Nel mondo del fumetto supereroistico, il concetto di morte è uno dei tanti aspetti catartici del mezzo: un eterno ritorno, un ciclo rigenerativo in cui tutto si ripete. «I cancelli del paradiso per noi sono porte girevoli,» diceva Charles Xavier.
Su tutte però, la morte di Gwen Stacy è quella che ha impattato con più violenza e lasciato i segni più evidenti. È successo, nessuno può negarlo né dimenticarlo. Come solo quella di zio Ben ha saputo essere, non fu un semplice stratagemma a effetto, un colpo di teatro, ma un tassello che modellò la psicologia del supereroe e ne arricchì il carattere, lo fece maturare e rilanciò la narrazione della serie. Non solo, ha creato quello che molti chiamano il ‘paradosso Gwen Stacy’, ossia quel processo martirizzante per cui un personaggio diventa importante proprio perché è stato eliminato dalla storia. Gwen, che da viva era in linea con la piattezza psicologica di qualsiasi fidanzata dei supereroi, è ora da morta un carattere dall’alta densità drammatica. E le storie dove era presente sono illuminate da una luce nuova, retroattivamente crepuscolare (che è poi il meccanismo con cui hanno giocato Jeph Loeb e Tim Sale nella mini Spider-Man: Blue). A più di quarant’anni dalla sua scomparsa, la figura stilnovistica di Gwen è circondata da un aura di adorazione e mistero per il modo in cui si sono svolti i fatti che hanno portato al suo trapasso.
Lo spavento di una caduta: Amazing Spider-Man #121
È il 1973 e la serie ha da poco superato i dieci anni di età. Viaggia senza intoppi grazie ai moduli consolidati da Stan Lee e soci: Peter frequenta la Empire State University, combatte supercriminali, si guadagna la pagnotta vendendo le sue foto al Daily Bugle, è innamorato di Gwen Stacy e il suo più grande problema è dover tenere segreta la duplice identità. Identità che è stata scoperta da Goblin, a sua volta rivelatosi nei panni mondani di Norman Osborn; afflitto da un tracollo pubblico e privato, con l’azienda sul lastrico e il figlio Harry scampato da un overdose di anfetamine, Norman rapisce Gwen e la porta in cima al George Washington Bridge (in realtà quello di Brooklyn – errore corretto nel successivo Amazing Spider-Man #147 e nelle ristampe dell’albo), dove avviene lo scontro tra l’Uomo Ragno e Goblin. Nel mentre, la ragazza viene lanciata nel fiume, e l’Uomo Ragno la afferra con la sua tela per salvarla dall’impatto con l’acqua, ma quando la riporta al sicuro scopre che Gwen è morta.
Nonostante Goblin affermi che «Lo spavento di una caduta da quell’altezza ucciderebbe chiunque prima di toccare il suolo!» (è evidente che la ragazza abbia perso i sensi prima della caduta e lo stesso Osborn lo ammetterà nella saga Una morte in famiglia), lo snap disegnato all’altezza del collo di Gwen non lascia scampo: è stato l’Uomo Ragno a uccidere l’amata. L’effetto sonoro cela in effetti il potenziale della narrazione triangolare: è un suono che viene avvertito solo dal lettore, è il piccolo segreto che il narratore rivela al pubblico, lasciando all’oscuro i protagonisti dalla vicenda delle dinamiche reali. E se avete bisogno che ve lo spieghi Kakalios e il suo La fisica dei supereroi, forse avete un sasso al posto del cuore.
Chi ha ucciso Gwen Stacy?
La decisione di uccidere Gwen scaturì dalle conversazioni tra Gerry Conway, sceneggiatore della serie, l’art director John Romita e l’editor Roy Thomas. Thomas veniva dall’ambiente del fandom, organizzatosi attorno alla figura di Jerry Bails, fondatore della fanzine Alter Ego, che cedette il posto di editor a Thomas nel 1964. L’anno dopo, dopo un ingaggio fulmineo alla DC di soli otto giorni come assistente di Mort Weisinger – che usava convocarlo con un campanello e insultarlo a ruota libera – entrò alla Marvel, grazie a una lettera scritta a Stan Lee in cui, da semplice lettore, lodava il suo lavoro e si riprometteva di offrirgli da bere. Lee, che si ricordava di Thomas da Alter Ego, lo aveva reclutato poco dopo.
Thomas aveva assunto man mano sempre più peso all’interno della redazione e, nonostante le ritrosie di Lee a cedere il posto, era diventato direttore editoriale unico a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta. La sua gestione era informale (molto informale, considerando che gli uffici erano spesso impestati da fumi cannabinoli) e agli sceneggiatori era permesso iniettare nei fumetti valori che la loro generazione sentiva cari; lontani dall’ecumenismo di Stan Lee, gli autori leggevano il mondo attraverso una nuova sensibilità. Jim Starlin e Steve Englehart non fecero che inserire in trasparenza idee politiche, usando i fumetti come catalizzatori dei loro traumi (il primo era reduce di guerra, il secondo aveva visto morire un amico in addestramento). Potevano fare tutto quello che pareva loro. Tutto tranne toccare i classici.
Testate come Amazing Spider-Man e Fantastic Four erano il motore trainante della compagnia, ormai fossilizzate nella loro scrittura rassicurante. Ma, nel tentativo di dare uno scossone ad Amazing Spider-Man, Thomas e Gerry Conway – sceneggiatore prodigio che si era visto pubblicare storie per la DC Comics prima di compiere vent’anni – avevano discusso l’idea di uccidere uno dei personaggi di supporto, magari zia May.
John Romita si inserì nella conversazione e propose una soluzione alternativa, ammazzare Gwen Stacy: «Forse avevamo una ragazza di troppo e la scaramucce amorose tra i tre erano già state sfruttate abbastanza. E uccidere Mary Jane non sarebbe stato un grande shock, perché il personaggio non era molto popolare». Conway si illuminò: «Il contributo [di Gwen] era nullo. Non aveva senso che Peter Parker stesse con una tipa come quella, senza una preoccupazione al mondo. Solo una persona piena di problemi si sarebbe fidanzata con un tipo pieno di problemi come Peter Parker».
Gwen era un personaggio privo di nodi psicologici salienti ed era più che altro, per usare le parole degli autori, «un bel faccino». Romita l’aveva creata graficamente in omaggio ai suoi anni da disegnatore di romance, in netto contrasto con le geometrie surreali di Ditko. E Stan Lee se l’era sempre immaginata un doppelgänger della moglie Joan, come d’altronde aveva fatto con Sue Storm, e la sua idea, in una perfetta saldatura tra realtà e finzione, sarebbe stata quella di far sposare Peter e Gwen. Una mossa che il resto del gruppo editoriale vedeva come controproducente: per Romita, Gwen non era un personaggio strutturato abbastanza da poter reggere il ruolo di comprimaria una volta sposatasi, e inoltre il matrimonio era una zavorra narrativa perché avrebbe invecchiato il protagonista e avrebbe reso più complicata la stesura delle trame.
Secondo Conway, un Peter Parker sposato avrebbe perso qualsiasi carica, cancellando le angosce e cristallizzandosi in uno status quo infertile. Anche quando l’istituzione matrimoniale verrà utilizzata per drogare le vendite della testata non sarà mai metabolizzata dai piani alti della Marvel. Joe Quesada, che negli anni Duemila aveva permesso allo sceneggiatore Straczynski di inserire elementi che spingevano molto in avanti la percezione dell’età di Peter (il lavoro d’insegnante, la crisi matrimoniale), passerà la spugna su tutto il lavoro dello scrittore e su una buona parte delle storie ragnesche pur di reintrodurre un Uomo Ragno giovane e giovanile.
Thomas spiegò la situazione a Lee ma questi, stando alle parole di Sean Howe «nel momento in cui smetteva di scrivere un fumetto, smetteva anche di pensarci». Il Sorridente approvò quindi con leggerezza, senza stare tanto a badare alle conseguenze del gesto (le sue parole sono ondivaghe perché negli anni ha dichiarato, contraddetto, rinnegato tutto il contrario di tutto). Lo fece solo quando venne insultato dagli studenti di un campus durante una delle sue conferenze in giro per il paese. Si barricò sulla difensiva, accusando gli sceneggiatori di averlo scavallato e, tra l’ira dei fan, Conway divenne persona non grata alle convention.
«L’idea che noi tre avessimo fatto tutto senza l’approvazione di Stan è inammissibile» tuonerà Thomas. Lee dimandò il ritorno del personaggio, anche solo una tantum. Steve Gerber propose di introdurre il suo cadavere sulle pagine di Tales of the Zombie ma alla fine fu lo stesso Conway a scrivere una storia in cui lo Sciacallo, alias Miles Warren, creava un clone della ragazza per tormentare Peter. Il personaggio è poi stato rievocato nella vituperata saga Peccati del passato, in cui l’Uomo Ragno scopriva che Gwen aveva avuto due gemelli da Norman Osborn (anche se i piani di Straczynski prevedevano Peter come padre dei bambini).
La memorabilità della storia, effetto shock a parte, sta nell’aver usato il topos della damigella in pericolo e averlo ribaltato, perché l’eroe fallisce e il cattivo vince (ma come in tutte le narrazioni classiche un nuovo equilibrio verrà stabilito nel numero successivo, quando Goblin troverà la morte per mano del suo stesso aliante). Fino ad allora, Gwen era l’ultima di una serie di figure femminili di contorno utili a vidimare il successo dell’eroe sul terreno amoroso, ma il suo compito si esauriva lì. Così facendo, invece, Gwen, come ha enucleato Kurt Busiek, «diventò il simbolo dell’amore perduto, l’innocente che non viene salvato. Sono sentimenti potenti che hanno risuonato nella serie per gli anni a venire. […] L’idea che qualcuno amato dall’eroe potesse davvero morire mentre l’eroe stava tentando di salvarlo era uno scossone, uno sviluppo potente. E fu questo che rese Gwen il personaggio memorabile che è oggi».
Thomas e Conway sapevano di aver lasciato un segno sulla testata, quello che non si sarebbero mai aspettati fu l’impatto della storia sul settore dei fumetti.
Vita oltre la morte
Gary Jackson, nel suo Missing You, Metropolis, fa dire a Gwen: «Non sono io ad aver restaurato la loro fede nei fumetti. È stata la mia morte. Sempre la mia morte». In effetti il suo decesso fu una tappa evolutiva non solo per Amazing Spider-Man ma per il panorama del fumetto supereroistico in toto. Dopo l’idealismo della Golden Age e la spensieratezza della Silver Age, si aprì una nuova era, la Bronze Age, all’insegna del realismo drammatico e degli eroi ordinari che non faranno che inserirsi nel solco tracciato da Conway e soci. «Prima il mondo dei comics era un posto bello e tranquillo» ammette lo sceneggiatore. «Certo, ogni tanto accadevano cose brutte, ma non erano permanenti. Dopo la morte di Gwen tutto poteva succedere. Credo che quella storia testimoni la fine dell’innocenza dei fumetti».
La notte in cui morì Gwen Stacy, in seguito diventata proto-esempio del tropo donne nel frigorifero teorizzato da Gail Simone, colse lo zeitgeist e si fece prisma riflettente dell’America cresciuta, quell’America che vedeva per la prima volta la guerra sui suoi teleschermi e che aveva perso l’innocenza e la fiducia nelle istituzioni. Arnold T. Blumberg nel saggio ‘The Night Gwen Stacy Died’: The End of Innocence and the Birth of the Bronze Age illustra come nel 1973 Spider-Man fosse un supereroe vecchio di dieci anni e l’immutabilità e la ciclicità della materia mitologica stessero subendo la tensione della domanda di rinnovamento da parte di lettori che, cresciuti con il personaggio, avevano bisogno di qualcosa di più consono alla loro età. Come dopo una violenta febbre adolescenziale, il corpo del fumetto si era sviluppato tutto d’un tratto.
Volendo utilizzare la lente epistemologica, la morte di Gwen appare come l’anomalia del paradigma consolidato. Ne La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Thomas S. Kuhn spiega che qualsiasi nuova scoperta scientifica inizia con la consapevolezza dell’anomalia, il riconoscimento che la natura ha violato le aspettative del paradigma. Il passo successivo è lavorare affinché l’anomalia diventi l’elemento normativo del paradigma.
Allo stesso modo, la morte di Gwen è la risposta alla pressione esercitata sul genere supereroistico: le prime avvisaglie si erano già manifestate nel 1971 quando, prima su Amazing Spider-Man e poi su Green Lantern, andarono in scena archi narrativi sull’abuso di droghe (rispettivamente da parte di Harry Osborn e Speedy, e quella di ASM era stata la prima storia a non presentare il sigillo di sicurezza del Comics Code Authority, l’organo di autoregolamentazione creato nel 1954 sull’onda delle polemiche fomentate da Kefauver e Wertham). Come anomalia, la dipartita di Gwen venne fatta rientrare nello schema della regolarità – la Bronze Age – diventando solo il primo dei tanti eventi luttuosi che seguiranno.
A più di quarant’anni di distanza da La notte in cui morì Gwen Stacy, la fidanzata di Peter è uno dei pochi personaggi ad avere una tomba sicura nel cimitero dei supereroi. Perché ci sono solo tre morti date per certe nell’universo dei comic book: Jason Todd (il secondo Robin), Bucky, la spalla di Capitan America, e zio Ben, l’amato parente di Peter Parker. Anche se delle prime due non sono tanto sicuro.