Sono passati quasi dodici anni da quell’ottobre del 2003 che vide come protagonista nelle edicole italiane un nuovo e per molti versi anomalo periodico per ragazzi. Si sta parlando, naturalmente, di Monster Allergy (da qui in poi MA), ora ripubblicato per la prima volta integralmente in due volumi da Tunué.
Pur venendo presentato come un prodotto disneyano, distribuito sotto l’etichetta “Buena Vista Comics”, concepita per le produzioni non legate ai tradizionali personaggi disneyani, e pur essendo italiana la squadra di autori dietro questo progetto, MA esordì prima in Francia, pubblicato da Soleil qualche mese prima dell’edizione italiana. Il primo numero, MA – Coup de poudre, raggiunse i lettori francofoni già nel marzo dello stesso anno. Questo per accennare brevemente alla vocazione internazionale di questo progetto. Dopo il successo della serie in Italia seguirono altre edizioni estere, diversi libri, illustrati e non, una serie animata di successo, un lungometraggio per la televisione, un videogioco e alcune attrazioni allestite nel parco divertimenti Rainbow Magicland oltre, naturalmente, a molti prodotti di merchandising. Prima di parlare del fumetto, però, facciamo un passo indietro di qualche anno per comprendere meglio le condizioni che resero possibile la sua creazione. Torniamo, quindi, al 1996.
La rivoluzione della Disney italiana
È proprio il 1996, infatti, l’anno di esordio di PKNA – Paperinik New Adventure. Paperinik, vendicatore mascherato nato nel lontano 1969 sulle pagine di Topolino per mano di Elisa Penna, Guido Martina e Giovan Battista Carpi, irrompeva in una nuova veste nelle edicole con un mensile interamente dedicato alle sue storie inedite. Il progetto, fortemente innovativo per le pubblicazioni Disney – e più in generale per l’editoria periodica per ragazzi – ebbe un enorme successo. Le idee vincenti, in effetti, furono diverse. Innanzitutto aggiornare un personaggio un po’ ingrigitosi nel corso degli anni per farne un supereroe del XXI secolo, in linea con l’operazione di restyling messa in atto negli Stati Uniti dalla Marvel Comics sui propri personaggi di punta. Secondariamente, adottare il formato del comic book americano, scarsamente utilizzato in Italia e totalmente alieno agli standard disneyani italiani. La variazione di formato e di foliazione comportò la necessità di utilizzare una gabbia grafica diversa, più dinamica e certo debitrice dell’esempio di molti disegnatori contemporanei statunitensi e non.
Al di là di essere una semplice imitazione – per certi versi, una parodia – dei fumetti supereroistici, PK si dimostrò in grado di affermare una propria, forte identità, sia grafica che narrativa, grazie all’apporto di alcuni dei migliori talenti nazionali operanti nel settore. Fra questi possiamo ritrovare due dei creatori di MA, Francesco Artibani e Alessandro Barbucci che si incontrarono fumettisticamente sul numero 14, Carpe Diem, del 1998. PK servì a dimostrare che gli autori in forza alle pubblicazioni Disney italiane erano capaci di travalicare i paletti, spesso molto rigidi, imposti dalla multinazionale, ed esprimere la loro creatività su progetti diversi e fortemente innovativi. Il successo di questa testata fece capire al tempo stesso sia che molti dei talenti nostrani operanti nel genere umoristico erano troppo spesso sottosfruttati rispetto alla reale portata delle loro capacità, sia che c’era un pubblico pronto ad accogliere le innovazioni che avrebbero potuto proporre.
Un altro aspetto da sottolineare è che la creazione di PKNA apportò delle profonde modifiche all’interno del sistema produttivo delle storie disneyane. Se, infatti, in precedenza, gli autori Disney italiani erano abituati, salvo rari casi, a lavorare in completa autonomia, fossero essi sceneggiatori o disegnatori, per il lancio di PKNA fu creato un vero e proprio team formato da redattori, editori e disegnatori allo scopo di traghettare Paperinik dalle sue origini di ladro gentiluomo a quelle di supereroe tecnologico del XXI secolo. Il risultato fu un prodotto coeso, con un ampio margine lasciato alle sperimentazioni grafiche e narrative e con un’idea di continuity che avrebbe fatto scuola nel suo settore di mercato di riferimento.
Cinque anni più tardi, infatti, Disney aggredì la nicchia dei fumetti per ragazze, approfittando del crescente successo dei manga presso le adolescenti, con W.I.T.C.H. (che finì per attrarre anche il pubblico maschile) che con PKNA condivideva almeno il formato e l’attitudine alla contaminazione. La serie fu ideata da Elisabetta Gnone e creata graficamente da Alessandro Barbucci e Barbara Canepa. Fra i principali sceneggiatori della serie, attivo in questo ruolo fin dal primo episodio e story editor della stessa, troviamo ancora una volta Francesco Artibani. Barbucci e Canepa, che avevano già collaborato insieme in ambito Disney, realizzarono poi nel 2002 la serie fantascientifica Sky Doll, che porterà ai massimi vertici la contaminazione fra stile europeo e giapponese, un fenomeno di meticciato a volte definito euromanga o, anche, spaghetti manga. E in effetti le W.I.T.C.H., cinque ragazze dotate di poteri magici che devono fronteggiare sia le difficoltà della crescita che combattere potenti creature mistiche, pagano un forte debito alla tradizione fumettistica nipponica e in particolare al genere mahō shōjo (si pensi solo a serie come L’incantevole Creamy o, ancor meglio, a Sailor Moon).
Il mondo disneyano, in particolare quello che si muove lontano dai personaggi e dalle testate di punta, stava vivendo in quegli anni un particolare fermento. W.I.T.C.H., però, rispetto a PKNA e alle altre testate che seguirono dedicate al papero mascherato, presentava delle importanti novità. Innanzitutto i personaggi, tutti di nuova creazione (l’idea iniziale di affiancare alle ragazze Paperina venne fortunatamente bocciata dallo stesso Artibani). La serie, inoltre, presentava molti aspetti non in linea con l’indefinito ma al tempo stesso molto stringente spirito disneyano: lutti, amori interraziali e perfino la presenza di personaggi separati e sposati in seconde nozze. Ultimo ma non ultimo, W.I.T.C.H. si affermò ben presto come un enorme successo internazionale, e con un marcato spirito multimediale. Non si contano, infatti, i prodotti derivati: una serie animata (a dire il vero di modesto successo), un manga realizzato in Giappone, un videogioco, svariati romanzi e innumerevoli articoli di merchandising.
La nascita di Monster Allergy
Il successo riscosso dalle cinque ragazze non fu però eterno, e mentre le vendite andavano scemando, il clima si fece particolarmente teso. Disney cercò di contrastare il nascente fenomeno delle Winx, un gruppo di fatine ritenuto troppo simile alle cinque W.I.T.C.H., con un’azione legale che non andò a buon fine. Al tempo stesso, Barbucci e Canepa fecero causa alla Disney per i diritti di W.I.T.C.H., senza riuscire a far valere le proprie ragioni. Artibani, che delle serie animate delle Winx fu uno degli sceneggiatori, interruppe la propria collaborazione con la Disney nel 2004, in contestazione con la linea editoriale di allora, per riallacciare i rapporti con la casa editrice solo qualche anno dopo. Eppure, prima che prendessero strade diverse, i componenti di questo gruppo di lavoro che nel corso di qualche anno aveva riscritto le regole dei fumetti per l’infanzia e l’adolescenza legati al marchio Disney, riuscirono a realizzare insieme un’altra opera. Si tratta proprio Monster Allergy.
MA è infatti, per molti versi, il punto d’arrivo e compimento del percorso rappresentato dalle storie editoriali e dalle esperienze artistiche e personali fin qui riassunte. A questo punto, entriamo nel vivo della storia.
Nei confini dell’immaginaria città di Bigburg, una gigantesca e tentacolare metropoli nordamericana, in particolare nel quartiere di Oldmill village, si combatte una lotta invisibile ai più. Zick, il protagonista della serie, vive con la madre in un’enorme e polverosa casa in stile neogotico (a là Psycho, per intenderci). È un ragazzino timido, un po’ scontroso, stralunato, quasi lunare nel suo vittoriano pallore da recluso. Il suo carattere, unito a un numero apparentemente senza fine di allergie, lo tiene separato dai suoi coetanei. Elena Patata, la sua nuova vicina di casa, un’altra esclusa – ma dal carattere molto più determinato per quanto non meno fragile –, viene presto attratta nell’orbita di questo misterioso oggetto non identificato. Zick è molto diverso sia dalle impiccione ed elitarie ragazzine di quartiere, che tengono un archivio su tutto quello che succede nei loro dintorni e distinguono snobisticamente fra la parte “buona” e la parte “cattiva della città, sia dai bulli della scuola. Elena finirà per scoprire ben presto che quella casa, davvero troppo grande per sole due persone, non è così vuota come sembrava inizialmente. Insieme all’amico Zick e ad altri comprimari votati all’avventura Elena dovrà affrontare pericoli e orrori al di là della propria immaginazione.
Ridefinire il fumetto per adolescenti
MA è una commedia horror per adolescenti. Questo non significa però che gli aspetti umoristici prevalgano su quelli orrorifici della narrazione. Anzi. Per quanto questi siano certo levigati nelle loro spigolature più “gore”, non mancano però di insinuare nel lettore una strisciante angoscia che è uno dei fili conduttori della serie e uno dei suoi aspetti più affascinanti, specialmente se si confronta questa vena inquietante, politically uncorrect (uno dei mostri, durante una fuga, saluta ripetutamente i propri inseguitori con il gesto dell’ombrello) e certamente tenebrosa con gli altri fumetti Disney italiani del periodo, sottoposti in quegli anni ad una pesante cura edulcorante.
MA vide la luce per l’impegno di un gruppo di quattro autori, di cui tre ci sono già noti: Francesco Artibani e ai testi e Alessandro Barbucci e Barbara Canepa ai disegni. Due coppie di autori – nel lavoro e nella vita – che vennero ben presto affiancate nell’impresa da altre ottime penne (e pennini) del fumetto italiano, pur restando nel ruolo di supervisori per le storie da loro non direttamente realizzate. Per dar vita a MA Artibani e Katia Centomo creano la società Red Whale, nata per gestire i diritti dei personaggi di proprietà degli autori e la declinazione dei loro progetti su media diversi, come serie animate, libri e videogiochi.
MA, che pure venne inizialmente distribuito in Italia dalla Walt Disney Company Italia sotto l’etichetta Buena Vista Comics, pur presentando personaggi inediti e non tipicamente disneyani al pari di W.I.T.C.H., era un prodotto sviluppato e interamente dai suoi creatori attraverso la Red Whale, che si occupò di ogni aspetto del progetto editoriale. Non si tratta, come potrebbe sembrare, di una differenza da poco. Non solo perché questo tipo di contratto permetteva agli autori, per la prima volta nella lunga storia della Disney nel nostro paese, di percepire i diritti delle vendite e di qualsiasi altro tipo di sfruttamento commerciale delle loro opere, ma anche perché, come e più che nel caso già citato delle cinque W.I.T.C.H., era così possibile lasciare ampio spazio a tematiche difficili da far rientrare nei canoni disneyani. La madre di Zick, ad esempio, viene presentata come una vedova giovane e gioviale; quella di Elena è incinta, con un pancione ben evidente lì a dimostrarlo. Niente più zii e zie alla Paperino o alla Topolino, per intenderci, ma personaggi più realistici, più vicini all’esperienza di tutti i giorni.
Anche se la violenza nei confronti degli umani è per forza di cose tenuta sottotraccia e raramente ha conseguenze evidenti o durature, quella verso gli animali è realisticamente ‘sadica’. Le pellicce, spoglie mortali e conservate in naftalina di animali da tempo defunti, si lamentano della loro condizione di accessori d’abbigliamento. Oscure presenze rapiscono gatti allo scopo di ucciderli e scuoiarli, mentre umani psicopatici annegano intere cucciolate di cani appena nati gettandoli nel fiume legati in un sacco. E se è vero che il sadismo nei confronti degli animali si configura ancora come uno dei grandi tabù dell’industria dell’intrattenimento, tanto che spesso azioni di questo genere vengono usate per caratterizzare un antagonista come particolarmente malvagio, al tempo stesso, in un fumetto per ragazzi come MA uno stratagemma di questo tipo consente di rappresentare l’irrappresentabile. Alzare il limite di quello che si pensa sia lecito mostrare a questo tipo di pubblico, mettere in scena la morte senza però coinvolgervi direttamente i protagonisti adolescenti.
E non si è ancora parlato degli antagonisti principali. A partire dagli Spettri Neri, che divorano i mostri con feroce voracità o le Anguane, umane votate in egual misura all’alchimia e al commercio, dotate di una forza straordinaria e di una commisurata quanto pratica crudeltà da broker. Un piccolo circo degli orrori che si arricchirà di nuove presenze nel proseguo della serie e di cui qui non vorremmo svelare troppi dettagli. È bene sottolineare, però, che MA si presenta come un fumetto incentrato in maniera particolare sul corpo o, per dirla meglio, sui corpi.
Tra mostri buoni che perdono – letteralmente – pezzi e che sono capaci di scambiarsi arti e occhi, corpi gelatinosi dentro i quali, a non far troppa attenzione, si rischia di rimanere inglobati, filamenti di muco, animali scuoiati, donne incinte, neonati da cambiare, fogne, bocche sbavanti, corpi semidecomposti, rughe di centinaia di anni esibite con vanità e un protagonista allergico a praticamente tutto, MA acquisisce quasi una dimensione sinestetica, fra sensazioni tattili, puzze e suoni (frequentemente rutti, peti, ecc.). Nessun pudore, insomma, nel dare ai bambini quello che più desiderano, che più li diverte e li spaventa, alzando al tempo stesso un po’ l’asticella di ciò che è adeguato rappresentare in una pubblicazione di questo genere. Un tipo di scelta che sicuramente rispecchia anche i gusti degli autori, così come le loro letture (e “visioni) più o meno recenti – in MA come tutti i prodotti per l’infanzia e l’adolescenza di maggior successo degli ultimi anni la nostalgia gioca un ruolo spesso centrale – ma che è anche sintomatica della loro capacità di “fiutare l’aria” per così dire, di allinearsi e in alcuni casi anticipare le tendenze del momento. MA, infatti, funziona così bene grazie ad una interessante alchimia che vede un rimescolarsi di influssi di diverso genere provenienti da media ed epoche diverse.
Questioni di stile
Partiamo dal disegno. Lo stile grafico della serie, impostato e poi supervisionato dalla coppia Barbucci&Canepa deve molto al manga. I due, che avevano già espresso la loro chiara predilezione per il mondo del fumetto dell’animazione nipponico creando graficamente le W.I.T.C.H., portarono a termine questo percorso di sperimentazione e contaminazione (di certo non solitario, si pensi anche solo a Massimiliano Frezzato) con Sky Doll, la cui pubblicazione iniziò in Francia nel 2000. Lontano dalla preziosa cura formale e dallo stile patinato e a volte barocco di Sky Doll, MA, probabilmente anche per questioni legate ai tempi di pubblicazione di una serie mensile da edicola ai cui disegni collaborano diversi autori, si presenta con un design più fresco, dinamico e minimale.
Questo è particolarmente evidente nel primo numero, nella sintesi grafica dei personaggi e nella loro caratterizzazione mimica. Si vedano ad esempio la reazione scocciata di Elena alla visita dell’inquietante coppia di sorelle Patty e Tatty, le espressioni delle due e, ancora, a come reagisce la co-protagonista al primo incontro con Zick. Nel proseguo della serie questi “prestiti” dal fumetto giapponese si faranno meno frequenti e meno evidenti, favorendo di uno stile più uniforme. Al tempo stesso, però, MA è un ottimo esempio dell’atteggiamento sincretico che caratterizza gran parte del fumetto contemporaneo. Lo stile grafico è sì molto vicino al manga ma deve molto anche alla grafica dei videogiochi e all’illustrazione contemporanea – in particolar modo per l’uso del colore – così come al fumetto umoristico europeo, in particolar modo francese. La “gabbia”, cioè il tipo di griglia adottato per suddividere la tavola in vignette, ci riporta ancora in Francia – pur senza rigidità citazioniste – ma nel contesto di un formato dell’albo che è quello tipico dei comic book americani.
Per quanto riguarda la sceneggiatura assistiamo ad un processo simile. Centomo, co-creatrice della serie e autrice dei soggetti, e Artibani procedono sovrapponendo stili, suggestioni, stilemi narrativi e influenze fra loro diversissime ma ben amalgamate in un fumetto eterogeneo e composito. L’ambientazione, in questo senso, si offre quasi come una dichiarazione d’intenti. La prima tavola si apre sullo skyline di Big Burg (letteralmente “grande villaggio”), una moderna, trafficata, inquinata e indifferente metropoli. Attraverso la semisoggettiva di un insetto in volo sulla città ci avviciniamo ben presto a Oldmill Village (“il villaggio del vecchio mulino”), la parte più antica, il cuore primigenio di Big Burg. Le didascalie nel frattempo recitano «Oldmill Village, tre secoli fa la città, ancora giovane, era raccolta nei suoi confini fioriti. Ma il passato non svanisce mai veramente. Restano le storie…i ricordi…e i fantasmi…». Una città nella città, insomma, un angolo quasi fuori dal tempo ai margini della metropoli tentacolare. La prima casa che vediamo è quella di Elena e il primo “personaggio” che ci viene presentato è un vecchio capo pellerossa, nelle fattezze di una brutta statua portasigari intagliata nel legno. Un simbolo del cattivo gusto del buffo padre della ragazza, certo, ma anche di un altro passato, ancora di un altro tempo. Perché in MA niente é come sembra e praticamente tutto quello che si vede nasconde, contiene o ingabbia qualcosa d’altro. I mostri, invisibili e spesso pacifici, vivono in una città sopra la città di Big Burg. Le case di Oldmill Village sono rifugi per le creature più strane, le fogne, i mari, persino le pozze ospitano inquietanti creature. Neanche gli umani sfuggono a questa logica. Uno schivo ragazzino di non robustissima costituzione custodisce segreti che gli altri non sospettano e controlla poteri che neanche lui sa di avere. Amici lontani in visita in città sono anche qualcosa d’altro e diventeranno altro ancora, vecchie zie inacidite dall’età possiedono insospettabili e inquietanti risorse, i bulli che imperversano per i corridoi della scuola nascondono personalità ben più complesse di quelle immediatamente rilevabili, dietro lo sguardo sardonico dei gatti non si cela solo animalesca vacuità e persino i commercianti porta a porta non vendono quello che ci potremmo aspettare. Dietro ogni muro, dietro ogni personaggio, dietro ogni porta c’è qualcosa di diverso dall’apparenza, e anche togliendo il primo velo se ne può trovare un altro e un altro ancora.
Come antico e moderno convivono nell’accostamento fra le due città, quella nuova e quella antica, così lo fanno nei riferimenti che gli sceneggiatori usano per le loro storie. Il racconto di un ragazzino impacciato con dei superpoteri – tipico della narrativa supereroica, si pensi a Spider-Man – s’intreccia, da una parte, con una struttura a livelli molto simile a quella dei videogiochi, con mostri sempre più forti da affrontare man mano che si procede verso la risoluzione finale; dall’altra con la logica delle serie animate – ancora una volta prevalentemente nipponiche – in cui i protagonisti non solo si trovano nella necessità di acquisire via via nuovi poteri e nuove competenze commisurate al crescente impegno richiesto dalla loro missione ma al tempo stesso devono affrontare tutte le sfide che l’adolescenza gli pone di fronte, nella direzione dell’affermazione di sé.
L’influenza dell’esperienza di Artibani – non a caso definito giustamente «sceneggiatore multimediale» nel capitolo a lui dedicato nel saggio I Disney Italiani (Npe) – acquisita dall’autore nel campo dell’animazione, si avverte con particolare evidenza nel ritmo della narrazione e nella scansione degli episodi della serie, organizzati come stagioni televisive. Va anche detto, per completezza, che nel corso dei primi numeri non si avverte subito l’intenzione di una programmazione sul lungo periodo. La sensazione è quella di una certa dose di improvvisazione abbinata alla capacità di riportare gli elementi accumulati nel corso delle narrazioni verticali dei singoli episodi, o cicli, nel complesso della narrazione orizzontale della serie, senza che tutto sembri scritto necessariamente a tavolino in una pregressa fase di pianificazione. Se questo porta ad alcune ruvidità (improvvise accelerazioni e rallentamenti nel ritmo del racconto, un respiro complessivo che fatica ad imporsi immediatamente) d’altro canto permette a MA di essere fruito, almeno all’inizio, come una raccolta di racconti e di fiabe, in cui ogni episodio favorisce l’occasione di mettere in scena un’intuizione diversa, una diversa fantasia, un diverso colore narrativo. Ciò conferisce a questo fumetto una gamma molto ricca di sfumature, tutte poi intelligentemente irreggimentate al momento di far quadrare i conti nel complesso del quadro narrativo seriale più ampio.
Influenze e omaggi
Questo per quanto riguarda la modernità che caratterizza MA. D’altro canto l’universo di questo fumetto non sarebbe così ricco se non fosse attraversato trasversalmente da altri tipi di sensazioni e influenze: i racconti di fantasmi, quelli di pirati (il personaggio del fantasma del Pirata Barbaruffa ha molti aspetti in comune con quello di Hector Barbossa della saga cinematografica de I pirati dei Caraibi), le fiabe di matrice popolare (si veda la storia nella storia dei tre fratelli Gatin, Gaton e Gatasso raccontata negli albi 10 e 11. Uno stilema classico del fiabesco popolare), i film di zombie ma anche tanti fumetti: Spirou, il Baru de Gli anni dello Sputnik e molti classici della letteratura di genere avventuroso. Non manca, inoltre, lo spazio per omaggi diretti. Ne riporteremo solo un paio.
Il mostro che imperversa per le strade di Oldmill nel numero nove della serie, Il ritorno di Zob, è chiaramente ispirato ai rattodonti, nemici giurati dei Bone dell’omonimo fumetto di Jeff Smith. Non a caso la prima edizione italiana di Bone fu fortemente voluta, oltre che tradotta e supervisionata, dallo stesso Artibani per l’editore Macchia Nera, per cui lo sceneggiatore scriveva storie di Lupo Alberto e le “strissie” de L’Omino Bufo. Nello stesso episodio, disegnato da Federico Nardo – uno dei molti bravi artisti che contribuirono alla realizzazione di MA – sono presenti omaggi a molti personaggi dei comics americani: L’Uomo Ragno 2099, Robin, Flash, Thor, Magneto e il Punitore. Insomma, un divertente e interessante melting pot che però non si esaurisce in una funzione citazionista postmoderna – aspetto a dire il vero piuttosto marginale – ma che rappresenta il giusto pizzico di sale sulla base di una narrazione solida, particolarmente sensibile nel descrivere le sfumature di quell’età di difficile transizione che è l’adolescenza e che è capace anche di qualche bella invenzione poetica (un esempio è il personaggio di Charlie Shuster, uno dei più riusciti della serie). E, perché no, anche di qualche azzeccata frecciata satirica.
Dalle precedenti esperienze con le altre testate disneyane che sfruttavano lo stesso formato – le già citate PKNA, W.I.T.C.H., ma anche X-Mickey e Mickey Mouse Mistery Magazine – il gruppo di lavoro all’opera su MA porta con sé anche le competenze per creare un prodotto che fidelizzi il pubblico attraverso l’uso di tutta una serie di elementi paratestuali come i redazionali, l’angolo della posta, gli approfondimenti ecc., allo scopo di offrire non solo un fumetto ma anche una comunità in cui il giovane lettore potesse sentirsi accolto, favorendo il suo processo di immedesimazione con i personaggi e con il loro mondo. Elementi che avevano lo scopo di moltiplicare i punti di vista sulle vicende narrate, creando una sorta di “Fascicolo MA” con la funzione di aumentarne l’illusione di realtà indotta dal fumetto. Gli elementi principali in gioco in questa simulazione erano principalmente due: le schede relative ai personaggi del fumetto, “estratte” dall’archivio del tutore Timothy-Moth; lo pseudobiblion, Il manuale del domatore dei mostri, un inserto collezionabile che permetteva ai giovani lettori di imparare a domare i mostri, così come riusciva a fare il protagonista Zick.
Inoltre, a corredo dell’avventura principale, in coda al mensile venivano presentate delle brevi avventure puramente umoristiche. In particolare Un bombak a Bibbur-Si, ambientata ne La Tana del Sollazzo, una disastrosa SPA per mostri, è un gioiellino di umorismo, ritmo e sintesi. Sceneggiata da Erika Centomo e Moreno Savoretti, Un Bombak a Bibbur-Si durerà purtroppo solo sei numeri.
Dopo meno di due anni e mezzo, a febbraio 2006 uscì il 29° e ultimo numero di Monster Allergy, che concluse il ciclo narrativo della serie. Nonostante ciò gli autori, in varie interviste, hanno più volte dichiarato che avrebbero avuto piacere di raccontare un’ultima storia, l’inedito numero trenta. L’edizione in due volumi di Tunué vi permetterà di godere dell’ultimo (?) capitolo di questa lunga, divertente e a tratti inquietante avventura creata in un importante momento di transizione dell’industria editoriale italiana a fumetti.
*Questo articolo è l’introduzione a Monster Allergy Deluxe Edition vol. 1 (Tunué, 2015) e qui riprodotto e aggiornato per l’occasione.