La prendo larga. Quando ero piccolo ricevetti per Natale il tomo Storia d’Italia a fumetti di Enzo Biagi. Chi me l’aveva regalato pensava di farmi cosa gradita, perché credeva che l’oggetto unisse la mia passione per i fumetti a uno scopo più alto di supereroi che si pestano come zampogne, cioè la pedagogia.
Il libro lo finii solo perché mi feriva l’orgoglio non riuscire ad arrivare alla fine di qualcosa. Risultato: dopo aver letto le ultime pagine, in cui si descriveva la vittoria di Alex Schwazer alle olimpiadi di Atene, ho sempre mal digerito lo studio della Storia.
Quindi quando ho letto ‘vampiri+mussolini’ un po’ mi sono spaventato. Per fortuna in Battaglia, miniserie di quattro che esce nel formato pocket tipico dei fumetti ‘neri italiani’ come Kriminal e Diabolik per Editoriale Cosmo, di Storia ce n’è davvero poca.
Leggi le prime pagine di Battaglia #1
Si torna indietro, con una storia e un formato appartenenti al passato, per andare avanti e proporre una novità, utilizzando un recupero d’annata: Pietro Battaglia, l’eroe della serie creato da Roberto Recchioni e Leomacs, aveva debuttato nel 1994 su Dark Side, la testata edita da Dynamic; della storia editoriale di Battaglia, proseguita tra alti e bassi, ha già parlato Leomacs.
Nel primo episodio di questa nuova incarnazione, La figlia del capo, Battaglia viene incaricato da Mussolini di proteggere la figlia Edda, appena sposata con Galeazzo Ciano, console italiano in Cina.
Il numero è affidato al team creativo di Brutti sporchi e cattivi, Michele Monteleone e Fabrizio Des Dorides, già attivi in prodotti seriali come Long Wei e John Doe, partendo da un soggetto dello stesso Recchioni (sfugge il senso di vedere il suo nome insieme a quello di Leomacs in copertina, ma presumo serva ad aiutare le vendite).
La storia si perde in un continuo tira e molla Harmony (ma lo si era capito già dal comunicato stampa che concludeva dicendo: «Battaglia proteggerà Edda da Galeazzo e da se stessa e lo farà con la mente, con la forza e con il corpo, facendola sua per sempre») in cui Edda ne esce come una donna parecchio confusa, per usare un eufemismo, divisa tra il marito e Battaglia – che ora vuole, ora no, poi ancora sì, poi no.
È comunque Edda il personaggio meglio caratterizzato, quello a cui la sceneggiatura riserva più pagine e attraverso cui il lettore entra nella storia, visto che è narrata da lei. Battaglia invece parla solo per frasi fatte («Ce l’ho [il cuore], ma è fermo», «Sono un lupo, non chiamarmi Fido») e sembra più un personaggio di contorno che il vero il protagonista, aspettativa lecita dato il nome della testata.
Gli aspetti positivi sono altri: i disegni sono d’impatto, con un buon guizzo nell’uso delle ombre o nell’isolamento dei personaggi dallo sfondo – anche se a volte l’impressione è che l’esigenza sia più pratica che creativa. Ma se anche lo fosse andrebbe comunque bene, perché nel piccolo formato abbondare di dettagli gioca a sfavore del disegnatore.
Nello stretto, infatti, la lettura risulta inficiata da alcune scelte di scansioni troppo sincopate (era un po’ il problema di PK nel formato Topolino) e da angolature eccessivamente ricercate. Diversi momenti di quiete sono rappresentati attraverso inquadrature dal taglio inutilmente dinamico e nei passaggi all’inizio della storia non si colgono bene le coordinate spaziali rispetto al protagonista. Chi, dove e quando, in questo genere di prodotti, dovrebbero essere compresi al battito di ciglia. Le tavole migliori sono quelle che si aprono a due vignette, dirette e mordenti, senza fronzoli o abbellimenti.
La lettura scorre veloce (128 pagine leggibili in poco più di un quarto d’ora), senza nessun tentativo di integrare l’elemento storico alla narrazione. Che detta così sembra uno svantaggio, ma in realtà sfruttare solo delle suggestioni, dei luoghi e dei nomi, conferisce leggerezza al prodotto ed evita di nasconderlo dietro un velo di aulicismo che proprio non gli appartiene. Non annoia, ma nemmeno regge a una seconda lettura.
La figlia del capo, aiutata da un contesto storico più distante da noi, non lascia interdetti come il numero zero messo online gratis da Cosmo – con quella comparsa di un Andreotti tumefatto che, letta in questo periodo, ha tanto il gusto risibile di 1992.
Certo, giudicare degli esordi è sempre difficile. Sono andato a riguardarmi i vecchi numeri di Dark Side e – coincidenza – sul secondo Stefano Nocilli e Roberto Recchioni scrivevano: «I numeri zero servono esclusivamente come biglietto da visita, niente di più. In otto paginette otto, non si ha certo lo spazio per sviscerare argomenti fondamentali di filosofia orientale. Non ci sembra d’altronde che nessuno di questi albi abbia pretese simili. Per cui amici, criticare pure, però fateci il favore di aspettare almeno il numero due. O anche il tre.»
Il messaggio è chiaro: questa è la nera, letteratura di consumo, affondateci i denti e mangiate finché ce n’è, senza andare troppo sul sottile.