Possiamo capire meglio un fumetto come Kriminal partendo da un saggio sulla musica di Céline Dion? Sono il primo ad ammettere che suona strano, ma l’analisi portata avanti dal critico Carl Wilson nel suo libro Let’s Talk About Love. Why other people have such bad taste (ribattezzato in italiano con un geniale Musica di merda da parte della redazione di Isbn Edizioni) potrebbe risultare molto più trasversale di quello che si pensi.
Nel testo in questione il lavoro della cantante canadese viene sviscerato e analizzato sotto ogni punto di vista possibile, da quello storiografico a quello puramente estetico. L’autore cerca furbescamente di farci credere che il suo scopo sia la ricerca di una definizione di cattivo gusto – si parte da Kant e si finisce a parlare del kitsch di Clement Greenberg e del gusto sociale di Bordieu –per poi ammettere quanto sia gratuita questa divisone, soprattutto in un’epoca dove il “brutto” è diventato “bello” e dove si è tutti talmente onnivori da scardinare ogni forma di divisione. L’importante, per il pubblico moderno, è non farsi trascinare troppo. Illuminante il passaggio in cui, con candore straordinario, ci ricorda che dopotutto “cool” significa freddo.
Le cose incominciano a chiarirsi con alcuni racconti legati al suo recente (all’epoca) divorzio. Il doversi scontrare per forza di cose con una serie di emozioni tanto forti quanto inevitabili – come succedeva con la dipendenza dalla cocaina nel fantastico saggio di critica videoludica Voglia di Vincere di Tom Bissel, sempre per Isbn Edizioni – costringe il nostro ad aprire le cateratte all’emotività più viscerale. E a quel punto capisce il fascino di Céline, il suo essere totalmente un-cool, proprio per il suo mirare costantemente a una sfera che – nell’ottica dello snob contemporaneo – dovrebbe essere il più nascosta possibile. Nei suoi dischi non c’è sofisticazione, ne modulazioni. I suoi fan, tutt’altro che freddi/cool, vogliono solo emozioni sparate in faccia con la violenza di un treno merci in pieno deragliamento. E, incurante del senso del ridicolo, quello lei restituisce. Perché è esattamente quello che ama produrre, incurante di ogni forma di distacco.
Non è difficile vedere Kriminal alla stessa maniera. Aldilà di tutte le dietrologie possibili sul significato della sua uscita nelle edicole del 1964, quello che continua a rendere questo fumetto nero così affascinante è la grottesca persistenza nel battere sempre e solo su pessimismo, corruzione, morte e sesso. Non si rallenta mai. Non si cerca in nessun modo di nobilitare l’idea di fondo, che rimane gratuita e priva di qualsiasi lettura su più livelli. Spesso nelle sue storie il protagonista Anthony Logan ne esce sconfitto, ma di sicuro non ha rinunciato a infierire su qualcuno o a consumare con la fortunata di turno (compresa la cugina/gemella editoriale Satanik).
Per quanto storie intricate e dotate di indubbio amore per l’intreccio – come la mia preferita, la fantastica La Fabrica di Colla – non manchino, Kriminal rimane pura mortificazione del climax narrativo. Viaggia sempre e comunque sopra le righe, come le linee vocali di Céline. Sempre in crescendo. Al limite si potrebbe dire che cambia solo la direzione in cui si procede. Se la serie nasce come nero tout-court, con il protagonista criminale senza ombra di redenzione, con il passare degli anni lascia il posto a una grottesca e populista satira della società. Un universo così alla deriva dove Il Nostro appare quasi come un giustiziere, nonostante non perda il vizio di falciare chiunque gli si pari davanti.
Non è un mistero se rispetto alle sue vendite di tutto rispetto non abbia mai goduto di un totale sdoganamento. Logan non è affascinante, non è un gentiluomo, un guascone o un’amabile canaglia. E’ il frutto di una storia tragica, immerso in un mondo di fango putrido e poco altro. Perfino il suo costume rispecchia appieno questa voglia di sprofondare sempre più verso il basso. Una volta indossata la maschera il suo volto non viene coperto da una cappa decorata con l’immagine di un teschio. Diventa un teschio, come se alcune parti del suo volto venissero asportate.
Implausibile, kitsch, eccessivo. Una volta si sarebbe detto di cattivo gusto. Nonostante ci si sforzi di trovare per forza di cose una critica sociale nell’accanirsi di Kriminal contro le associazioni criminali nascoste tra gli strati più alti della società – come già detto, da un certo punto in avanti diventa perfino “quasi” buono – i suoi momenti migliori sono le esplosioni di violenza del tutto ingiustificata, destinata a travolgere innocenti. Ricchi e poveri che siano. Nell’episodio Il rapimento di Lola non esita certo a scagliare dal finestrino un povero pilota d’aereo, solo per prenderne il controllo. In un percorso in costante accelerazione quelli sono i picchi di velocità. L’importante è non rallentare mai. I fan impazziranno di gioia, il resto del pubblico rimarrà interdetto e bollerà il risultato come pacchiano, dozzinale e troppo di pancia. Ancora una volta, proprio come l’ugola simbolo del Québec. In questi lidi nessuno cerca di nobilitare nulla. Vengono in mente le parole di Aristide Massacesi (in arte Joe D’Amato), primo regista porno italiano e maestro dell’horror più depravato e sanguinolento: «Quello che noi abbiamo sempre cercato di fare è stato dare al pubblico quello che il pubblico voleva. Con passione ed entusiasmo. E senza un filo di ipocrisia.»
Da poche settimane la Mondadori ha reso disponibile la vendita online del prologo della nuova serie di Kriminal, realizzata da Casali, Camuncoli e Catacchio. Facendo parte di quella fetta di pubblico che non ha mai avuto bisogno di grandi sovrastrutture critiche per farsi piacere l’opera originale, non ho certo atteso per prendere visione di queste prime 16 pagine (scavalcando l’acquisto della poco pratica controparte cartacea. Un tabloid nella ressa di Lucca rischia davvero di diventare carta da pesce). La paura maggiore è che quel genuino amore per l’abbattimento di ogni tabù venga pervaso da una qualche consapevolezza, indugiando piacione su quello che potrebbe provocare sollucchero al pubblico. La passione cristallina per quel “passo in più” che non si dovrebbe mai fare, ma a cui Max Bunker non poteva resistere, potrebbe essere inquinata dal maledetto disincanto post-moderno. Mai come in questo caso l’opera deve essere concepita con il basso ventre. Non si deve amare lo shock, ma la materia che lo provoca. Morti prive di significato, sesso a buon mercato.
In una delle prime pagine di questa anteprima assistiamo allo scambio di battute tra due scagnozzi. Aldilà di un uso tanto legnoso quanto reiterato dell’espressione “cazzo” – come se i Novanta non fossero mai finiti – salta all’occhio la definizione di “mezzo negro” riferito al loro boss. Non è tanto l’espressione a suonare stonata – per lavorare in determinati ambiti dubito richiedano come requisito minimo una profonda coscienza sociale – quanto l’accento sul fatto che il soggetto in questione non è neppure di origine africana. Danno del negro a uno che negro non lo è neppure. Ci voleva proprio il segno di un evidenziatore per rendersi conto di quanto questi criminali siano abbietti.
Rispetto a questo tipo di provocazioni, certe uscite della serie originale – Kriminal che picchia la sua compagna mentra questa, sinceramente succube, gli chiede scusa per averlo fatto arrabbiare – sono una bomba termonucleare di scorrettezza. Proprio perché sono sciorinate con una facilità pietrificante e quasi poste in secondo piano. Va ribadito che con il passare degli anni il protagonista si è molto ammorbidito, ma la stessa cosa non la si può di certo dire delle sue vittime. Vogliamo parlare del numero Gli squali hanno i denti aguzzi in cui uno speculatore edilizio decide di non perdere tempo a sgomberare un ospedale da abbattere e decide di gasare i malati, in combutta con il primario, usando i cadaveri per rinforzare il cemento?
Vedremo se oltre a questi aspetti gli autori avranno deciso di adattare allo spirito del tempo anche la narrazione a sottrazione sviluppata da Bunker & Magnus. Nonostante gli eccessi, Kriminal è una serie priva di fronzoli o di abbellimenti di ogni sorta. Volti spesso sprofondati nel buio, privati di lineamenti, se non addirittura ripresi dalla nuca. Micro ellissi narrative votate ad accelerare il ritmo e a lasciare un sacco di spazi bianchi da far riempire al lettore. Spiegazioni risolte in un pugno di passaggi spesso molto poco plausibili, tanto da far sconfinare la serie in toni vicini al fantastico. Proprio come succeda con il noir classico – mutuato direttamente dall’horror – di Edgar G. Ulmer (la ragazza impiccata con il telefono di Detour) o Aldrich. Soluzioni ruvide, spesso dettate dal formato del fumetto (due fasce che nella gran parte dei casi limitavano il numero delle vignette a due per pagina) e dai tempi produttivi disumani. Eppure, parte integrante del fascino di questo titolo. I nuovi autori avranno a che fare con un formato più grande (penso lo stesso, ottimo, della ristampa di Hammer) e con il colore, due strumenti narrativi capaci di influenzare ogni scelta del team creativo.
Le pagine dell’anteprima sono troppo poche e troppo lontane dal prodotto finito per farci dei ragionamenti sensati. Vedremo se il team creativo avrà portato avanti un tipo di rinnovamento all’insegna del rispetto cieco (e forse un po’ ottuso) per l’originale o avrà optato per un qualcosa di più scardinante. Un reboot all’americana, verrebbe da dire, dove attorno allo scheletro del personaggio – letteralmente, in questo caso – vengono cucite di volta in volta nuove sfaccettature. Da quel poco che si è visto l’impressione è quella. Una scelta coraggiosa, votata a creare qualche nuovo lettore tra le nuove generazioni. Per constatarlo in maniera inconfutabile, e vedere se gli autori siano riusciti effettivamente a dare vita a una versione 2015 di Kriminal che vada aldilà di qualche scenetta di sesso e di qualche battuta spinta, dovremmo comunque aspettare ancora qualche mese.