HomeFocusOpinioniHoward il Papero e Squirrel Girl: le nuove serie Marvel (post-)umoristiche

Howard il Papero e Squirrel Girl: le nuove serie Marvel (post-)umoristiche

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Nei piani originali questo sarebbe dovuto essere un articolo sulla nuova deriva umoristica di casa Marvel, ovvero una panoramica su un paio di titoli pubblicati da un pugno di mesi dalla Casa delle Idee e che, bene o male, stanno catturando l’attenzione di un sacco di gente. Testate divertenti, un poco sciocche e del tutto avulse alla cervellotica e cupa politica delle uscite di bandiera della casa editrice. Parliamo della nuova serie di Howard il Papero e di The Umbeatable Squirrel Girl. Eppure, rileggendo con attenzione la manciata di numeri usciti fino a ora, la cosa più naturale da fare prima di mettermi a scrivere è stato rimettere a fuoco l’obiettivo, stravolgendo l’assunto da cui avevo deciso di partire.

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howard the duck

A dispetto di quanto mi aspettavo, infatti, l’aspetto comico di queste novità non è la base da cui si è partiti per costruire team creativi e stilare direttive, ma la conseguenza indiretta di scelte editoriali ben più a monte del mero genere. La verità è che più di deriva umoristica sarebbe più corretto parlare di deriva “cool”, con tanto di virgolettato d’obbligo. A metterla sotto questa luce risulta davvero evidente come l’obbiettivo dei piani alti non fosse l’ennesimo zuccherino gettato in pasto al fandom, ma buttare sul mercato titoli tanto accattivanti e sul pezzo da essere indirizzati a chi di solito i fumetti di supereroi neanche li legge. Una scelta precisa, che va a sposarsi in maniera perfetta con lo stravolgimento del concetto di “figo” (da leggere come nerdizzazione coatta di qualunque produzione d’intrattenimento) avvenuto negli ultimi anni.

A testimonianza di questo processo di mutazione, che si pensava avrebbe raggiunto la saturazione almeno un paio di anni fa (e invece no – o almeno, non ancora), in questi albi abbiamo: la scelta di personaggi vagamente infantili, la predilezione per artisti votati alla stilizzazione, e la scelta di sceneggiatori noti ma tutt’altro che rockstar, in cui riconoscere una pur blanda appartenenza a una ristretta comunità di privilegiati fan della prima ora. Un sacco di differenze rispetto a quanto fatto fino a ora, insomma.

L’ultima grande infatuazione per lo humor da parte della Marvel cartacea è rappresentata in maniera esemplare dal periodo in cui Deadpool la faceva da padrone (2008 – 2010). In quel caso, a dispetto di ciò che sta succedendo ora, l’obbiettivo era dare ai fan più hard core quel che chiedevano a gran voce: una sorta di enorme, strabordante sequel alla storica miniserie dedicata al mercenario chiacchierone scritta da Joe Kelly nel 1997. Un giochino assolutamente chiuso su stesso, votato a gonfiare fino al grottesco le esagerazioni di un fumetto che aveva già l’imprinting della parodia nel suo DNA. E infatti sfido a far piacere quella – pur storica – serie a chiunque non sia (stato) un completo Marvel zombie. L’umorismo era così strillato ed esasperato da sforare con estrema facilità nel semplicemente stupido. Magari anche divertente, ma con capacità di attrazione verso nuovo pubblico … praticamente nulla. Anche il lato visuale non cercava in nessun modo di assecondare le mode extra-fumetto e spingeva su artisti fortemente conservatori (da cui escluderei Shawn Crystal). Dopotutto, cosa potevamo aspettarci? Parliamo di un assassino quasi immortale, privo di scrupoli, armato fino ai denti e dotato di personalità multipla d’ordinanza. Per quanto ti sforzi, non potrai mai far passare come divertente un simile concetto di personaggio a qualcuno che non sia un consumatore seriale di fumetti supereroistici. Lo aveva capito bene anche un fuoriclasse come Rick Remender, unico capace di donargli nuova vita inserendolo nelle fila della sua cupa X-Force e costringendolo in situazioni ben più serie di quante affrontate fino ad allora.

In qualunque caso, dopo una simile abbuffata, il bisogno di cambiare completamente campo da gioco era impellente. Va bene la brillantezza di Bendis o l’adorabile Rocket Racoon di Skottie Young, ma occorreva qualcosa di più per conquistare nuovi lettori. E così arriviamo ai nostri giorni. Prendiamo la testata di Howard il Papero, emanazione della comparsata finale del piumato Orestolo – come lo si chiamò in Italia ai tempi della Corno, per chi non lo sapesse – nella coda dei Guardiani della Galassia (interpretato, non a caso, da un uber nerd come Seth Green).

Per quanto ci si sforzi di non essere maliziosi, la scelta di tale personaggio è indissolubilmente legato alla nostalgia degli anni Ottanta – ironico, sapendo che se si punta a un pubblico nato dal ‘90 in poi – e alla filosofia del so-bad-so-good che spinge orde di giovani a trovare del bello perfino nel tragico live action dedicato al papero alieno. Siamo sinceri: anche se tra le sue storie compaiono magie di Buscema e Colan, non ci crede nessuno che il rilancio di questo personaggio nasca dall’omonima serie degli anni Settanta firmata da un ispirato Steve Gerber. L’obiettivo di mercato non è il collezionista compulsivo e maniacale, ma l’appassionato generico di cultura pop. Quello che scarica tonnellate di serie tv, si presenta alle fiere di fumetto con il cappuccio di Finn di Adventure Time, ama l’estetica da retro-gaming (ma rivista con ottica moderna, alla OlliOlli o alla Super Time Force) e ha eletto i Goonies a film della vita. Un tipo di pubblico che di saghe infinite e dei richiami ai grandi story arc del passato non se ne fa nulla. Vuole solo roba fresca, contemporanea, divertente e che non richieda una cultura semi-enciclopedica per essere capita.

Dovendo mettere in piedi una serie con simili aspettative, difficile avere un’idea migliore del reclutare Chip Zdarsky come sceneggiatore. Il co-creatore di Sex Criminals – uno dei pochi fumetti davvero capaci di allargare lo spettro dei lettori in direzioni del tutto inaspettate – fa benissimo il suo lavoro, e consegna una sceneggiatura divertente, farcita di richiami nerd e comparsate di altri personaggi Marvel. Tutti ritratti come vuole il bigino della cinematografia legata alla grande M: una carrellata di perfetti idioti (e se non siete d’accordo vi ricordo che, ora come ora, nell’immaginario collettivo Thor è una specie di giullare vichingo. Con buona pace di Simonson). I giochi con i ricordi del lettore sono continui e si ride davvero tanto, senza mai sforare nel non-senso o nella pernacchia a ogni costo. Curiosa la scelta di un disegnatore come Joe Quinones, sicuramente versatile, ma ancora troppo legato a certi stilemi del fumetto seriale statunitense per interpretare al meglio questo nuovo corso. Nonostante abbia reso il suo tratto più rude ed essenziale rispetto a suoi altri lavori, favorendo vignette stilizzate e volutamente piatte, non sussiste un vero strappo con la tradizione. C’è un vago sentore di underground anni Novanta – ancora nostalgia – ma si sarebbe potuta fare una scelta più centrata.

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Squirrel Girl

Cosa che invece avviene in pieno con Squirrel Girl, dove pare di essere capitati in piena fascia pomeridiana di Cartoon Network. Disegni morbidosi, anatomie al limite della caricatura, particolari ridotti all’osso. Esattamente ciò che si aspettano da un fumetto quelli che di fumetti ne hanno letti davvero pochi. Quando poi al timone ci metti lo scrittore della versione cartacea di Adventure Time, il successo è garantito. La ragazza scoiattolo è la risposta Marvel alla BatGirl della DC, ma dotata di una precisione di mira infinitamente superiore. Siamo onesti, tutti noi adoriamo Cameron Stewart per la sua intelligenza e la sua capacità di raccontare belle storie con una chiarezza e un’asciuttezza fuori dal comune, ma Ryan North ha preso una mera operazione commerciale – la versione cartacea della serie animata di Pendleton Ward – e l’ha resa un successo così palese da aver soddisfatto contemporaneamente due platee ben differenti: ragazzini e adulti. E non necessariamente frequentatori abituali di fumetterie. Il suo asso nella manica rimane di una semplicità lapalissiana, uscita dopo uscita: scrivere fumetti appassionanti che però facciano anche ridere, non fumetti demenziali che cercano di raccontarti anche una storia. Nel primo story-arc della sua gestione Squirrel Girl deve vedersela con Galactus, e noi siamo davvero curiosi di sapere come andrà a finire. Anche se non ci fossero gag disseminate ovunque. La narrazione rimane alla base di tutto, sfruttando anche mezzi del tutto inediti come il posizionamento della pagina della posta (vedi il numero 4).

Marvel, insomma, è riuscita a mettere in piedi due serie più che valide partendo da presupposti leggerissimi. Una coppia di personaggi da sempre relegati ai margini di un enorme universo narrativo, finalmente viene messa nelle condizioni di conquistarsi la platea, forti anche di una rinnovata fiducia in se stessi. Se il pennuto si crede un grande investigatore privato a cui mancano solo clienti, la fantastica Squirrel Girl non ha certo problemi a inserirsi al fianco di Capitan America e Iron Man nel gotha degli eroi. Una positività contagiosa ed energizzante, capace di lasciare anche spazio a improvvisi coni d’ombra (vedi il secondo numero di Howard). Ancora un esempio dell’efficacia di queste minuscole testate, fatte di intelligenza, sagacia e gusto per il moderno.

Paradossale come, mentre tutti i principali sforzi della casa editrice siano indirizzati a pompare l’ennesimo, bolso megaevento + ristrutturazione epocale scritto e disegnato da rockstar, questi team creativi così talentuosi stiano riuscendo a mettere in piedi le uniche testate Marvel che consiglierei a chi di Dei del Tuono e Mutanti Tribolati non è mai fregato nulla. Sappiamo già chi sarà premiato dalle vendite in questa immaginaria guerra intestina. Eppure il serbatoio di idee a cui attingere appare sempre più esiguo (il prossimo Capitan America sarà basato su Civil War del 2006 – ripeto: anno 2006) e qualche pensiero sul futuro mi pare opportuno farlo. Anche se, invece dell’ennesimo scontro tra titani, guardare in là dovesse implicare il riflettere su una ragazza con il DNA di scoiattolo.

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