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5 autori di fumetti morti per i loro fumetti

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I fatti di Charlie Hebdo, pur nella loro tragicità, non costituiscono il primo caso in cui un fumettista perde la vita a causa delle proprie opere e dell’eco politico, culturale o sociale che questi lavori hanno avuto. Cracked ha raccolto cinque illustri esempi di altrettanti uomini morti per i loro fumetti.

1. H.G. Oesterheld

 

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Héctor German Oesterheld, autore di L’Eternauta e Ernie Pike, scomparve nell’aprile 1977, portato via da una squadra armata. Oesterheld divenne un desaparecido, insieme alle sue quattro figlie, rapite tra il 1976 e il 1977. Al periodo della guerra sporca sopravvisse soltanto Elsa Sánchez, la moglie di Oesterheld.

I motivi dietro la sua sparizione non sono certi. Nel 1968, l’autore aveva realizzato una biografia di Ernesto “Che” Guevara per il mercato cileno insieme ad Alberto ed Enrique Breccia, e secondo alcune fonti fu proprio questa opera a condannarlo. Ma si crede anche che lui e le sue figlie appartenessero all’organizzazione guerrigliera dei Montoneros, che aveva lo scopo di spodestare il governo autoritario. Quando il giornalista e fumettista italiano Alberto Ongaro indagò sulla sua scomparsa, nel 1979, ricevette una risposta raccapricciante: «Abbiamo dovuto occuparci di lui perché ha realizzato la più bella biografia di Che Guevara che sia mai stata scritta».

Secondo l’organismo argentino CONADEP (Commissione Nazionale sulla Scomparsa delle Persone), Oesterheld venne tenuto prigioniero in caserme e campi di detenzione clandestina per poi venire assassinato a Mercedes nel 1978.

2. Naji al-Ali

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Naji al-Ali era un vignettista palestinese conosciuto principalmente per il personaggio di Handala, un ragazzino di dieci anni creato per il quotidiano Al Seyassah, che a partire dal 1973 venne disegnato di spalle, con le mani unite dietro la schiena. Handala era un simbolo dell’emigrazione forzata che l’autore aveva subito quando aveva dieci anni, nel 1948, l’anno della proclamazione dello Stato d’Israele. Secondo le sue intenzioni, Handala sarebbe rimasto fermo a quell’età finché non fosse ritornato in Palestina; è perfino diventato la mascotte del Movimento Verde, formatosi a ridosso delle elezioni presidenziali in Iran nel 2009 per chiedere le dimissioni di Ahmadinejad.

Negli anni Ottanta si stabilì a Londra, dove lavorò per il quotidiano kuwaitiano Al Qabas, e lì fu ucciso nel 1987 da ignoti. La sua morte fu anche causa di un forte scontro politico: Il Mossad, l’agenzia di intelligence israeliana, si rifiutò di condividere le informazioni possedute a riguardo dell’assassinio con Scotland Yard e in tutta risposta il primo ministro Margaret Thatcher fece chiudere la sede londinese del Mossad.

3. Gli artisti giapponesi del XVIII secolo

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Nel XVIII secolo gli artisti giapponesi producevano picture book chiamati ‘kibyoshi’, sorta di antenati dei moderni manga, che, oltre a storie di folklore, proponevano parabole satiriche contro il governo (come Sogitsugi gingiseru, le avventure di gemelli siamesi con un solo corpo, una metafora per l’incapacità dei governanti di provvedere al sostentamento del popolo).

Le autorità misero da subito al bando questi prodotti e i loro autori: a partire dal 1791 divenne illegale produrre kibyoshi e molti artisti, come Shikitei Sanba e Santo Kyoden, vennero esiliati o incarcerati. Tra questi, il più influente, Koikawa Harumachi, morì in circostanze non chiarite (ma si pensa che il tribunale presso cui era processato decretò in segreto la pena di morte).

4. Joe Hill

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Joe Hill (da non confondersi con il figlio di Stephen King) fu un sindacalista, cantante e fumettista attivo a cavallo tra Ottocento e Novecento e membro di Industrial Workers of the World (IWW), costola militante del movimento operaio statunitense. Compose canzoni e disegnò fumetti satirici che videro la luce su pubblicazioni dedicate ai lavoratori.

La sua morte, in realtà, non è legata alla sua produzione fumettistica, ma ha in nuce le stesse traiettorie affrontate nelle sue opere. Accusato di un omicidio che recenti risvolti sembrerebbero imputare ad altri, Hill fu giustiziato dallo stato dello Utah nel novembre 1915, nonostante gli appelli di Helen Keller e del presidente Woodrow; restano vive le sue (presunte) parole finali, «Non piangete, organizzatevi!», impresse a fuoco nella cultura popolare statunitense.

5. Chiunque faccia fumetti in Medio Oriente

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Il Medio Oriente, e alcuni paesi situati tra Asia e Africa, non è il posto più sicuro dove iniziare una carriera come fumettista, magari satirico. Alla meglio, si viene picchiati a sangue come è successo ad Ali Ferzat. Nel 1993 un gruppo di artisti organizzò un festival a Sivas (Turchia) per onorare un poeta di quell’area ucciso 443 anni prima per le idee espresse nei propri lavori. Inutile dire che il festival venne interrotto da un gruppo di dissidenti che arse vive 35 persone. Ma i nomi illustri si sprecano: Joseph Nasr venne rapito e ucciso nel 1973, Guerrovi Brahim subì la stessa sorte nel 1995. Nel 1996, cinque fondamentalisti inseguirono (e fortunatamente si limitarono a questo) l’editor di un giornale del Kuwait per aver pubblicato una striscia di Hagar l’Orribile solo perché vi compariva la voce di Dio.

Nel 2010, il fumettista politico dello Sri Lanka Prageeth Eknaligoda scomparve due giorni prima delle elezioni nel suo paese ed è tuttora sperduto (ma Amnesty International crede che il governo lo tenga segregato o sia ormai morto). Lo stesso si pensa del siriano Akram Raslan, arrestato nel 2012 per «aver offeso il prestigio dello Stato» disegnando il presidente Al-Assad nei panni di un clown.

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