Le pagine online del New York Times – oltre a ospitare articoli corredati da illustrazioni interessanti da disegnatori internazionali – stanno proponendo lavori di fumettisti alle prese con la sperimentazione in forme di narrazione ibrida.
Non molto tempo fa era stato il turno di Anders Nilsen, col suo Me and the Universe. Il più recente invece è un racconto di Lilli Carrè, giovane autrice americana che ha all’attivo pubblicazioni con Top Shelf e Fantagraphics (The Lagoon, Heads or Tails, e altri), oltre che essere apparsa in Italia su un volume dell’antologia Teiera.
Il suo The Bloody Footprint si muove al confine tra la narrazione in prosa illustrata e il fumetto. È il racconto di un ricordo d’infanzia, le cui parole si alternano a vignette, alcune ordinarie e statiche, altre animati in GIF. Il narratore in prima persona rammenta una esperienza personale, ma anche una amica la rammenta uguale, solo accaduta a se stessa. La vicenda si incrocia, con poche differenze, offuscata nella memoria e nel resoconto, senza sapere dove stia la verità.
Con le sue matite simulate a photoshop la Carrè asseconda i toni nostalgici e riflessivi del racconto, delineando figure che si muovono nelle vignette o passano da una all’altra, in questa sorta di non-fumetto digitale.
Quello che inizialmente appare come un racconto per parole e immagini ordinato, col proseguire fonde il flusso di pensieri della Carrè con le immagini. La confusione dei ricordi che confessa nelle parole diventa un sovrapporsi di vignette e figure, che lasciano aperto il racconto con un punto interrogativo immaginario, parole che non riescono a pieno a rappresentare i ricordi e danno spazio a figure nel caos.