Il Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo Dario Franceschini qualche giorno fa, a margine della premiazione del concorso letterario per le scuole superiori Scriviamoci. Passami i tuoi pensieri e le tue emozioni in 30 righe (purtroppo si tratta del vero titolo della competizione) ha twittato l’intenzione di realizzare la «Biblioteca Nazionale dell’Inedito. Un luogo dove raccogliere e conservare per sempre romanzi e racconti di italiani mai pubblicati»
Faremo la Biblioteca Nazionale dell’Inedito. Un luogo dove raccogliere e conservare per sempre romanzi e racconti di italiani mai pubblicati
— Dario Franceschini (@dariofrance) June 4, 2015
L’esternazione ha suscitato, come chiunque poteva facilmente aspettarsi tranne il diretto interessato, un’ondata di feroce ironia che è dilagata velocemente su tutti i principali social network: paragoni con Borges, stilettate sulle dimensioni faraoniche dell’edificio destinato ad accogliere tali opere e riflessioni più strutturate che ricordavano come le priorità di investimenti nell’ambito culturale dovrebbero essere altre.
Christian Raimo, ad esempio, analizza l’intervento del ministro sulle pagine di Minima&Moralia, in un articolo il cui titolo non lascia spazio ad ambiguità: Perché Franceschini sbaglia sempre e tutto sulla politica della lettura. In particolare, quando Franceschini (autore per Bompiani), di fronte alla platea di studenti raccoltasi per la premiazione del concorso afferma che:
Molti non osano scrivere perché temono di confrontarsi ma scrivere è una terapia straordinaria, è un atto di grande creatività e libertà che tutti dovrebbero fare al di là del talento o dell’essere o meno portati. […] Mi piacerebbe che quando si fa il tema ogni tanto si dicesse ora scrivete quello che vi pare perché le storie piuùstraordinarie sono quelle intorno a noi, lì c’è la letteratura più fantastica.
Raimo fa notare, giustamente che:
Non c’è mai stata una civiltà come la nostra dove si fa narrazione di se stessi in continuazione, dove ci si autorappresenta sempre, dove le emozioni non smettono mai di essere comunicate: e davvero la scuola o un ministro della cultura devono avallare quest’equazione, tra espressione di sé e letteratura? Davvero avrebbe un senso formativo dare un tema e dire: scrivi quello che ti pare? Davvero pensiamo che sia un’iniziativa lodevole immaginare una biblioteca dell’inedito dove stipare qualunque cosa capiti di scrivere?
Per Franceschini la scrittura, è quindi, legittimamente, in primo luogo un atto privato, anche se le implicazioni educative e pedagogiche che comporterebbe legittimare ed espandere ancora ancor di più, per mezzo del nostro sistema scolastico, la già iperinvasiva narrazione autobiografica sono giustamente stigmatizzate da Raimo.
Un atto privato, quindi, che però non deve per forza essere una narrazione di sé proposta ad un’eventuale platea senza alcun filtro, che sia, con tutti i suoi limiti, quello editoriale, quello di un collettivo o quello della narrativa d’invenzione, che struttura in narrazione la diaristica, l’aneddotica. Del resto, con sguardo particolarmente inattuale, il Ministro sembra non accorgersi che in questo paese ci sono già molti luoghi deputati a questo tipo di narrazioni di sé: i blog, le riviste online, i social network. Un mondo frammentario e articolato cui la già citata iniziativa Scriviamoci ammicca, invitando i giovani scrittori a confinare le loro emozioni e i loro pensieri nel recinto di circa 2mila battute spazi inclusi.
Dalle parole riportate, l’idea di letteratura di Franceschini sembra riproporre i soliti stereotipi di una letteratura di stampo “neo” neo realista declinata nel senso della biografia minimale, tutta incentrata quindi sull’esperienza personale, sulla restituzione diaristica dell’emozione personale, del fatto vissuto. Un’esperienza ombelicale e, per chi non ne è protagonista, spesso totalmente sterile, che già predomina nel mercato editoriale italiano – anche fumettistico – raramente con risultati apprezzabili, affogando le librerie di memoir di personaggi famosi, comici-meteore, calciatori, politici, giornalisti, casalinghe e chi più ne ha più ne metta. La scrittura testimoniale raramente ha un valore letterario ma, naturalmente, può avere una sua importanza antropologica e storica.
Partendo da questo punto credo di poter dire che il tweet di Franceschini sia stato totalmente frainteso.
La Biblioteca dell’Inedito, infatti – quando e se sarà mai realizzata – non si costituirà come un elefantiaco deposito di tutti i manoscritti rifiutati dagli editori o di quelli addirittura mai usciti dai cassetti e dagli hard disk dei loro autori ma, piuttosto, come un archivio delle memorie degli italiani, per conservarne testimonianza a scopo di studio, come spiega Romano Montroni, presidente del Cepell (Centro per il Libro e la Lettura, a sua volta spesso al centro di polemiche):
[raccogliere i libri non accettati dall’editore] non è quello che [Franceschini] ha in mente, sarebbe folle. L’idea, che mi sembra molto positiva, non è affatto quella di pubblicare i milioni di manoscritti ‘rifiutati’ dagli editori, ma di far emergere parti della memoria del nostro Paese, testimonianze di vita vissuta, anche tra gli anziani. E il Centro per il libro dovrebbe strutturare il progetto. Ma tra il dire e il fare…
Non si tratta di un’iniziativa senza precedenti – e in quanto tale se ne capisce poco la necessità. Esiste già, ad esempio, l’Archivio Diaristico Nazionale e, per quanto riguarda gli audiovisivi, l’Archivio Nazionale del Film di Famiglia oltre, naturalmente, a biblioteche, fondazioni e istituzioni museali che si occupano di raccogliere testi dedicati a determinati periodi storici, come l’Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea o l’Archivio della scrittura popolare sito in Trentino.
Al di là del fraintendimento, dovuto a una imperdonabile superficialità dell’approccio comunicativo del Ministro, resta il dubbio non solo sull’utilità ma anche sulla sostenibilità di tale progetto. Specialmente nel contesto di un paese, come il nostro, che più che cercare di formare altri scrittori l’improcrastinabile missione è quella di formare nuovi lettori, recuperarne di vecchi e capire come la lettura ormai si esplichi anche attraverso altri mezzi che non siano solo il libro. Un’impresa, naturalmente, che non può escludere il fumetto e chi si occupa di questa forma narrativa non alternativa ma complementare alla parola scritta.
Perché, quindi, la Biblioteca dell’Inedito dovrebbe rappresentare una priorità? In un paese in cui si faticano a trovare fondi per i dipendenti della Biblioteca Nazionale di Roma, dove si paventa il rischio chiusura del Servizio Bibliotecario Nazionale (Sbn), dove il processo di digitalizzazione arranca senza essere neanche minimamente vicina agli standard dei servizi offerti da altri paesi europei (si pensi al francese Gallica, della Biblioteca Nazionale di Francia), dove gli ottimi e disponibili operatori delle nostre biblioteche devono fare i salti mortali per continuare ad offrire un servizio di qualità, dove i lettori sono in continuo calo mentre le iniziative per cercare di fermarne l’emorragia come #ioleggoperché si dimostrano insufficienti, inattuali nelle strategie adottate e a volte palesemente ridicole. E questo solo per citare le mancanze relative al settore librario, senza quindi neanche accennare ai problemi che riguardano le strutture museali, le bellezze architettoniche e paesaggistiche e tutta la galassia che è o dovrebbe essere di competenza del Dicastero di competenza di Franceschini.
Passando dall’ambito della letteratura a quello del fumetto le cose si fanno ancora più complicate e le istituzioni fanno sentire ancor più pesantemente la loro assenza. La presenza di albi o libri a fumetti è lasciata alla libera iniziativa dei responsabili – spesso molto illuminati – delle singole biblioteche (anche se ancora troppo spesso vengono inseriti nelle sezioni dedicate all’infanzia), manca un circuito museale attivo sul tutto il territorio che si occupi della conservazione e catalogazione di opere a fumetti (è recente la notizia della chiusura del Museo Nazionale del Fumetto) per non parlare della digitalizzazione pressoché inesistente di opere grafiche, riviste e quant’altro.
Inoltre, nel caso del fumetto ancor più che del libro, manca un’educazione alla “lettura” che aiuti a comprenderne il valore culturale e contribuisca a epurarlo dai molti e antichi stereotipi che ancora gravano su di esso.
Eppure, al di là di tutti questi dati la cui oggettività credo sia difficile da mettere in discussione, la Biblioteca dell’Inedito pensata da Franceschini ha stuzzicato la fantasia di molti, anche se i più hanno risposto con sarcasmo alla proposta del Ministro. Ciò – la suggestione, non il sarcasmo – è dovuto anche al fatto che questo edificio (fisico? virtuale?) probabilmente non vedrà la luce, andandosi ad aggiungere alla lista corposa delle biblioteche immaginarie che popolano il nostro immaginario letterario e fumettistico.
A margine, un piccolo approfondimento sulle biblioteche immaginarie accanto alle quali quella del volenteroso Dario nazionale non andrà certo a sfigurare.
La più famosa è certamente la Biblioteca di Babele, descritta da Borges nell’omonimo racconto del 1941 e le cui infinite dimensioni difficilmente conterrebbero il fiume di volumi che attirerebbe una vera biblioteca dell’inedito:
L’universo (che altri chiama la biblioteca) si compone d’un numero indefinito, e forse infinito, di gallerie esagonali, con vasti pozzi di ventilazione nel mezzo, bordati di basse ringhiere. Da qualsiasi esagono si vedono i piani superiori e inferiori, interminabilmente. La distribuzione degli oggetti nelle gallerie è invariabile. Venticinque vasti scaffali, in ragione di cinque per lato, coprono tutti i lati meno uno; la loro altezza, che è quella stessa di ciascun piano, non supera di molto quella di una biblioteca normale. Il lato libero dà su un angusto corridoio che porta a un’altra galleria, identica alla prima e a tutte. A destra e a sinistra del corridoio vi sono due gabinetti minuscoli. Uno permette di dormire in piedi; l’altro, di soddisfare le necessità fecali. Di qui passa la scala spirale, che s’inabissa e s’innalza nel remoto. Nel corridoio è uno specchio, che fedelmente duplica le apparenze.
Come probabile omaggio a Borges nasce la biblioteca de Il Nome della Rosa di Umberto Eco, la cui pianta labirintica rappresenta il disordine del mondo, in opposizione al rigore architettonico dell’abbazia benedettina che rimanda invece alla perfezione del divino.
Non sterminata come la Biblioteca di Babele la Città dei libri sognanti descritta dal fumettista, illustratore e scrittore tedesco Walter Moers nell’omonimo romanzo impressiona per vastità e dedizione collettiva all’oggetto libro.
Ideale anello di congiunzione fra la biblioteca borgesiana e l’utopia franceschiniana è invece la Biblioteca dei sogni inventata da Neil Gaiman per la sua serie Sandman, dove sono stati catalogati non solo tutti i libri che sono stati scritti ma anche quelli che sono stati soltanto sognati. Altro che inediti.
Per non parlare poi delle biblioteche ideali o delle raccolte degli scritti di personaggi di fantasia, come Sherlock Holmes e Pantagruel e quelli raccolti nella Miskatonic University di lovecraftiana memoria.
Questo elenco non può non concludersi con Hicksville di Dylan Horrocks, fumetto che ruota intorno ad un furto perpetrato ai danni di una biblioteca segreta che raccoglie le opere inedite e sconosciute di molti grandi fumettisti.