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Nello studio di Nicola Gobbi

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Questa settimana, per la rubrica #tavolidadisegno, siamo entrati nello studio di Nicola Gobbi, giovane autore di Ancona (con all’attivo il volume In fondo alla speranza. Ipotesi su Alex Langer, insieme a Jacopo Frey per Comma22) , che presto pubblicherà il suo nuovo graphic novel per la torinese Eris Edizioni, intitolato Come il colore della terra.

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A che progetto
stai lavorando attualmente?

Ho appena terminato il libro, edito da Eris, Come il colore della terra, in uscita a fine aprile. È una favola, interamente a colori, ambientata in Chiapas all’interno di una comunità zapatista, dove quotidianità e fantastico si intrecciano per raccontare la lotta e l’esperienza dei Maya del Sud Est Messicano.

Ora sto iniziando a lavorare su nuovi progetti ancora in fase di costruzione, sono in quel momento di ricerca, gioco e sperimentazione che più amo di questo lavoro. Con Jacop Frey stiamo progettando una storia che partirà dalla provincia come luogo fisico e culturale per andare poi a raccontare la scena punk hardcore italiana degli anni ottanta.

Con Marco Gastoni stiamo invece cominciando a lavorare sulla storia di un incontro tra un ragazzino di una scuola libertaria e un bambino Rom e su un progetto, molto più a lungo termine, che si ambienterà nella Milano di fine 800.

La provincia e la provincialità sarà ancora la protagonista in una storia ai limiti dell’ horror per un progetto seriale che sto ragionando con un caro amico. Fra pochi giorni però partirò per un viaggio nel sud del Messico e credo che questo sia il mio progetto principale al momento, ma questa è un’altra storia.

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Che strumenti e tecniche usi per disegnare?

Per il bianco e nero mi affido ad una coppia classica e rodata: come pennello e china. Per i colori solitamente uso gli acrilici molto diluiti e rafforzati con le matite colorate. Nonostante la mia grande passione per i bianchi e neri forti e netti, ultimamente sto lavorando molto con i colori e le mezze tinte e i miei strumenti preferiti rimangono sempre le matite che riescono a darmi freschezza e una sensazione di fisicità, non tanto al lavoro finito ma quanto nel vero e proprio atto pratico del disegno.

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Hai delle abitudini da rispettare prima di metterti al lavoro?

Direi di no. Mi sveglio la mattina e barcollo verso la scrivania che sta nella mia sala/cucina, cerco di arginare le orde fameliche di gatti che girano intorno a casa, una tazzina di caffè ed incomincio a lavorare rimanendo in uno stato di muto autismo fino a metà mattinata. Poi faccio colazione leggendo due pagine di un romanzo (possibilmente storie di mare e marinai), accendo il computer e inizio ad interagire con il mondo circostante pur rimanendo sempre ancorato alla mia scrivania.

Nell’ultimo anno, mentre lavoravo, ho iniziato ad ascoltare Ad alta voce e ora alterno letture di romanzi alla musica nel cercare di coprire l’inquietante ronzio del mio vecchio pc.

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Quali sono per te gli autori e le opere di riferimento?

Sono da sempre appassionato di fumetto argentino. Alack Sinner è stato uno dei primi personaggi adulti che mi ha rapito totalmente. I bianchi e neri di Muñioz hanno poi costruito le fondamenta del mio gusto. Graficamente però le mie esperienze mi hanno portato a sviluppare un segno lontano da tutto ciò e difficilmente inizio un lavoro senza avere a portata di mano tutte le opere di Cyril Pedrosa in mio possesso.

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Quel cappello è un portafortuna?

Uno dei primi fumetti che ricordo di aver letto è stato un episodio un po’ marginale delle avventure di Corto Maltese, Samba con Tiro Fisso. In quell’episodio Corto incontra i cangaceirosfigure quasileggendarie, tra banditi e ribelli, che popolavano il deserto brasiliano del Sertãotra la fine dell’800 e l’inizio del 900. Col tempo mi sono molto appassionato a questi personaggi, ma la prima cosa ad avermi colpito sono stati i loro particolari cappelli, così appena una mia amica è andata in brasile me ne sono fatto portare uno. Non è proprio un portafortuna ma è uno degli oggetti a cui tengo di più.

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