HomeMondi POPLetteraturaIl gatto in un appartamento vuoto: Alice Milani e Wisława Szymborska

Il gatto in un appartamento vuoto: Alice Milani e Wisława Szymborska

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«Preferirei rivendicare il diritto di non scrivere sulla mia poesia. Quanto più l’attività creativa mi assorbe, tanto meno sento la voglia di formulare un credo poetico…»

La discrezione con cui la poetessa polacca Wisława Szymborska accostava la poesia lasciava trasparire in filigrana un carattere schivo e poco auto-celebrativo. Gli anni in cui aveva apertamente militato nel partito comunista – pur maturando un forte distacco critico nei confronti dello stesso – avevano lasciato un segno: un forte senso degli altri, un sentimento che travalicava velocemente dall’io al noi. Come diceva Włodzimierz Bolecki: «Nelle sue poesie ciò che accade, accade semplicemente all’uomo, e il suo “io” è sempre “io”, uomo, e non “io”, Wisława Szymborska». Eppure, la giovinezza infatuata – come solo essa sa esserlo –  dei valori del real-socialismo e che aveva come modello unico quello di Majakovskij, «la cui lettura non avrebbe certo costretto il pastore del Kazakistan a scervellarsi.», così come voleva anche il Mao Ze Dong del discorso di Yenan, aveva lasciato il passo ad un linguaggio lieve, interessato alla banale quotidianità della vita, in cui inatteso e pur fragoroso compare il miracolo dell’Assoluto.

Leggi l’anteprima di Wislawa Szymborska. Si dà il caso che io sia qui

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Assai poco conosciuta al lettore italiano, la poesia della  Szymborska ha acquistato una sorprendente notorietà, grazie al Nobel di cui fu insignita nel 1996. Nell’arco di pochi anni le sue raccolte sono state pubblicate, conoscendo una diffusione e un riconoscimento insperato, ma meritatissimo, tanto da renderla voce unica e indispensabile per capire il secolo breve.

Non stupirà quindi che Alice Milani, autrice pisana in forze al collettivo La Trama, abbia voluto conservare questa stessa acuta levità, cercando di toccare con la discrezione che era propria della Szymborska alcuni episodi salienti della sua biografica, intrecciando lo spaesamento dell’aneddoto familiare – quasi rubato e  osservato dalle feritoie di un pano lacero – alla Storia, che altrettanto lievemente e indifferente sorvola sulle nostre, apparentemente, inutili vicende. Il prezioso volumetto che ne è venuto fuori è pubblicato da BeccoGiallo e nel corso del BilBOlBul sarà possibile anche ammirare le tavole dell’autrice in una personale a lei dedicata (QUI maggiori informazioni).

Il ritratto di Tullio Pericoli, che fa bella mostra di sé, nell’opera omnia pubblicata da Adelphi con il titolo La gioia di scrivere, a cura di Pietro Marchesani, non lascia alcun spazio all’immaginazione. Il pennino di Pericoli è netto nel restituire la fisiognomica della poetessa, restituendo in maniera luminosa tanto la severa misura quanto la tendenza al divertissement e al gioco (anche e soprattutto linguistico e grafico, si pensi ad esempio alle sue raccolte di limerick).

La Milani sceglie tratti imprecisi e sgranati per ritrarla: preferendo la freschezza della tecnica mista, dando e donando colore alle immagini sbiadite dal tempo. La segue, allora, nella sveglia mattutina: raccontandoci una giornata dell’Aprile del 1948, in cui la poetessa, sposa di Adam Włodek si trasferisce dalla casa dei genitori in via Radziwiłłowska alla Casa degli scrittori in via Krupnicza 22. Sono gli anni in cui – segretaria della rivista di redazione della rivista «Świetlica Krakowska» – si dedica all’illustrazione, pubblicando un delizioso libretto per bambini dedicato al gatto con gli stivali, su testo dello stesso Włodek. I collages, grande amore della poetessa, sfondano la parete dei ricordi per farsi testo. Alice da un gravità al testo utilizzando collages in bianco e nero, in cui limerick, poesia, storia e fantasia creano una forma spuria di narrazione, satura di rimandi.

Leggi anche: Nello studio di Alice Milani

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La narrazione se pur con rigore cronologico procede rapsodica: eccoci nella redazione di «Życie Literackie», dove la poetessa diresse la sezione dedicata alla poesia del settimanale, dove «sempre avara in materia di esternazioni letterarie», offrì invece acute pagine di annotazioni e riflessioni. Anni questi in cui matura una forte critica verso il regime comunista che culminano nella Lettera dei Trentaquattro consegnata da Antoni  Słonimski al Gabinetto del Primo Ministro e nella restituzione della tessera al Partito, in solidarietà al filosofo Leszek Kolakowski. La Milani – sapientemente – fa scontrare i due piani: quello personale e storico sino a rendere la parola stessa un elemento fisico: irriproducibile se non come ritaglio, scegliendo una delle liriche più importanti della Szymborska.

[…]

La stomatologia in forza alla diplomazia
garantisce sempre un risultato impressionante.
Canini di buona volontà e incisivi lieti
non possono mancare quando l’aria è pesante.
I nostri tempi non sono ancora così allegri
perché sui visi traspaia la malinconia.
Un’umanità fraterna, dicono i sognatori,
trasformerà la terra nel paese del sorriso.
Ho qualche dubbio. Gli statisti, se fosse vero,
non dovrebbero sorridere il giorno intero.
Solo a volte: perché è primavera, tanti i fiori,
non c’è fretta alcuna, né tensione in viso.
Gli esseri umani sono tristi per natura.
E quanto mi aspetto, e non è poi così dura.

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L’autrice procede così sino alla fine: alternando in un tenue chiaroscuro vita e destino, per dirla con Vassilj Grossman. Da un lato, il gatto in un appartamento vuoto – spettro di Komel Filipowicz, a cui la poetessa si era legata nei primi anni Ottanta, – e dall’altro il Premio Nobel, che corona una teoria di premi accumulatisi negli anni Novanta. La leggerezza con cui chiude il volume è un’ottima sintesi.

Eppure, alla fine la delicatezza con cui la Milani ha accostato la vita della Szymborska appare un po’ anodina, distratta e forse troppo tenacemente legata alla volontà di beatificazione intellettuale. C’è la vita certo, ma anche l’agiografia laica a cui ci siamo purtroppo abituati nel corso di questi ultimi decenni, in cui il poeta – razza ormai aliena e in via d’estinzione – è nella sua inattualità, forse peggio del filosofo, innalzato a rango di santo ed eroe della cultura. La difficile arte di restituire la vita di un altro uomo si scontra con la fugacità della parola e il limite del nostro essere al di là di tutto “un segno senza significato” come voleva il poeta pazzo nella stanza del falegname Zimmer.

Wislawa Szymborska. Si dà il caso che io sia qui
di Alice Milani
Becco Giallo Editore
141 pagine, colore – 19€

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