Charles Schulz ha scritto e disegnato i Peanuts per cinquant’anni. Per molti il periodo d’oro si situa nei primi due decenni di attività. Dopo gli anni Settanta, i Peanuts si sono cristallizzati, diventando norma e canone (temendo questo, alcuni autori si sono fermati prima). Kevin Wong di Kotaku ha analizzato la presunta involuzione della striscia prendendo come punto di riferimento Snoopy, il cane di Charlie Brown, visto come capro espiatorio del declino.
Dal suo debutto, Peanuts è sempre stata una striscia sulle brutture dell’essere bambini e su come questi siano individui vessati dagli stessi difetti degli adulti. Sanno essere crudeli, sarcastici e irrazionali. Schulz ha usato i bambini per parlare del proprio paese, dell’ansia causata dal dover essere all’altezza del sogno americano.
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Il fallimento è una delle colonne portanti della serie. Charlie Brown, incapace di calciare la palla da football, Linus, attaccato alla sua coperta, o Lucy, incapace di far innamorare Schroeder, affrontano su base quotidiana il fallimento. Anche Snoopy, pur non essendo legato ad alcun tipo di convenzione sociale, è una cane costretto a essere cane, a interagire con i bambini in vari modi, spesso in posizione di subordinazione. «La sua ricerca identitaria – sotto forma di altri animali o di figure umane – falliva di continuo ma forniva un’esemplificazione di cosa fosse l’auto accettazione e il bisogno di sognare.»
Con il progredire della striscia il cane ha ottenuto uno spazio via via maggiore, cambiando aspetto ma soprattutto carattere. Da un canide nella norma ha assunto connotati umani, ha iniziato a camminare su due zampe, a usare le mani, a essere appellato da Piperita Patty come il ‘bambino buffo con un gran naso’. Di fatto, umanizzandolo, Schulz ha cancellato qualsiasi conflitto insito nel personaggio.
Anche l’introduzione di Woodstock non ha giovato a Snoopy, che non era più obbligato a interagire con gli umani ma poteva starsene nel proprio mondo insieme alla banda di uccellini. «Ora era un umano con un costume da cane che interpretava una miriade di ruoli diversi» scrive Wong, «nessuna di queste gag aveva un risvolto tematico o una profondità di sorta. Erano solo una serie di vestiti nuovi, come se Schulz stesse anticipando la richiesta di materiale da quelli del marketing.»
Secondo il critico Christopher Caldwell, autore di un vecchio articolo per il New York Press, Snoopy si è mangiato la striscia, sbilanciando l’equilibrio tematico che Schulz aveva instaurato tra Charlie Brown, Lucy e Linus. Charlie Brown è un protagonista reso memorabile dalla sua resilienza e dal suo vacillare tra il quasi felice e il quasi triste: per raggiungere dei risultati si espone a umiliazioni cocenti, eppure non è mai un perdente totale (è il lanciatore della squadra di baseball, non una riserva).
A un certo punto, queste dinamiche smisero di essere al centro degli interessi di Schulz: «La mia idea era che Charlie Brown si sforzasse moltissimo a fare le cose e voleva piacere a tutti, ma mi sono discostato da quella interpretazione.» Preferiva costruire attorno a Snoopy un universo indipendente, fatto dai fratelli o da Woodstock. Per Caldwell, il riff sulle situazioni etichettate come ‘carine’ che coinvolgevano Snoopy ha fatto diventare Peanuts «pornografia quotidiana del sentimentalismo.»
Tra le cause del declino qualitativo, Caldwell cita inoltre la crescita dei figli di Schulz che potrebbe aver compresso la striscia, visto che l’autore attingeva dagli episodi che capitavano ai figli (la figlia funse da modello per Schroeder, il tormentone del Barone Rosso derivava da un gioco che Schulz faceva con il figlio); altri pensano che non fosse più in grado di cogliere lo zeitgeist, altri ancora indicano le pressanti attenzioni che andavano dedicate al merchandising, un aspetto che toglieva onestà ai fumetti veri e propri.
Stephan Pastis, autore della striscia Perle ai porci, afferma nel documentario Dear Mr. Watterson: «Quando Snoopy ha cominciato a vendere assicurazioni sulla vita o a fare da portavoce per delle corporazioni, mi è sembrato come quel cugino che dopo tanti anni di amicizia ti si avvicina chiedendoti se vuoi sottoscrivere un’assicurazione. Voglio dire, tutta la nostra relazione è stata costruita per portare a questo momento? Cose del genere ti fanno rivalutare la situazione e, per me, ne compromettono persino i ricordi passati.»