Miller e David Mazzucchelli. Ma, stavolta, Matt Murdock è l’angolo cieco di tutto ciò: sono Foggy Nelson, Maggie e soprattutto Karen Page a subire i colpi della sorte. Su Matt Murdock si abbatte lo scudo della colpa divina. Ma tutto ciò non è che uno scherzo del buon Smith. Il regista gioca tanto con Murdock, come personaggio dai nobili sentimenti e continuamente combattuto tra la fede e l’oblio, quanto con il lettore, che da un momento all’altro vede scomparire le quarte celestiali e infernali che circondavano il dramma dell’uomo, per essere introdotto in una vicenda molto più prosaica il cui fine è quello di mostrare la miseria del male.
Dietro questa ennesima storia di caduta e redenzione, c’è un uomo sull’orlo della morte: Quentin Beck, conosciuto dai lettori come Mysterio, uno dei nemici storici di Spider-Man e che in questo caso sceglie l’alter ego di Matt Murdock per architettare un’uscita trionfale, calibrando bene il rischio dell’ennesima figuraccia. Devil è una ‘mezza tacca’, un vigilante di quartiere, sempre sull’orlo di crisi esistenziali e mosso da una rabbia ‘cieca’, più che da un senso morale ferreo. E’ un supereroe la cui identità segreta si può comprare, che ha visibili segni di debolezza e punti deboli vistosamente scoperti. E’ una mezza tacca, infatti. Ma il suo fascino letterario è tutto lì.
Mysterio, d’altronde, è un villain ormai sull’orlo del tramonto, che appartiene alla Silver Age e le cui apparizioni negli anni Novanta sono ricordate con un certo imbarazzo, o tutt’al più sono rubricabili come divertissement. Penso al ciclo di Larsen apparso su Spider-Man all’indomani della fuga di Todd McFarlane dalla testata che l’editore aveva voluto affidargli. Larsen scelse una strada antitetica: a storie tetre e oscure – pensate a Maschere e Percezioni, dove è sbandierata la violenza sui minori – preferì toni più morbidi, che riportavano il Ragnetto alla spensieratezza degli anni Settanta, quando la Casa delle Idee aveva dedicato una fortunata testata – Marvel Team-Up – proprio agli incontri dell’eroe con gli altri personaggi del pantheon marveliano, affidandola a Roy Thomas e al mitico e sottovalutato Ross Andru.
Smith prende Mysterio e gli fa recitare un copione, lo usa e poi lo getta via come uno straccio, privandolo di ogni grandeur e di ogni briciola di luciferina pazzia. Quentin Beck è patetico, pur mettendo in piedi un colossal pieno di effetti speciali. L’atto finale, pateticamente derubato al povero Kraven, non fa che aumentare il disprezzo per questa figura meschina. La genialità del regista è soprattutto nell’uso strategico dello ‘spiegone’: il lungo monologo del villain è mal sopportato dallo stesso Matt Murdock, che alza gli occhi al cielo così come il lettore che sa che sta per sorbirsi l’ennesimo imbarazzante dialogo a senso unico da parte del cattivo di turno. Uno stratagemma narrativo ridicolizzato da Moore in Watchmen grazie all’astuta e diabolica figura di Ozymandias, e che Smith cristallizza in un tono patetico, che sfocia in una critica e un decostruzione parodistica del fumetto classico mainstrem americano.
Se letta come un dramma, Guardian Devil lascia il tempo che trova, anche negli esiti definitivi per la continuity del Cornetto, ma se vista sotto la prospettiva di un’enorme farsa, rivela una ricchezza di fondo che ne fa, al di là delle vicende narrate, una run fondamentale per comprendere non solo il personaggio di Devil, ma anche l’universo supereroistico in toto.
Il momento ateo del diavolo
Dicevamo: enorme farsa, ma anche eterno dramma. La sottile critica alla Chiesa Cattolica è meno incendiaria e irriverente di quella condotta negli stessi anni attraverso la pellicola Dogma. Se la commedia surreale, che suscitò aspre accuse e critiche, tendeva a sottolineare alcuni aspetti oscuri del credo protestante, Guardian Devil, pur mostrando sottilmente – attraverso gli inganni messi in atto da Mysterio – le conseguenze negative del potere affabulatorio e ‘pastorale’ della fede, cerca di porre in una luce positiva il credo personale di Matt Murdock, il suo essere “al di là del bene e del male”, portatore di una fede cieca, di una “religione del cuore”, che va oltre le forme esteriori e della precettistica. Anzi, Kevin Smith fa vivere nell’ennesima caduta il momento ateo del diavolo rosso, spingendolo sino a rinnegare Dio a più riprese e alla blasfemia al cospetto di sua madre, ormai da anni consacrata e consegnatasi al volere divino.
L’assillo serpeggia per tutto il volume sin dalle prime fasi, quando dinanzi all’ennesimo stupro da sventare, Devil rivolge a Dio una preghiera venata di sarcasmo: «Signore, ogni notte allestisci una commedia immorale per me. Mi mostri la disparità fra le potenzialità dell’uomo e le sue azioni. Eoni di evoluzione e cerchiamo gli angoli più bui per sedare i nostri più bassi istinti. Come dev’essere deludente per te vederci in queste condizioni…sempre che tu esista». In primis, è Karen Page, convinta di aver contratto l’HIV, a rinnegare il Dio di Matt Murdock.
Al cospetto di sua madre, in fuga dalla tentazione e dal male, è lo stesso Matt a rifiutare la divinità cristiana e l’idea di giustizia ad essa sottesa:«E’ una favola! Una panzana orchestrata tanto tempo fa per impedire agli umili di ribellarsi, per tenerli in riga! Una barzelletta che ha permesso a te di sfuggire il rimorso di aver abbandonato tuo figlio!». La risposta, serafica, di Suor Maggie è una versione semplificata dell’argomento del pari di Blaise Pascal. Dinanzi all’incertezza, le fede può darsi solo come una scommessa ‘insensata’ e, paradossalmente, ragionata se si pensa alla ricompensa futura. La scommessa è tra il nulla e il tutto. Suor Maggie, espiando in vita le proprie colpe, punta sull’infinito e mostra a Matt una strada che possa dare senso alla sua contorta parabola esistenziale, fatta di continue cadute e di inesorabile sconfitte: Elektra, Karen Page e, in seguito Milla Donovan, nello splendido ciclo a firma Bendis-Maleev. La scelta per il bene e per la giustizia ha conseguenze sulla vita privata di Matt: la erode, la corrompe, la sfibra continuamente, lacerandolo negli affetti più cari, quasi che Dio lo colpisca per disprezzo, irridendolo e giocando a rimpiattino e contendendosi con il Maligno la sua anima.
Un semplice uomo
Quello che rimane dopo questa ridda infinita tra il bene e il male è l’ombra di un uomo che deve continuamente mettere insieme i cocci della propria esistenza. Se la rete Netflix ha scelto una mezza tacca come Daredevil per dedicargli una serie che si è confermata di pregevole fattura e di indiscutibile qualità, alzando finalmente l’asticella all’età adulta dei prodotti targati Marvel Universe, è perché dietro la maschera e al di là delle solide storie raccontante per anni su questo vigilante cieco, c’è un uomo con tutti i suoi drammi e le sue debolezze, che esplodono e mettono in forse ad ogni piè sospinto la dissennata scelta di indossare un ‘pigiama’ rosso e lanciarsi lungo i palazzi di New York, alimentando il dispositivo diabolico e schizofrenico del supereroismo.
Daredevil Collection vol. 2: Il diavolo custode
di Kevin Smith e Joe Quesada
Panini Comics, 2015
232 pagine, 19,00 €