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La satira disegnata e il fumettista della crudeltà

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Ciò che è accaduto con la strage di mercoledì al settimanale Charlie Hebdo, purtroppo, non aggiunge molto ai dibattiti che seguirono le già letali dinamiche del caso “caricature di Maometto” nel 2005/2006. Tranne forse la magnitudo implicata nell’essere avvenuto nella capitale di Francia, e il tragico coinvolgimento di artisti importanti come Wolinski o Cabu, i temi che stanno facendo discutere sono gli stessi di allora: la libertà di stampa e di espressione, i limiti della satira, il rispetto per le religioni, il buon gusto (vedi “limiti della satira”), il contesto dell’aniconismo musulmano, la violenza come arma politica, il terrorismo. Temi diversamente mescolati, talvolta contrapposti l’uno con l’altro. Al punto da generare il rischio di fare confusione scambiando le conseguenze con le cause – come è accaduto a una delle più note firme del Financial Times, Tony Barber, che (prima di editare, senza spiegazioni, il testo ora online) ha criticato Charlie Hebdo per, diciamo, essersela un po’ cercata.

Quel che possiamo fare, dal nostro parziale punto di osservazione, è solo qualche sottolineatura. In particolare, ribadire quanto convivere pacificamente con il linguaggio della satira – anche quella disegnata – significhi convivere con la rappresentazione della rabbia e della crudeltà. E questo non tanto per ribaltare i pur giusti ragionamenti sul valore dell’ironia, quanto per ricordare come la stessa crudeltà possa, talvolta, persino aiutarci a volare alto rispetto al piano dello scontro ideologico. Solo una sottolineatura, dunque, per la quale faccio ricorso a due ottimi libri usciti nel 2014, in Francia, dedicati alla memoria di un’altra matita complice dei cartoonist uccisi ieri – quel dessinateur de presse di razza che fu Roland Topor, uno dei massimi disegnatori del XX secolo, storico collaboratore della rivista satirica Hara-Kiri e di quella che ne fu la sua celebre filiazione, ovvero proprio Charlie Hebdo. Il primo volume è la splendida retrospettiva Topor, dessinateur de presse (Les Cahiers Dessinées); il secondo è la prima raccolta organica dei suoi rari fumetti, Topor. Strips panique (Wombat).

Topor

StripsPanique

Topor, o la radicalità del disegno (satirico)

1Una delle più sorprendenti ri-scoperte di Strips panique, in particolare, merita attenzione. Nel 1968, in pieno clima di contestazione e diffuso anti-gollismo, fu George Wolinski (ucciso l’altroieri) a rendere possibile la pubblicazione presso l’editore Jean-Jacques Pauvert di un piccolo pamphlet, intitolato La Vérité sur Max Lampin, realizzato da Topor. Si trattava di una specie di striscia in 72 vignette. Dalla prima all’ultima, in una sorta di allucinata variazione sul tema, il protagonista Max Lampin è reso oggetto di una delle più memorabili opere di esecrazione mai pubblicate nella storia del fumetto e del disegno satirico. Sempre schizzato in mezzo busto, con linee incerte, in vignette prive di margini e con testo in calce, Max è al centro di un racconto che è una specie di metamorfosi progressiva, cadenzata dagli insulti: “Max Lampin è una feccia” “Max Lampin è una carogna circondata da vermi in decomposizione” “Max Lampin culo grosso e palle molli” “Max Lampin ha degli stronzi nella testa” “Stronzo merdoso ladro bastardo Max Lampin disgustoso” e via dicendo, sempre con questo Lampin mal disegnato e ricoperto di ogni lordura o escrementi, deformato, deriso e infine – in un’angosciante sequenza di 14 vignette – accompagnato lungo le ultime pagine da una sola scritta, l’invettiva “Max Lampin muori”. Come era chiaro a tutti i lettori, in quel 1968 – ma come restò chiaro anche anni dopo, quando la storia fu ripubblicata proprio su Charlie (mensuel) – quel Max Lampin con cui Topor se la prendeva tanto non era altri che il generale Charles De Gaulle. L’allora Presidente della Repubblica francese.

Un frammento della riedizione
Un frammento della riedizione

Sempre Strips panique ha ripubblicato Erik, un petit prince des Pays-Bas au bord de la mer (1978), un fumetto muto in bianco e nero con macchie di rosso. Il protagonista è un bimbo, che si presenta al lettore mentre sguazza in una pozza rossa. Forse il mare del titolo? Capiamo presto che, invece, il rosso è quello del sangue, assaggiato e sbevazzato dal bebè; scopriamo poi che sgorga da una donna sgozzata; seguiamo l’infante gattonare in uno spazio vuoto, lineare e metafisico, popolato da cadaveri; Erik poi passa a papparsi, incurante, l’intestino di una bimba cadavere; cava un uovo dal ventre di un volatile; e finisce sommerso in un mare che pare generarsi dalla pipì di qualcuno – un mezzobusto senza busto, a dire il vero. Una scansione completa del racconto è finita qua.

erik

Quelli di Topor, insomma, sono forse i fumetti più crudeli che possa capitare di leggere. Nulla di troppo diverso, tuttavia, da tanti altri disegni dell’autore. Casi limite di un artista eccentrico e marginale? No. Topor fu, per tutti i membri della famiglia di Hara-Kiri prima e Charlie Hebdo poi, il più dotato, il talento inafferrabile, il poligrafo inimitabile, l’artista autentico. Il massimo rappresentante della qualità creativa della sfida culturale lanciata dal gruppo capitanato da Cavanna e Bernier. Alcune sue immagini sono tra le più note e riprodotte nella storia dell’illustrazione, come quella finita in una celebre campagna pubblicitaria di Amnesty International, o quella del “pugno in faccia”, riciclata a più riprese fino all’adattamento per una copertina giornalistica che attaccò ‘sfacciatamente’ Richard Nixon.

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Nixon

Topor è stato insomma un gigante del disegno, come raccontato puntigliosamente dalla monografia Topor, dessinateur de presse. Un grafomane iperprolifico, pubblicato e richiesto in tutto il mondo, da Le Monde al New York Times, dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung a Elle, Libération o Le Nouvel Observateur, da Le Rire a Le Canard Enchainé a Graphis, da testate ‘minori’ come Bizarre, Le Fou parle, Surprise, The Situationist Time, Mépris e persino da tanti periodici italiani come Il Delatore, Il Corriere della Sera, Il Male, Tango e i vari progetti di Giovanni Gandini: Linus, Ali Baba, Il Giornalone, Indice Libreria.

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Tutti lo vollero (tranne il New Yorker), e a tutti diede quel che sapeva e amava fare: disegni satirici, in cui elementi disturbanti, feroci, cattivi prendevano spazio partendo spesso da quel centro gravitazionale della sua immaginazione sfrenata che era il corpo. Nonostante sia stato spesso accostato al surrealismo, che certamente lo aveva ispirato, Topor ne contestò subito i limiti – incluso l’atteggiamento autoritario di André Breton – e con gli amici Fernando Arrabal e Alejandro Jodorowsky fondò nel 1961 il movimento Panique. Era un modo per ribadire nel suo campo il bisogno di deridere qualsiasi pretesa di serietà e di gerarchia. Così come farà per tutta la sua carriera, continuando a rifiutare di essere trattato con la pomposità riservata ai grandi artisti. Secondo il fumettista Fred, Topor “disegnava cose straordinarie, ma non se ne vantava mai”. Soprattutto, fu capace di tradurre questa coscienza nel suo stesso stile: sentendosi disegnatore ma praticando anche la narrazione, il cinema, il collage, il teatro, il fotoromanzo, l’incisione; non cercando mai il ‘bel disegno’, eppure riuscendo a produrre immagini senza dubbio ‘belle’; rappresentando sangue, merda e sesso, eppure creando con esse poesia, invenzione e slancio.

Nel suo inventare immagini, indicò come fosse possibile evitare manierismo e fighetteria, ma anche la ‘maleducazione’ compiaciuta dell’underground. Nel suo segno sempre evidentemente imperfetto, nelle sue forme spesso sgraziate, Topor dimostrò che il disegno, se vuole produrre idee, può e deve abbandonarsi alla crudeltà dei difetti, e abbracciarla per farsi trascinare oltre. Come nel finale del suo pamphlet antigollista, in cui Topor conduce il linciaggio grafico “fino alla sparizione definitiva, non solo del personaggio (colpito a morte) ma anche del suo stesso principio di scrittura”, come ha notato Christian Rosset nella acuta postfazione a Strips Panique.

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A proposito sempre di Max Lampin, Topor scrisse nella sua postfazione originale:

«Max Lampin è una piccola cosa rispetto al mio odio. È un mascalzone, d’accordo, ma non così eccezionale. D’altra parte, non cambierebbe nulla nemmeno se fosse un piccolo sant’uomo. Allora perché prendermela con lui con una tale violenza, una tale aggressività? Ve lo dico subito. Se, come me, si è vecchi, poveri, malati, umiliati, ridicolizzati, non si possiede nemmeno più l’orgoglio dei propri nemici. Il primo che passa è più che sufficiente. Permette di alleviare la propria bile, è il principale. Quando costui sarà servito allo scopo, ne prenderemo un altro. La cosa importante, è non morire di rabbia.»

Libero disegno in libera crudeltà

La strage a Charlie Hebdo deve ricordare a tutti noi come la libertà di espressione, in una civiltà libera e moderna, non possa non fare i conti con la libera rappresentazione della crudeltà o della ferocia. Contro il Re Luigi Filippo ai tempi di Honoré Daumier, contro Boss Tweed ai tempi di Thomas Nast, contro De Gaulle o contro Dio ai tempi di Hara-Kiri, contro Dio o Maometto ai tempi di Charlie Hebdo.

La capacità di rappresentare la crudeltà è un dono; una liberazione, per l’uomo che conosce  la morte e può affrontarla così senza abbandonarsi alla sua trasformazione nell’impulso alla violenza fisica. “Qualunque sia la crudeltà che esprime il disegno di Topor, essa non è ai suoi occhi che una ‘fiaba’ rispetto agli orrori della realtà e al sudiciume degli uomini”, ha scritto Jacques Vallet. Disegnare la crudeltà, in particolare, è il dono che la satira di Roland Topor – e i suoi fratelli maggiori e minori a Charlie Hebdo – ci ha offerto. Certo, non tutti hanno saputo incanalare ferocia e crudeltà nei segni giusti, con i quali fare delle bassezze del corpo e della mente la materia per poter volare nello spazio profondo delle pulsioni ancestrali, dell’assurdo o del nonsenso come fece lui. Ma senza il campo in cui il suo mestiere viene svolto – il disegno (caricatura, illustrazione, fumetto) satirico – beh, non avremmo avuto Topor.

Alla sua morte, il 16 aprile 1997, sulle pagine di Charlie Hebdo, l’amico e complice Gébé, fumettista e vignettista, concluse così il suo emozionato testo di ricordo:

«Topor riuscì subito, e continuò sempre, a fare meglio di chiunque altro.»

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