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Arkitekturstriper. Un’ambiziosa mostra su architettura e fumetto, a Oslo

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di Andrea Alberghini

Il rapporto poliedrico tra architettura e fumetto si presta, per sua natura, a molteplici letture e approcci. Se la rappresentazione dell’oggetto architettonico nel fumetto tradizionale è un campo d’indagine già da tempo largamente esplorato, non altrettanto può dirsi riguardo al crescente utilizzo del fumetto da parte di architetti e designer nella pratica professionale. Un ambito poco conosciuto e certamente di nicchia, ma che a uno sguardo attento si rivela particolarmente stimolante e meritevole d’attenzione. Anche per la sua diffusione internazionale.

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La locandina della mostra

In questo senso può indubbiamente essere considerato seminale Bricks & Balloons di Mélanie van der Hoorn (010 Publishers, 2012), un saggio curato e approfondito, frutto di una ricerca pluriennale condotta sul campo dall’autrice attraverso confronti diretti con architetti, designer e autori di fumetti. Un volume che ci aveva colpito, a suo tempo, per l’ampiezza del materiale documentale analizzato, in gran parte riprodotto all’interno delle sue pagine. Nonostante la scorrevolezza del testo, esso resta comunque uno studio di impostazione accademica principalmente indirizzato agli addetti ai lavori o a chi possieda una certa familiarità con l’architettura.

Inaugurata lo scorso 9 ottobre presso il Museo Nazionale di Architettura di Oslo, e visitabile fino al 28 febbraio 2016, la mostra Arkitekturstriper: Architecture in Comic-Strip Form origina proprio dal libro della van der Hoorn – co-curatrice con Anne Marit Lunde della mostra stessa – ma si propone di illustrare il fecondo rapporto tra architettura e fumetto a un pubblico più vasto.

La mostra: i materiali e l’allestimento ‘tridimensionale’

L’esposizione si articola in sette sezioni tematiche dai titoli autoesplicativi, sei delle quali (Subjective reportage, Imagination, Concept, Critique, Design Tool, Presentation) sono ospitate nel padiglione delle mostre temporanee, opera in vetro strutturale e calcestruzzo dell’architetto norvegese Sverre Fehn, mentre la settima (Inspiration), che funge da ideale preludio alle precedenti, è allestita in un locale dell’edificio storico in stile neoclassico di Christian Grosch, corpo principale del complesso museale. Una scelta curatoriale, questa, quanto mai pregna di significato, in quanto la sala dell’edificio di Grosch, che in passato era una banca, ha il compito di “custodire” veri e propri “tesori” quali le opere ispiratrici di Winsor McCay, François Schuiten, Chris Ware, oltre che oggetti rari e sorprendenti come la lettera indirizzata da Le Corbusier a Madame Meyer nel 1925; missiva, questa, nella quale il famoso architetto illustrava alla sua potenziale cliente il progetto di una villa unifamiliare attraverso una sequenza “fumettistica” di disegni prospettici raffiguranti gli interni e gli esterni dell’edificio da lui concepito.

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L’apertura della sezione ‘Presentation’

Oltre che di disegni e tavole originali, la mostra si compone di pubblicazioni cartacee, proiezioni, video, fotografie e modelli d’architettura, presentando quindi una notevole ricchezza di materiale eterogeneo che permette di comprendere al meglio la portata e lo sviluppo dei singoli progetti.

Tra gli autori delle tante opere esposte, cito qui, a mero titolo di esempio: OMA, DAS, Moon Hoon, De Urbanisten, Richard Dietrich, Jimenez Lai, Yona Friedman o il duo composto dagli italiani Alberto Cipriani (RAD Studio) e Mauro Marchesi.

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Un dettaglio dal progetto di Mauro Marchesi, in cui la sua serie Hollywood Bau ha interagito con gli spazi di un edificio di 12 piani a Hong Kong

L’allestimento curato da Håkon Matre Aasarød, giovane architetto norvegese presente anch’egli in mostra con i propri lavori, si ripromette di far letteralmente entrare il pubblico dentro il fumetto, trasformato in architettura. La visualizzazione della metafora avviene attraverso il varco obbligato di una soglia costituita da un portale realizzato in compensato che ingigantisce e simula, rendendola al contempo tridimensionale, la pagina di un fumetto.

L’artificio semplice ed efficace che ne accentua la profondità – l’utilizzo di piani obliqui, anche dipinti di nero, nella costruzione delle nicchie che rappresentano le singole vignette – caratterizza a più riprese l’allestimento, consentendo di esporre il materiale tanto in verticale quanto, all’occorrenza, su un piano inclinato. Scelta, quest’ultima, che permette di rendere fruibili ai visitatori le pubblicazioni relative alle opere esposte, che possono così essere comodamente sfogliate di fronte agli originali. L’utilizzo di materiali poveri richiama la “povertà” congenita del medium fumetto e, in combinazione con le scelte compositive del progettista, forma la base di un interessante dialogo/interazione con l’architettura solo in apparenza semplice del padiglione di Fehn.

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Un dettaglio delle soluzioni di allestimento

Il catalogo: le motivazioni e i progetti degli architetti

La tridimensionalità della vignetta è dunque il concept del progetto allestitivo. Esso informa anche la grafica in rigoroso bianco e nero dell’esposizione, e trova applicazione magistrale nell’immagine di copertina dell’agile catalogo che accompagna la mostra. Il retino puntinato, che qui sostituisce la campitura nera utilizzata in alcune pannellature dell’allestimento, richiama al contempo le opere di Roy Lichtenstein e la striscia Meet the Nelsons! di Wes Jones (altro architetto presente in mostra) fondendo felicemente in una singola immagine “vuota” i riferimenti ad arte, fumetto, grafica e architettura. La scelta accorta di una carta uso mano e la stampa leggermente in rilievo del titolo in copertina sono ulteriori dettagli che testimoniano la cura dedicata alla realizzazione della pubblicazione da parte dello studio Bielke&Yang. Il volume, di formato 19×27, si presenta dunque come un oggetto piacevole da tenere in mano e da sfogliare. E piacevole ne risulta anche la lettura. Invece di costituire un sunto del libro della van der Hoorn, il catalogo si divide in due sezioni distinte introdotte da uno scritto di Nina Berre, direttrice del museo, che spiega brevemente la genesi e gli obbiettivi della mostra.

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Una foto pubblicata da Ole Aastad Bråten (@oleaastad) in data:

 

La prima delle due sezioni, intitolata “Dietro le quinte”, assume la forma di una conversazione informale tra le due curatrici, che in tono discorsivo ripercorrono le ragioni della mostra, gli assunti iniziali e le scelte effettuate. L’urgenza di uscire dal dominio del digitale, che spesso finisce per appiattire in uno sterile rendering fotorealistico le qualità di un progetto d’architettura, viene individuata da Lunde e van der Hoorn come una delle principali ragioni del crescente interesse dimostrato dagli architetti nei confronti del fumetto quale mezzo per comunicare in modo efficace i propri progetti e idee. Non solo. Per alcuni architetti, il fumetto, linguaggio di narrazione, diventa addirittura un ambiente progettuale all’interno del quale sviluppare il processo creativo. Una spinta a uscire dai rigidi canoni della disciplina architettonica avvertita già negli Anni Sessanta dallo straordinario collettivo inglese Archigram, che fondeva tecnologia ed estetica pop in progetti d’avanguardia teorici e provocatori, e un cui collage fumettistico è significativamente esposto nella sala della mostra dedicata alle fonti d’ispirazione.

La seconda parte del catalogo presenta invece le schede stilate dalla van der Hoorn di sei architetti/studi di architettura particolarmente significativi: il già citato Håkon Matre Aasarød, Matthias Gnehm, Quiet Time, Studio Asynchrome, TAM Associati e Wes Jones. Fatta eccezione per la posizione liminare di Gnehm, al contempo architetto e fumettista professionista, quella offerta dagli altri progettisti citati è una panoramica necessariamente sintetica dei modi in cui il fumetto viene attualmente integrato dagli architetti nella pratica professionale; ne sono felici esempi tanto la presentazione in forma narrativa di opere realizzate (TAM Associati) e di progetti di concorso concreti o visionari (Wes Jones/Quiet Time), quanto l’applicazione di quella stessa forma tra ricerche (Håkon Matre Aasarød/TAM Associati) e interventi di critica disciplinare (ancora Wes Jones/TAM Associati), nonché la peculiare e intima fusione di opera, pensiero e narrazione che caratterizza i lavori dei giovanissimi Marleen Leitner e Michael Michael Schitnig di Studio Asynchrome.

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Il catalogo della mostra, in vendita al bookshop, accanto al volume Bricks & Balloons

Con la riproduzione di circa una sessantina delle opere in mostra, il catalogo si presenta dunque come un’introduzione ideale al tema, leggero e scorrevole ma anche denso di stimoli e fertile punto di partenza per chi fosse desideroso di ulteriori approfondimenti.

* Le foto in questo articolo sono © Mauro Marchesi

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