Primo evento fumettistico dell’annata editoriale americana, il nuovo corso dei fumetti Guerre stellari di casa Marvel è l’ennesima conferma che, con l’acquisizione di LucasFilm da parte di Disney, le cose sono cambiate. Nel bene o nel male che sia.
I film di Guerre stellari, nonostante la loro costante presenza sulla scena – garantita dal merchandising – sono un prodotto difficile da replicare su altre piattaforme. Azioni movimento suono musica sono energie ardue da trasportare in letteratura. Basti guardare i duelli con le spade laser o le scene con R2-D2 senza il sonoro, per capire quanto il lavoro del sound designer Ben Burtt e del compositore John Williams abbia plasmato in profondità le pellicole.
Fra i tanti prodotti generati dal licensing lucasiano, però, è stato proprio il fumetto il mezzo attraverso cui l’onda della saga si è propagata con più intensità, grazie alla forza delle loro immagini. Fuori dal cinema, infatti, i bistrattati comic book tratti dalla saga vanno messi in prospettiva storica: sono stati loro il motore propulsivo della serie nei suoi anni bui. Tenendo viva, integrando e accrescendo la mitologia ufficiale governata da George Lucas. Ma anche – va detto – attraversando a loro volta periodi di stanca in cui a gestire i fili narrativi erano mestieranti di scarso peso (e idee), o autori che dovevano lavorare negli stretti confini del permissibile. Ora, Star Wars, la nuova serie ambientata appena dopo l’episodio originale del 1977, scritta da Jason Aaron e disegnata da John Cassaday, inaugura una fase storica in cui autori di serie A lavorano sui personaggi di serie A della saga, liberi di fare tutto ciò che pare loro. Be’, quasi tutto.
La nuova gestione della property ha sì abbandonato ogni elemento proveniente dall’Universo Espanso (l’insieme di prodotti extra-filmici/televisivi dedicati alla saga e comprendente libri, fumetti, videogiochi e altre amenità) per svincolare da ogni legaccio i creatori e costruire un nuovo arazzo, ma, per agevolare questo processo, è stato istituito uno story group interno alla LucasFilm responsabile di supervisionare la narrativa della saga, controllando che tutti gli sceneggiatori siano sulla stessa lunghezza d’onda e, soprattutto, deliberando cosa si possa o non si possa fare. E infatti Aaron e Cassaday, insieme agli altri team coinvolti (Mark Waid, Terry Dodson, Kieron Gillen e Salvador Larroca) sono stati convocati al ranch Skywalker – sede della LucasFilm e monumento egomaniacale al grande regista – dove sono stati istruiti sui nuovi confini del lecito. Per rendere l’idea, senza contare Alex Alonso, l’editor-in-chief della Casa delle Idee, sono cinque gli editor elencati nei credits.
Fino all’uscita della nuova pellicola, Il risveglio della Forza, i prodotti collaterali si concentreranno sui periodi interstiziali tra i film della trilogia classica – perché 1) nessuno vuole più sentir parlare di guerre di cloni, midichlorian e Jar Jar Binks e 2) spingersi oltre Il ritorno dello Jedi significherebbe rivelare informazioni sui nuovi episodi.
Tra le direttive da seguire, il continuo rimando alla trilogia originale, in termini di atmosfere, estetica, temi e linguaggio. È una cosa riscontrabile anche nella serie tv Star Wars Rebels, piena di influenze al limite del pedissequo agli episodi IV-V-VI, ed è lampante nelle prime ventidue pagine di Star Wars: il fumetto si apre come aprirebbe un episodio cinematografico, con la scritte ‘A long time ago’, il doppio paginone con il logo della serie, l’opening crawl, il testo introduttivo scritto tra le stelle e l’inquadratura di una nave che supera la cinepresa; si citano poi lemmi, situazioni o design tipici come ‘hope, ‘stikes’, ‘rebel scum’, «I have a bad feeling about this» o la mano mozzata. Ecco, l’unica cosa ripresa dai prequel per cui Aaron e Cassaday riceveranno il cartellino rosso Sith dalla LucasFilm è la gag copiata da La vendetta dei Sith in cui R2 espelle all’occorrenza liquidi conduttori/infiammabili, ma per il resto si respira a pieni polmoni l’aria celebrativa della trilogia classica, tra comparsate e name-dropping spudorati (Tatooine, Jabba the Hutt, gli AT-AT e il fan invasato t’ha già comprato due copie in più, anche solo per fare conto tondo con le altre sessantotto che ha acquistato per avere tutte le variant e fare colpo su una ragazza che non sia mammà).
Inutile stare a disquisire sui meriti della storia, ferma com’è a un primo numero lieve di accadimenti e povero negli scambi di battute (una sola tavola in cui Ian e Leila hanno una parvenza di conversazione) ma è già chiarissimo quale sia la conformazione della serie da un punto di vista tonale: un rimestamento di topoi rassicuranti per gli appassionati e un’introduzione ben focalizzata per i nuovi adepti. Con tutti i pro e i contro della situazione, come il solito problema da prequel insito nell’uso di personaggi di cui conosciamo le sorti: a un certo punto Chewbecca si trova di fronte la possibilità di assassinare Fener; la scena è priva di qualsiasi tipo di tensione visto che sappiamo tutti come andrà a finire. La soluzione naturale sarebbe introdurre nuovi personaggi dai destini sconosciuti ma questo significherebbe allontanarsi dai protagonisti amati (quante delle creazioni nate su carta sono sopravvissute nella memoria collettiva?) e si entrerebbe in un circolo vizioso che gli sceneggiatori dovranno prima o poi interrompere, pena la ricaduta nelle dinamiche note della Dark Horse – ritrovatasi a pubblicare fumetti tratti dalle bozze alternative delle sceneggiature dei film – non appena l’euforia del momento sarà svanita.
È tuttavia una mossa inevitabile perché arrivati a un certo punto ci saranno solo una quantità limitata di avventure che Luke e i suoi potranno vivere – a meno di non alterare la cronologia e distanziare di più Una nuova speranza da L’Impero colpisce ancora. Insomma, da qualsiasi parte la si voglia guardare, la gestione a fumetti di una proprietà come Guerre stellari è più ingombrante di gestioni decennali di un qualsiasi supereroe, che ha il vantaggio di poter sempre muovere in avanti, invece che continuare a zigzagare entro i confini di quella che abbiamo scoperto essere una galassia tutt’altro che sterminata.
Star Wars mostra i muscoli soprattutto nel compartimento grafico, dove Cassaday fa Cassaday: grande risalto alle figure, pochi fondali, tavole puntellate da eleganti simmetrie, chiasmi compositivi e dutch angle alla N. C. Wyeth; stenta un po’ sulle espressioni facciali, ora rigide ora bizzarre, ed è evidente che lavorare sui riferimenti fotografici degli attori non sia il suo forte. Gli corre in aiuto la colorista di fiducia Laura Martin che, nel suo classico stile, illumina i visi dei personaggi e fornisce una ricca costruzione scultorea del volto, stressando quella centralità caratteriale già portata avanti dal disegnatore texano. Lo sforzo profuso è teso a far avvicinare quanto più possibile il fumetto con il ricordo che hanno i fan dei film e con l’immaginario collettivo che si è diffuso presso le masse. Come a consolare tutti, vecchi e nuovi lettori, che quello che stanno leggendo – e soprattutto guardando, perché quella visiva è la parte vitale del progetto – è proprio Guerre stellari.
Sia nella scrittura che nel disegno, però, è presente la componente che determina l’appartenenza del prodotto all’universo di Lucas: il senso dell’avventura, la massima leggerezza del tono e la chiarezza delle azioni. Certo, manca ancora lo stupore per il meraviglioso, il riempirsi gli occhi con la fantasia del creato, ma sarebbe davvero chiedere troppo per un fumetto con personaggi di cui conosciamo i più reconditi desideri e che nulla vuole essere se non un varo di buon auspicio.
Star Wars #1
di Jason Aaron e John Cassaday
Marvel Comics, 2015
32 pagine, 4,99 $