L’edizione 2015 del Comic-Con di San Diego mostra sempre più una tendenza che col costante aumento di pubblico generalista non ha fatto che acuirsi.
In un pezzo per Grantland, lo sceneggiatore Van Jensen (The Leg, Flash) ha analizzato la situazione evidenziando molte delle criticità di cui vi avevamo già parlato. Pur rimanendo, almeno a livello d’immagine, l’evento principale del mondo fumettistico (e di un certo cinema), San Diego non è più l’unico luogo di grandi annunci: «I tuoi comunicati si perderanno nel rumore. È un effetto di cui si parla molto tra professionisti. Il Comic-Con porta con sé così tante novità che nessuno vuole svelare qualcosa lì. […] Ero estasiato quando il mio editore mi ha detto che avrebbe annunciato i miei nuovi progetti al Comic-Con di New York invece che qui a San Diego.»
Anche una grande realtà come la Marvel ha deciso di rivelare i piani futuri prima dell’inizio della manifestazione. A questo si aggiunge il fatto che alcune compagnie più o meno grandi hanno messo in piedi una convention personale per dare eco ai propri progetti (l’Image Expo, il D23). Non solo San Diego si è fatta superare in termini di presenze dal giovane Comic-Con di New York, ma anche manifestazioni all’apparenza minori, come quelle di Denver o di Phoenix, hanno superato le 100.000 presenze, «una cosa implausibile solo qualche anno fa.»
L’ultima edizione Comic-Con si è distinta per una risposta decisa alla crescente domanda di diversità rappresentativa all’interno dell’industria. Dal ritorno dell’etichetta afroamericana Milestone Comics al lancio di EuropeComics.com, un progetto a cui partecipa una coalizione di editori da mezza Europa e che punta ad allargare la presenza di fumetti europei sul suolo statunitense.
«C’è molta diversificazione» ha confermato il vicepresidente delle vendite della Diamond Book Distributors Kuo-Yu Liang, «e c’è grande fermento per i mercati emergenti di India, Malesia e Sud America». La diversità è stata rispecchiata anche dai risultati degli Eisner Awards, grazie alla vittoria di fumetti Young Adult come Lumberjanes e all’incoronazione di autrici come Emily Carroll, Fiona Staples e Ariel Cohn.
Ma per chi vive di fumetti sembra ci sia poco da gioire: «Certo, c’è molta gente. Ma la gran parte di loro è qui per sperimentare ‘l’esperienza della convention’. Non c’è il fan di ferro che cerca nuovi fumetti o pezzi rari per la propria collezione. Gli ambienti più affollati sono sempre quelli di tv, videogiochi e giocattoli».
Paul Guinan e Anina Bennett, creatori della serie Boilerplate, hanno parlato con Publishers Weekly della questione: «C’è sempre meno gente che compra i tipi di lavori che produciamo noi, perché questi appuntamenti sono sempre di più uno spettacolo per un pubblico generico, non di fan».
«È un problema di tutte le grandi fiere» continua Bennett «ma quella di San Diego in particolare, è troppo grande, esagerata, costosa e sparsa per tutto il centro convegni.» Un sentimento che condividono quelli della casa editrice canadese Drawn & Quarterly, che pure affermano di aver venduto bene con volumi come Super Mutant Magic Academy e l’antologico per i 25 anni di vita della casa editrice. Anche le iniziative a carattere culturale, come l’inedito utilizzo della San Diego Central Library per eventi dedicati alla promozione della lettura da parte del Comic Book Legal Defense Fund, non hanno attratto molti visitatori. Visitatori che sono sempre più incidentali. The Beat riporta una fonte secondo cui la convention attira di norma 60.000 persone in più rispetto ai dati ufficiali. Il numero si riferisce a quelli che, senza biglietto, gironzolano per la città sperando di incappare in qualche celebrità. Quest’anno, secondo il sito, la cifra sarebbe salita a 250.000 persone.
Mentre i panel televisivo-cinematografici, nonostante gli studi abbiano frenato gli sforzi promozionali alla luce di insuccessi al botteghino, dominano le giornate fieristiche, San Diego diventa sempre meno un’opportunità per gli autori di farsi conoscere: «Mi domando se ci sia un beneficio, a fronte di una grande fatica fisica e mentale» scrive Jensen «Forse il trasloco in un’altra città potrebbe fare del bene, perché magari San Diego potrebbe fondare una nuova convention concentrata sui fumetti».