C’è stato un tempo in cui la Marvel ce la metteva davvero tutta per farci dimenticare il suo vecchio motto “super eroi con super problemi”. In un batter d’occhio si era passati da un Peter Parker che non riusciva a sbarcare il lunario a un Tony Stark pronto a pavoneggiarsi del suo valore economico da multimiliardario. Non dimentichiamo poi le onnipresenti didascalie con cui zelanti sceneggiatori ci ricordavano come Reed Richards fosse il più grande genio scientifico del pianeta (mi pare fosse negli Ultimates la vignetta in cui giocava quattro partite a scacchi contemporaneamente) e via discorrendo. Insomma, in confronto a Loro noi non siamo nulla. Come in una DC qualsiasi.
Il grande salto era avvenuto più o meno con l’arrivo sul mercato della prima serie degli Ultimates, dando il via a una moda tanto esaltante in un primo momento quanto noiosa nell’arco di una manciata di anni. Sentore che deve essere arrivato anche ai piani alti della Casa delle Idee, tanto da cercare di arginare i danni dando il via a una sorta di sottofilone dedicato alle seconde linee. Personaggi un poco ridicoli, consapevoli di vivere all’ombra dei veri protagonisti. Eppure i vari Occhio di Falco, Squirrel-Girl e – da qualche tempo a questa parte – Ant-Man stanno popolando le pagine di alcune delle migliori serie Marvel delle ultime stagioni. Un segnale forte di come il continuo gioco al rialzo abbia ampiamente stancato, a favore di un ritorno alle origini ben ricalibrato ai nostri tempi.
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Prendiamo questa nuova gestione di Ant-Man. Nell’arco dei primi cinque numeri gli unici veri nemici che deve fronteggiare sono la disoccupazione, l’ex-moglie, i sensi di colpa da padre assente e l’età che avanza. Geniale, da questo punto di vista, mettergli in bocca solo citazioni comprensibili a nerd non proprio di primo pelo (voglio vedere quanti adolescenti sanno cosa sia il terzo livello di Battletoads). Da questi presupposti prende il via un breve story-arc dove si parla moltissimo, richiedere un mutuo in banca è una sfida degna di Secret Wars e i vecchi nemici – sfigati tanto quanto il protagonista – ricompaiono solo per elemosinare un lavoro. Insomma, proprio come voleva il buon Stan Lee, gli eroi Marvel si muovono nel nostro stesso mondo e hanno i nostri stessi problemi.
A occuparsi di questa sorta di ritorno a casa è stato messo uno scrittore brillante e acuto come Nick Spencer, davvero a suo agio con toni da commedia (tanto per fare un esempio il dialogo tra Scott Lang e Taskmaster del terzo numero è una bomba). A questo punto cosa potrebbe andare male? Se ci fermassimo a un livello superficiale nulla. Ant-Man è un’ottima serie: ritmata, divertente e piena di momenti carichi di calore umano davvero sentito. Ovvero molto, molto di più di quello che offrono titoli ben più blasonati.
Le cose incominciano a peggiorare quando ci poniamo qualche domanda in più su quello che abbiamo tra le mani. Il fumetto supereroistico ha sempre avuto dalla sua una forte carica visionaria, motivo per cui si sopportavano mantelli, costumi e tutto il resto delle manfrine di cui in realtà si sarebbe fatto volentieri a meno. Pensateci bene, se una delle prime cose portate da Grant Morrison durante la sua gestione degli X-Men era stata la sostituzione delle tutine colorate con abiti da motociclista un motivo ci dovrà pur essere. Ma poco importa, perché quello che avevamo sulla pagina erano sì i problemi di tutti i giorni inguainati nel latex, ma anche scontri titanici, astronavi, mostri dal sottosuolo, dimensioni parallele e chissà che altro. I disegnatori avevano di che sbizzarrirsi, dando un senso al fumetto d’evasione. Sfido chiunque a dare uno sguardo a qualche tavola di Jack Kirby, Walter Simonson o Jim Steranko e a non sentirsi risucchiato in un mondo di avventure senza freni. Davvero un risultato eccelso, nobilitante per il mezzo e appagante per il lettore.
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Se invece ora si deve passare a una quotidianità fatta di iperscrittura e ridicolizzazioni dell’impeto supereroistico allora qualcosa deve cambiare anche a livello di progettazione grafica. Ramon Rosanas è un ottimo disegnatore, dotato di un tratto particolareggiato e di uno storytelling davvero efficiente. Da buon europeo votato al fumetto di genere non sgarra praticamente mai, mette la solidità davanti a tutto e fa del funzionalismo il suo massimo valore. Si concede giusto un minimo di plasticosità in più rispetto a tanti colleghi, una sorta di piccolo vezzo modernista. In confronto ai suo lavori francesi su Ant-Man limita il numero di tratti al minimo e cerca di risultare il più schematico possibile, ma lo stridore con la sceneggiatura è ancora troppo forte per essere ignorato. In certi particolari ravvicinati pare voler scimmiottare il tratto pastoso di Aja su Hawkeye, come a dare un senso di continuità tra due serie outsider.
A conti fatti, e nonostante tutti questi accorgimenti, la serie dedicata a Scott Lang avrebbe richiesto un disegnatore davvero in grado di tirare fuori il lato tragicomico di un quarantenne che si reca a un colloquio di lavoro in tutta da super-eroe. Non certo di un grande mestierante che cerca di fare l’artista disegnando un po’ più rozzo del suo solito. Forse in questo modo, affidando al disegno parte della narrazione e della costruzione dell’atmosfera, ci saremmo risparmiati qualche didascalia chilometrica di Spencer, evidentemente preso da grafismo compulsivo. Sempre di ottimo livello, sia chiaro, ma alla terza tavola di fila composta solo da mezzibusti intenti a battibeccare la voglia di mollare tutto per leggere un vero romanzo – quelli senza immaginette a disturbare – è piuttosto forte.
Chiariamo una cosa: nessuno pretende di vedere Clowes – stiamo parlando di vite incolori, no? – al lavoro su di una serie Marvel, ma sicuramente qualcuno di più in linea con l’idea alla base di questo rilancio lo si poteva trovare. L’esempio che mi piace sempre fare in questi casi è la perfetta fusione tra il tratto di Adrian Alphona e le tematiche della storica, prima serie dei Runways. Per tratteggiare adolescenti dall’identità fluida e sfuggente niente di meglio di un miscuglio di influenze tra manga, videogioco e design urbano. Su Ant-Man invece il risultato è un prodotto a metà, con un potenziale davvero notevole (soprattutto sulla lunga distanza, come ogni opera basata sulla piccola quotidianità) tarpato dal mercato troppo generalista a cui è stato destinato. E infatti, dopo solo cinque numeri, è stato sospeso. In attesa del nuovo numero 1 pianificato per ottobre possiamo dire: ben fatto Marvel, ben fatto.
Ant-Man #1
di Nick Spencer e Ramon Rosanas
Panini Comics, 2015
64 pagine, 3,00 €