Di una cosa il fumetto supereroistico statunitense è alla continua ricerca: nuovi lettori. Esempio a caso: pochi giorni fa, Dan Slott, l’uomo che i fan amano odiare, ha reclamizzato così il suo Silver Surfer:
Out today:
SILVER SURFER #12
SILVER SURFER: WORLDS APART trade
Both are new reader friendly.
Both made with love! pic.twitter.com/LsR0dAXDLr— Dan Slott (@DanSlott) 10 giugno 2015
Editori, autori, addetti alle vendite, tutti si danno un gran da fare per rendere i comic book avvicinabili dai neofiti. I non avvezzi al fumetto sono infatti intimoriti da anni di continuity, decenni di intrecci e milioni di pagine di storia pregressa, ma le trame ardite sono solo una parte del problema; a frenare gli acquirenti casuali è anche la numerazione, un aspetto che contraddistingue il fumetto rispetto a tutti gli altri mezzi espressivi. La letteratura ha sempre evitato l’uso di numeri per indicare il proseguo di una serie, i videogiochi e il cinema ne fanno un uso moderato, anche se ormai quest’ultimo baluardo della serialità numerica li sta abbandonando. La politica Marvel, per esempio, è quella di intitolare i film come cicli di storie famose per poter fornire un riscontro facile a chi poi cerca il paperback omonimo. Perfino Star Wars ha detto addio ai suoi iconici numeri romani.
Da dove venga di preciso questa fissa per la numerazione è un mezzo mistero. John Jackson Miller fa risalire l’uso di numeri all’influenza dei dime novel del XIX secolo e, in seguito, di giornali pulp (tutte espressioni di letteratura bassa) o dei quotidiani, casa dei primi funny animals, che tendevano a proseguire ad limitum la numerazione. Le riviste utilizzavano invece il sistema a volumi per la catalogazione bibliografica e la raccolta in edizioni rilegate. Ogni volta che una rivista raggiungeva un numero di pagina sufficiente a riempire un volume ricominciava da zero.
Ora, qualche fumetto questa tradizione la seguiva anche (come Walt Disney’s Comics and Stories), ma la maggior parte delle opere presentava una numerazione aperta. Non c’è una ragione esplicita riguardo a questa divergenza; in proposito, Miller scrive: «Ci si aspettava forse che i lettori collezionassero questi fumetti, ma che a nessuno passasse per il cervello di catalogarli a scopo bibliografico, perché non era considerata una forma artistica che valesse la pena archiviare.» Rispetto alle altre pubblicazioni, un elemento importante dell’industria fumettistica è stato proprio il collezionismo, o comunque la presenza costante del lettore, che doveva essere sicuro di non perdere il filo delle storie. E il modo migliore per creare affezione nel pubblico era la numerazione aperta, con cifre chiare e prive di ambiguità: «Nelle riviste è evidenziata la data più che il numero, questo perché ai lettori della guida tv, per esempio (o di titoli come Life che fanno propria la contemporaneità dei fatti), interessava la data e adesso collezionare quella testata è più macchinoso per l’assenza di un numero in copertina.»
La numerazione è una vestigia tenuta in considerazione dai lettori fidelizzati perché rappresenta la storia del personaggio. L’Uomo Ragno non insegnerà più nella sua vecchia scuola, ma quei 700 e passa numeri sono lì a memoria di un tempo che non esiste più, quando Peter era sposato con Mary Jane e il Dottor Destino veniva bloccato ai controlli aeroportuali. Sono lì per farti tornare a mente di quando leggevi quelle storie a dodici anni. In quel piccolo numero ci sono i ricordi del lettore ed è comprensibile perché vi sia tanto attaccato. Ma per un nuovo utente la grandezza di quel numero è inversamente proporzionale alla voglia che avrà di leggerlo.
È un problema rilevato fin dagli anni Novanta, quando, dopo l’esplosione della bolla speculativa, gli editori erano alla ricerca di un pubblico vero. Nel 1996 Jeph Loeb lottò affinché Batman: Il lungo Halloween venisse pubblicato come serie a parte: «Io sono, e sarò sempre, un uomo d’affari e ho pensato che un ragazzino, vedendo Detective Comics # 673, non lo avrebbe comprato, perché avrebbe dovuto recuperare gli altri 672 numeri. Invece, vedendo The Long Halloween # 3, sarebbe stato più facilmente invogliato.»
Loeb ha argomentato il problema durante un podcast con Kevin Smith: «Ogni anno andrebbe ricominciata la numerazione. Frank Miller ha rivoluzionato il genere con Sin City, raccontando storie diverse all’interno di una serie. Quando Millar e Hitch, poi, hanno annunciato che avrebbero fatto Ultimates 2 ho capito che quello sarebbe stato il modello.» E in effetti la Marvel provò all’inizio del nuovo millennio la strada della numerazione a volumi, visto il successo di Ultimates, ma gli esperimenti con Runaways (iniziato, spostato di etichetta, ricominciato ancora) fallirono nell’attrarre nuove leve.
Il semplice ri-azzeramento è ancora la scorciatoia che porta i frutti più rapidi: proporre sul mercato ‘numeri uno’ funziona sempre. Con The New 52, il nuovo inizio narrative della DC del 2011, le vendite sono aumentate di dieci punti percentuali, e quando la Marvel ha annunciato l’uscita dell’ennesimo numero uno di Amazing Spider-Man il segno è stato positivo. «Fare degli ordini è un processo traumatico,» ha dichiarato un negoziante a Comics Alliance. «C’è una valanga di uscita tra cui destreggiarsi e hai pochissimo tempo. […] Come risultato diretto di tempo e volume di produzione, i rivenditori presteranno sempre più attenzione a un ‘numero uno’ che a una serie già iniziata.»
L’idea di emulare le riviste (un modello che il manga ha abbracciato in toto, vedi Weekly Shōnen Jump) è caldeggiata da più parti, come spiega Loeb: «The New 52 è stata una bella bomba. Dovrebbero rifarlo ogni anno, ma non nel senso di ricominciare tutto, semplicemente di raccontare nuove storie in un arco temporale di dodici numeri. Guardiamo alla televisione, quello è il modello da seguire. Ma nei fumetti non funziona. Almeno è quello che mi dicono in Marvel e DC, mi dicono che i lettori non vorrebbero una cosa del genere.»
A tenere in piedi entrambe le opzioni (numerazione aperta e numerazione bassa/chiusa) ci hanno provato, sempre in Marvel, dirottando i personaggi su nuove serie e lasciando le vecchie, con le loro numerazioni, nelle mani di personaggi secondari: Pantera Nera prese il posto di Devil in Black Panther, Man Without Fear #513, Loki divenne il protagonista di Journey into Mystery #622 mentre Thor esordiva con la nuova serie The Mighty Thor e la numerazione di Captain America fu trasferita a Captain America and Bucky # 620. La mossa è stata temporanea e non ha garantito stabilità.
Il sito Tech Times ha suggerito di utilizzare la stagionalità come nuovo elemento di forza, prendendo spunto dalle riviste e dai prodotti più cool in giro al momento, le serie tv. «Guardate cosa ha fatto Hellboy. Invece di usare una numerazione sequenziale, Mike Mignola ha scelto di strutturare la serie attraverso gli archi narrativi, che spesso sono interconnessi e muovono in avanti la storia, ma altre volte sono storie godibili senza nessuna conoscenza pregressa del personaggio. Il numero sulla copertina non supera quasi mai il ‘5’ e si sfruttano i sottotitoli.»
Utilizzando questa nozione, il portale si è spinto perfino a proporre un’idea di design per il nuovo sistema di numerazione: un approccio che utilizzi i volumi annuali per mantenere bassa la numerazione e una struttura per archi narrativi che faccia comprendere al volo quando la storia è iniziata, a che punto è e quando finirà, «in un formato semplice, conciso e intuibile a un primo sguardo, anche da distante».
Difficile che un semplice widget possa essere la panacea di ogni male, ma l’enfasi posta su quel piccolo riquadro all’angolo della copertina fa capire quanto il problema delle vendite oltreoceano sia centrale a tal punto da mettere sotto la lente d’ingrandimento ogni elemento costituente dei fumetti.
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