HomeRecensioniNovitàMohawk River: quando la Storia soffoca l’Avventura

Mohawk River: quando la Storia soffoca l’Avventura

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Nell’introduzione all’albo, l’editor Gianmaria Contro riporta una definizione di “avventura” presa da uno dei ‘più noti’ vocabolari italiani: «Impresa rischiosa ma attraente e piena di fascino per ciò che vi è in essa di ignoto o d’inaspettato». Un incipit impegnativo, insomma. D’altro canto, si tratta di presentare Mohawk River, secondo speciale a colori della collana Le Storie di Sergio Bonelli Editore, realizzato da fumettisti di provato talento quali Mauro Boselli e Angelo Stano. Tuttavia, la distanza tra un simile incipit e la sua concretizzazione narrativa, in questo caso, lascia sul campo un’esperienza molto meno ‘speciale’ di quanto atteso.

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Boselli – da sceneggiatore e editor di Tex – sembra essere voluto andare sul sicuro, scegliendo un’ambientazione “western”, ma in questo caso con un punto di vista sicuramente più peculiare, quello degli indiani Mohawk che abitavano la parte più a nord del continente americano, oggi corrispondente al Canada. In particolare, il racconto è collocato tra il 1755 e il 1759, nel bel mezzo della guerra franco-indiana combattuta tra francesi e britannici, con i pellerossa schierati dalla parte di questi ultimi, dato che gli altri anni prima avevano bruciato i loro villaggi e le loro scorte, costringendoli a emigrare.

Boselli sceglie una tecnica usuale della narrazione storica, quella che ha fatto anche la fortuna di un manga come Lady Oscar o dei fumetti di Vittorio Giardino, tanto per fare alcuni esempi illustri: inserire all’interno della reale cornice storica una vicenda e dei personaggi totalmente inventati ma verosimili, in modo da passare facilmente dal particolare al generale e riuscire a raccontare la Storia tramite un’Avventura ˗ tanto per richiamare il contesto della collana di cui stiamo parlando – del tutto originale.

mohawkriver1Nel caso di Mohwak River, tuttavia, la Storia sembra finire per soffocare l’Avventura. Questo in parte a causa di personaggi troppo schiacciati tra le pieghe degli eventi per poter risultare consistenti. I protagonisti del racconto infatti parlano, raccontano, spiegano. Un buon metodo per informare il lettore sul contesto, ma con un rischio: che le occasioni per creare degli snodi nella trama e per generare azione passino in secondo piano, diventando elementi rari. In questo senso, indiani, francesi e britannici, nonostante le diversità storiche, appaiono allo stesso modo semplici vittime degli eventi: sono ‘funzioni’ della narrazione, più che attori con specifici tratti in grado di ‘scrivere’ la Storia. L’unico personaggio che dimostra una personalità spiccata e carismatica – tanto da guadagnarsi l’onore della bella copertina di Aldo Di Gennaro – sparisce dopo poche pagine, per tornare solo nel finale, con un colpo di scena piuttosto telefonato e che non riesce pertanto a sorprendere veramente il lettore (complice anche una sottotrama troppo sotterrata, tranne per qualche accenno – peraltro eccessivamente ammiccante).

Mentre scorre l’affresco storico, dunque, pagina dopo pagina si spegne il brivido della scoperta, e i personaggi sembrano anch’essi convinti del fatto che tutto sia già scritto. E quando dico ‘scritto’ mi riferisco proprio alle parole. Boselli sembra infatti aver dovuto fare i conti con un resoconto storico troppo lungo per le relativamente poche pagine a disposizione: ciò che ci troviamo a osservare sono larghe porzioni di racconto dominate da lunghi dialoghi con la sola funzione di descrivere gli eventi, quelli nascosti tra i margini bianchi delle vignette ma anche quelli storici realmente accaduti (la suddetta cornice). Salvo poi – o così almeno parrebbe – rendersi conto di essere arrivato corto e di dover spalmare il finale su più pagine del necessario. Il cortocircuito è evidente soprattutto nelle tre pagine dell’epilogo, in cui i personaggi hanno già superato gli eventi tragici occorsi solo poche ore prima, e sono calati in un clima ovattato alla La casa nella prateria.

mohawkriver3Dal canto suo, Angelo Stano sembra adeguarsi al ritmo della narrazione, offrendoci perlopiù vignette statiche dal forte retrogusto cinematografico e volti impassibili. Il disegnatore-principe di Dylan Dog sembra inoltre un po’ limitato dalla colorazione – realizzata da lui stesso, a dire il vero, con un’impronta prattiana ben riuscita. A spiccare visivamente restano solo alcune scene, come quelle notturne o ambientate in paesaggi innevati, in cui, nel fitto tratteggio, emerge il talento di Stano nell’inchiostrazione.

Mohawk River si rivela in sostanza una prova minore per entrambi gli autori, realizzata forse con lo scopo di dare sfogo a interessi documentali, se non per riutilizzare spunti e materiale inadatto ad altri prodotti. Peccato, perché in realtà, almeno a giudicare dalle premesse, il materiale storico preso in considerazione un suo potenziale fascino lo possedeva: in fondo, se si esclude L’ultimo dei Mohicani – sia come fonte letteraria che come incarnazione cinematografica – le opere di un certo livello incentrate sugli indiani scarseggiano in modo evidente, soprattutto se messe a confronto con la vasta produzione western del nostro Paese. Un buon motivo per non dimenticare Magico Vento di Gianfranco Manfredi, certo, ma anche per ritornarci sopra in futuro (con maggiore empatia e propensione al ‘rischio’, però).

Speciale Le Storie n. 2: Mohawk River
di Mauro Boselli e Angelo Stano
Sergio Bonelli Editore, 2015
128 pagine, 6,00 €

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