di Stefania Nebularina
Questa settimana, per la rubrica #tavolidadisegno, siamo entrati nello studio di Emanuele Tenderini, fumettista e colorista di fama internazionale per numerose case editrici, come Delcourt, Soleil, Les Humanoïdes Associés, Sergio Bonelli Editore, LeLombard. Nell’ultimo anno abbiamo assistito al lancio e alla realizzazione di Lùmina, attualmente il suo progetto più ambizioso, realizzato insieme a Linda Cavallini (qui il servizio in studio che abbiamo già pubblicato su di lei).
Quali sono i progetti a cui stai lavorando attualmente?
L’ultimo intero anno l’abbiamo dedicato, sia io che Linda, alla lavorazione e alla realizzazione del primo volume di Lùmina, che abbiamo finito di stampare, confezionare e spedire a fine Aprile (qui un’anteprima)
Attualmente alcuni pacchi sono ancora in viaggio, per cui in contemporanea ai primi eventi (workshop, presentazioni, incontri, ecc.) e mostre stiamo ultimando la gestione della spedizione.
Lùmina sarà il progetto che ci terrà occupati per i prossimi anni, questo è il nostro intento. I primi feedback del pubblico sono davvero incoraggianti, sono una delle fonti primarie di carica e energia per proseguire subito e al meglio in questo progetto, magari questa volta con tempistiche più dilatate… abbiamo chiuso il crowdfunding a fine Maggio 2014 e da inizio Giugno ci siam messi chini sul tavolo da disegno 24h su 24, per realizzare il progetto. Sono circa 70 tavole in tutto, da sviluppare in 7 mesi, 1 tavola ogni 3 giorni: un massacro (considerando la qualità e la tecnica che abbiamo deciso di adottare).
Quali sono gli strumenti che usi per disegnare?
Principalmente la “testa”. Non sono per niente un disegnatore “performativo”, per me sono incomprensibili fenomeni come Kim Jung-Gi, perché percepisco il mio lavoro come una somma di pensieri, elaborazioni, strumenti, tecnologie, che non potrei assolutamente gestire nell’arco di un “gesto estemporaneo”. La Cintiq (una delle mie ultime “evoluzioni strumentali”) mi ha sicuramente permesso, come altri strumenti in passato, di velocizzare il mio metodo ma questo mi ha portato a rallentare di molto il mio lavoro: più “guadagno tempo strumentale, più lo spendo per pensare al risultato che voglio ottenere”.
Quindi ripeto: ovviamente carta, matita e cintiq, ma lo strumento cardine di tutto è sicuramente la “testa” e il pensiero.
C’è qualche forma di abitudine ami predisporre prima di metterti a disegnare? Hai degli orari particolari in cui ti metti al lavoro?
Ho una sola “mania” vera e propria, che però si manifesta a lavoro ultimato, ed è il lavarmi i denti guardando l’opera conclusa. Quando ho realizzato un’illustrazione o una tavola che mi soddisfano ho l’estrema necessità di lavarmi i denti mentre guardo il lavoro ultimato. È rilassantissimo, riflessivo (anche piuttosto “intimo” devo direi!)
Per quanto riguarda gli orari, invece, non ne ho di precisi, diciamo che do la priorità al dormire. Appena mi sveglio e sento di essere “presente” (con la testa, appunto), mi metto a lavorare. Non è tanto il tempo che spendo sul tavolo da disegno (anche se per Lumina, materialmente, devo seguire una metodologia che mi costringe al tavolo per un tot di ore minime giornaliere), quanto l’efficacia che riesco a raggiungere nei miei (rari) momenti di estrema lucidità.
Quali sono i tuoi autori di riferimento? Ci sono testi che devono essere a portata di mano mentre disegni?
Moebius, unico e solo autore di riferimento. Anche se, come dico sempre, non lo “uso” per capire il suo stile e farlo mio, piuttosto cerco di assaporarne la libertà espressiva, quindi mi ci ispiro soprattutto nell’accezione del “coraggio” di intraprendere un certo tipo di viaggio; tecnicamente, strumentalmente e stilisticamente parlando non sono minimamente in grado di rifarmi ne a lui ne a nessun altro “maestro”.
Ho notato che sulla tua scrivania tieni in particolare considerazione questa immagine, questa caricatura. Ci racconti di chi si tratta e la sua storia?
Sono molto legato a quella “cartolina”, è un ricordo di mio nonno, una sua caricatura fatta in vetro da un maestro vetraio di Murano.
Mio nonno aveva una piccola officina, dove realizzava borselle, praticamente delle pinze per lavorare il vetro. Era conosciuto in tutto il mondo, ricordo che ogni giorno a casa sua a Murano arrivavano decine di giapponesi, indiani, americani, tedeschi e da ogni altra parte del mondo per comprare i suoi strumenti. Aveva un “piccolo segreto” nel realizzare gli attrezzi, per questo era tanto conosciuto, segreto che lui avrebbe voluto insegnare a me.
Invece che seguire le sue orme, però, io ho deciso di disegnare fumetti e lui mi ha sempre sostenuto (essendo, tra le altre, un appassionato lettore delle strisce di Bonvi), anzi, è per merito suo e del suo aiuto che ora sono qui a fare quello che faccio.
Mio nonno è stato un esempio sotto molti punti di vista e tenere sempre con me quella cartolina stampata (è la prova di stampa realizzata quando lui stesso mi ha regalato la mia prima stampante a getto d’inchiostro) è fondamentale, perché mi insegna la forza della determinazione, del sacrificio e del rispetto.