Esattamente 100 anni fa, alle ore 14:10 dell’11 luglio 1915, una violenta esplosione squarciò il ventre della SMS Königsberg, incrociatore leggero della marina tedesca di stanza nell’Africa Orientale, decretando la fine delle sue imprese. La nave da guerra era stata l’incubo della flotta britannica per un intero anno: unica unità tedesca in Africa Orientale, aveva compiuto incursioni tra Dar es Salaam, Aden e Zanzibar per chiudere ai mercantili nemici la via del Mar Rosso. Braccata dalle unità inglesi, trovò rifugio nell’intricato delta del fiume Rufigi, dove gli incrociatori inglesi non potevano penetrare a causa del pescaggio troppo elevato e la fitta vegetazione la nascondeva alle ricerche. Ci vollero mesi perché la flotta di Re Giorgio riuscisse a individuarla e affondarla.
Questo episodio, fondamentale per lo svolgimento della Prima Guerra Mondiale nell’Oceano Indiano, è poco conosciuto dal grande pubblico e tendenzialmente ignorato dalla cultura popolare. Come il cinema e la letteratura, anche il fumetto, infatti, ha sempre preferito mostrare vicende di soldati sul fronte europeo, tra trincee e fango.
Le opere che si allontanano da questi scenari raccontano invece una guerra molto diversa, fatta di avventura e di atti solitari di eroismo in ambienti esotici, selvaggi, inesplorati. Una ballata del mare salato di Hugo Pratt, ambientata nel Pacifico, ne è un ottimo esempio, così come L’uomo del deserto di Gino D’Antonio e Ferdinando Tacconi, che si svolge tra le dune d’Arabia.
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La vicenda della SMS Königsberg è alla base di L’uomo del Tanganyka di Attilio Micheluzzi, riproposto di recente nel numero di Avventura Magazine a lui dedicato. È uno dei molti gioielli della collana Un uomo un’avventura delle Edizioni CEPIM, pubblicata tra il 1977 e il 1980 e fortemente voluta da Sergio Bonelli, che raccoglieva storie libere scritte e disegnate da grandi autori. Secondo lo spirito della collana, la storia di Micheluzzi racconta un’avventura che si sviluppa tra le pieghe della storia ufficiale ma, a differenza di altri volumi che hanno un protagonista unico, non mette in scena la vicenda di un uomo solo.
Micheluzzi segue infatti le avventure dell’ingegnere minerario Fermanagh, americano di origini irlandesi, che mette a disposizione della marina inglese il suo idrovolante e le sue capacità di pilota per dare la caccia alla Königsberg, e del Kapitänleutnat Theo Höppner, alias Reverendo Philips, spia del Kaiser a Zanzibar con il compito di sabotare le ricerche. Tra i due si scatena una lotta fatta di inseguimenti, pugnalate alle spalle e uppercut al mento, altalenante per fortune e ricca di colpi di scena. Assume il gusto di un duello, una sfida cavalleresca, in cui i due avversari si rispettano e si stimano ma non risparmiano colpi per garantire la vittoria alla propria parte.
Micheluzzi ammira i suoi stessi personaggi per la correttezza che dimostrano gli uni verso gli altri. Non solo Fermanagh e Höppner ma anche i personaggi secondari, i soldati inglesi con il loro self control e la loro ironia (“È il tè l’arma segreta del soldato britannico. Quando il mondo l’avrà capito, sarà la fine dell’Impero”) e i tedeschi, che trattano il loro prigioniero come un ospite invece di fucilarlo come spia come prevede la legge marziale.
Ai suoi personaggi il narratore si rivolge direttamente attraverso le didascalie, commentando le loro azioni e i loro pensieri in veri e propri dialoghi. La sua voce sembra quella di un padre benevolo che osserva i giochi dei suoi bambini, urla consigli, vorrebbe entrare in campo per aiutarli. Così facendo avvicina il lettore ai protagonisti, lo fa affezionare anche ai “cattivi”, bimbi indisciplinati che sbagliano e non mostri crudeli o folli.
Proprio perché, come dicevamo prima, la Grande Guerra fuori dall’Europa viene dipinta come una guerra d’eroi e non come l’inutile massacro di una generazione, quando i protagonisti della storia escono di scena il racconto perde di senso. Fermanagh e Höppner hanno concluso la loro avventura prima dell’ultima pagina e il loro duello è terminato, per Micheluzzi e per il lettore è questo che conta. La distruzione della nave è qualcosa di volgare in confronto alla “guerra cortese” (“Distruggere qualcosa che piace!… Mi faccio schifo!”, ha detto l’americano) e non viene mostrata.
Soltanto rimane un relitto affondato nel delta del Rufigi a monumento dell’“ultima guerra tra gentiluomini”.