«Sabato 4 aprile, John Byrne organizzò un party nella sua casa nel Connecticut, al quale presero parte numerosi membri dello staff della Marvel e svariati freelance. Nel cortile sul retro, un vestito venne riempito di copie non vendute di albi del New Universe, al posto della testa venne appiccicata una foto del volto di Shooter, e il pupazzo a grandezza naturale del direttore editoriale venne bruciato.
“Ripensandoci”, dirà uno dei membri dello staff presenti, “fu una cosa un po’ macabra, un poco offensiva, probabilmente esagerata. Ma in quel momento sembrava essere proprio ciò di cui tutti avevamo bisogno. L’atmosfera era sempre più opprimente.»
Questo è quanto ci racconta Sean Howe nel suo fondamentale Marvel Comics. Una Storia di Eroi e Supereroi. La redazione Marvel Comics non aveva ben digerito il fallimentare progetto lanciato dall’allora editor-in-chief Jim Shooter. Il New Universe, in realtà, era un surrogato di un’idea molto più drastica, che avrebbe dovuto rivoluzionare totalmente il Marvel Universe.
Shooter – recuperando un’idea di Jack Kirby – propose la distruzione dell’intero parco testate in un evento dalla portata drammatica, che avrebbe fatto scomparire per sempre l’universo della Casa delle Idee, così com’era conosciuto. A posteriori, i personaggi più importanti sarebbero stati rilanciati e grazie ad una nuova politica sui diritti d’autore ci sarebbero stati degli incentivi per gli artisti, che non detenevano le royalties delle loro creazioni.
Jim Galton – l’allora presidente della Marvel – bocciò senza mezzi termini la proposta del giovane Shooter, che comunque riuscì a strappare la concessione e i fondi per lanciare il progetto New Universe. Tra il 1984 e il 1986 – in corrispondenza del venticinquesimo anniversario dei Fantastici Quattro – grazie ad un budget di oltre 120.000 dollari, Shooter supervisionò la creazione e lo sviluppo di questa nuova alternativa editoriale.
In realtà, all’epoca la casa editrice non era in buone acque e l’allora proprietario Sheldon Feinberg incominciò a venderla. Le ricadute furono repentine e i fondi stanziati per il progetto di Shooter furono ripetutamente decurtati sino al totale azzeramento. Nel novembre del 1985, lo staff messo insieme per lavorare al nuovo parco testate era alquanto improvvisato. Su tutto c’era uno strettissimo riserbo. Bob Budiansky – che supervisionava Psi-Force, una delle testate del nuovo universo editoriale – così ricorda il concitato lavoro:
«Shooter cominciò ad assemblare i team creativi costringendo certuni a lavorare su determinati titoli anche se i rispettivi supervisori non ce li avrebbero voluti. […] Molte decisioni a livello editoriale non erano state prese di concerto con i supervisori. Mark Texeira disegnò una copertina splendida, e Jim si infastidì perché i lacci delle scarpe di uno dei personaggi non erano chiari…si intestardì a tal punto da chiedere di rifare l’intera copertina. La sistemammo, ma divenne il simbolo di come stavano andando le cose».
E, infatti, i risultati non furono incoraggianti, e dopo un tiepido esordio nel corso del 1986, già a metà dell’anno successivo il New Universe vide dimezzate le proprie testate. Anche la testata trainante Star Brand – scritta dallo stesso Shooter e l’unica che aveva incontrato il favore del pubblico insieme a quella del gruppo disfunzionale DP7 – fu data alla “sapiente” cura di Byrne, che pensò bene di farla collassare su se stessa, decretandone la chiusura.
Star Brand era dedicata all’alter-ego di Ken Connell, un ragazzone americano che si alternava tra un miserevole lavoro in un’autofficina e un’improbabile attività da playboy e che il caso volle “brandizzato” da un misterioso tatuaggio che gli donava poteri smisurati di cui non capiva la reale portata. Shooter mise in campo gli psicodrammi di un eroe improvvisato, totalmente sprovveduto e inconsapevole del suo ruolo nel mondo. Un eroe in linea con l’archetipo classico ideato da Stan Lee, ma enfatizzato con una nota molto anni Ottanta di inconcludente vaghezza. Un giovane John Romita Jr., strappato al precedente incarico su The Uncanny X-Men, ne tratteggiò la figura in maniera quasi stereotipata, riuscendo a far suo il personaggio solo dopo un po’ di storie, lavorando così a pieno regime grazie al solito e magistrale aiuto dell’allora già veterano Al Williamson.
All’indomani dell’annuncio del nuovo probabile inutile reboot, previsto per quest’estate, Panini Comics recupera una manciata di storie di questo atipico supereroe in una cartonato dalla pregevole fattura e che ripropone integralmente quello edito dalla Marvel nel 2006, prima dell’affettuoso e nostalgico rilancio del 2007 firmato da Warren Ellis.
A quasi trent’anni di distanza di quelle storie che sono rimaste comunque nei ricordi degli aficionados anche nostrani che le lesserò a loro tempo, non rimane quasi nulla. I dialoghi e le sceneggiature di Shooter fanno acqua da tutte le parti, risultando datati e ridicoli, con battute così scontate e banali che l’appellativo di letteratura minore potrebbe risultare come un elegante complimento. Questa a tratti è letteratura per minorati, così come è minorato il nostro eroe i cui bidimensionali flussi di pensiero si alternano tra risentimenti e apprezzamenti continui verso qualsiasi essere di sesso femminile che gli si para dinanzi.
Certo, questo Star Brand è un documento di notevole importanza nel sottolineare una cattiva abitudine della Marvel, quella di non credere in progetti alternativi e allineati con un gusto moderno senza dover necessariamente andare a scomodare eventi cosmici di cui la maggior parte dei lettori è nauseata. Questa profonda cecità non ha mai portato la Casa delle Idee a infondere forze e ricerca in una linea adulta e alternativa come la Epic, generando solo sporadici capolavori.
Mentre DC Comics incominciava a porre le basi della linea Vertigo, di cui ora l’unica erede rimane Image, la Marvel si inebriava dei bagordi delle Guerre segrete (di cui guada caso lo spettro è stato agitato in questi giorni per l’ennesimo evento editoriale che cambierà “definitivamente” il volto del nostro amato universo fumettistico) e affondava il talento (forse autorefenziale e narcisistico) di Shooter in un progetto privo di budget che ha lasciato esigui ricordi, ma ha tracciato con il suo fallimento quasi una sorta di limite trascendentale per la Casa delle Idee: una condanna da cui non sembra essersi ancora affrancata.
Star Brand
di Jim Shooter e John Romita Jr.
Panini Comics, 2015
176 pagine, 20 €