Ti approcci a The Wrechies e il più scontato dei metaforoni da graphic novel giovanilistica ti aggredisce già dal riassunto della bandella. Un gruppo di ragazzini deve sopravvivere in un futuro post-apocalittico popolato unicamente da loro coetanei, impegnati in una guerra senza sosta contro misteriosi uomini-ombra. Senza cercare di indorare la pillola, è palese che ci si sarebbe potuti annoiare già a questo punto: la paura di diventare grandi, il futuro incerto delle nuove generazioni, le tensioni tra genitori e figli. Tutto chiaro come il sole, già decodificato e pronto per essere assimilato ancora prima di arrivare a pagina uno. Peccato che a raccontarci di queste cose – perché, non ci si scappa, il volume parla proprio di questi argomenti – ci sia un certo Farel Dalrymple. Non proprio uno sprovveduto a cui piace vincere troppo facile.
A dispetto delle previsioni, l’avvio è uno di quelli strepitosi. Dopo un oscuro incipit che troverà risoluzione ben più avanti nella vicenda – ma che contiene, come da tradizione, già tutto il senso dell’opera – veniamo strattonati in un rude mondo dai cieli color mostarda. Di punto in bianco ci troviamo a seguire le scorribande di un improbabile gang di sopravvissuti (modellata su un immaginario abbastanza familiare, c’è perfino il Data dei Goonies), tra maghi preadolescenti, battaglie all’ultimo sangue e visite nei loro fantastici rifugi sotterranei.
La rappresentazione grafica di queste città sommerse – ben lungi dal mero giochino grafico da primo della classe – è uno dei primi segnali di come Farel sappia infilarsi nella testa di un dodicenne qualsiasi. Labirinti iper stratificati, pieni di rimandi a semplici camerette da ragazzino (stiamo pur sempre parlando di giovanissimi, anche se in un mondo a misura di barbaro). Autentiche visioni su di un’età perduta, capaci di riavvicinarci a tutti quei disegnetti sgraziati che entro la fine dell’anno scolastico finivano per riempire i margini dei nostri sussidiari. Da ragazzini, tutti almeno una volta abbiamo provato a progettare un rifugio segreto in cui passare qualche pomeriggio lontano dai genitori. I più romantici avranno pensato subito a qualche casa sull’albero, noi figli degli anni ’80 preferiamo riesumare l‘immediata folgorazione per il rifugio segreto di Christian Slater in California Skate (da cui mi pare evidente Dalrymple abbia preso spunto).
Per qualche pagina abbiamo davvero la sensazione di vivere in un mondo popolato e organizzato da teenager, con tutte le ingenuità e le brutture del caso. E allora ci si mette comodi, nella speranza di godersi un bel racconto per young adult. Forse con un po’ più di pillole, colla da sniffare e arti mozzati della media, ma pure sempre chiaro e lineare nel suo svolgersi.
Ed è qui le cose incominciano a complicarsi. Durante il loro consueto vagabondare i nostri ritrovano un fumetto, in realtà un artefatto magico in cui sarebbe nascosto una qualche forma di messaggio segreto, intitolato The Wrechies. L’unico in grado di decifralo e portare a galla l’antico arcano è uno scienziato – unico adulto visto fino a ora – intrappolato dentro il corpo di un golem meccanico. Una sorta di guru sospeso tra mago e viaggiatore dello spazio, capace di costruire macchinari incredibili. Proprio grazie a uno di questi bizzarri congegni il povero Hollis, una ragazzo solo ed emarginato – perennemente inguainato in una tutina da supereroe – appartenente al nostro mondo, viene risucchiato dentro al fumetto appena rubato in una libreria, simbolo di colpevolezza e di quanto l’evasione possa essere pericolosa. Di che fumetto si tratta? Ma del The Wrechies di cui si stava parlando prima. Peccato che lo sfortunato finisca per ritrovarsi nel The Wrechies tra le nostre mani. E che oltre a lui ci arrivino anche i personaggi del fumetto che stava leggendo.
Un bell’intreccio di meta-riferimenti, risolvibile soltanto affrontando faccia a faccia il creatore del The Wrechies dentro al nostro The Wrechies. Vi sembra folle? Allora mettetevi comodi e considerate di investire nella lettura del volume una quantità di tempo che non avreste mai immaginato. Perché da qui in avanti le cose si complicano ulteriormente e spesso ci si ritrova a chiedersi dove si voglia andare a parare. Scrivere l’ennesima metafora di quanto faccia paura diventare grandi è troppo scontato, così Farel ha pensato a una soluzione tutta sua per evitare ai suoi lettori di incappare in banalità disarmanti. Evita ogni fraintendimento circa speranze & sogni e arriva subito al punto: diventare adulti è orribile.
Con crudeltà e precisione certosina ci anticipa quante volte le nostre aspirazioni si schianteranno al suolo esanimi, quanto dura sarà tornare sulla Terra dopo quel viaggio galattico che è l’adolescenza, che deserto ci aspetterà e la quale sarà la nostra ineluttabile fine da omologati. Se in molti passaggi la narrazione si fa confusa, pesante, spesso al limite dell’intollerabile (preparatevi a muri di testo e a tonnellate di vignette dalle dimensioni di un francobollo) è perché l’autore in questa tematica ci è entrato con entrambi i piedi. Spesso la sofferenza e la confusione sono tangibili, prive della lucidità che ci si aspetterebbe da un narratore professionista.
Il lato biografico è evidente. E’ noto che Farel Dalrymple esorcizzi la tensione di ogni nuovo lavoro con la pratica della meditazione. E infatti nel testo sono diversi i riferimenti a questa disciplina. Procedendo nella lettura si scoprirà l’origine di questo mondo malato e inospitale e tutto sarà ricondotto a una sorta di negatività autoindotta. A un lasciarsi andare a un’inquietudine troppo spesso presa sotto gamba da chi non la prova sulla propria pelle. Tutti sintomi di un malessere interiore che in molti suggeriscono di curare, appunto, con un processo di meditazione. Proprio come il protagonista del volume – autore del meta The Wrechies – anche l’autore ha investito una fetta considerevole della sua vita in questo lavoro (si parla di cinque anni di gestazione), un dedizione rarissima a cui si accoppia un carico di pressione difficilissimo da sopportare. Il processo creativo non è mai una bestia facile da tenere al guinzaglio, figuriamoci quando la distanza da un soggetto così emotivamente destabilizzante è quasi nulla e la strada che si è scelto per arrivare al traguardo è quella più difficile. Non percepire la tensione che ha alitato sul collo di Dalrymple durante tutta la lavorazione di questo volume è davvero dura.
Detto questo non si pensi che The Wrechies sia una sorta di manualetto newage per autori inquieti e insoddisfatti, anzi. Non dà soluzioni di nessun tipo, picchia duro pagina dopo pagina parlando di depressione, dipendenze e fallimenti su tutta la linea. Anche l’aulico climax finale viene spezzato in maniera cinica e brutale, risolvendo il problema di fondo nella maniera più secca possibile. Alla faccia di tanti discorsi sulla pace interiore. Come abbiamo già detto Farel Dalrymple non è certo un autore dalle scelte facili e consolatorie. Gli unici spiragli di luce sono quelli derivanti dalla sua stessa esperienza. Come un consiglio dato da qualcuno che certe sofferenze le conosce bene. Probabilmente non ce ne faremo nulla, ma la sincerità con cui ci viene donato è quasi dolorosa.
A dispetto di quello che lasciano presagire le sue pagine così barocche e cariche di evasione adolescenziale, The Wrechies è un fumetto che va affrontato con cautela. Richiede concentrazione e continue riletture per essere apprezzato a pieno. Nonostante la violenza gratuita, i maghi, l’avventura e le astronavi il bagaglio emotivo che si trascina sulle spalle è davvero difficile da sostenere. Si parte strizzando l’occhio al lettore non più adolescente (i riferimenti agli anni’ 80) come in un giochino nostalgico e si finisce nel bel mezzo di una confessione fiume a cui non si sa cosa rispondere. Per paura di dire qualcosa di sbagliato e peggiorare ulteriormente la situazione. Forse, per una volta, conviene tenersi le proprie sterili opinioni per sé e rimanere ad ascoltare.
The Wrenchies
di Farel Darlymple
First Second, 2014
302 pagine, 19,99$