HomeRecensioniNovitàSuehiro Maruo e l'estetica anti-romantica del vampiro urbano

Suehiro Maruo e l’estetica anti-romantica del vampiro urbano

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Dopo 11 anni Coconino Press ristampa e conclude con la pubblicazione del secondo tomoIl vampiro che ride (Warau Kyuuketsuki) del mangaka Suehiro Maruo. Da tempo fuori catalogo, il primo volume torna nelle librerie con una nuova traduzione, permettendo a quanti l’avessero perso nel 2003, insieme ad altre due opere capitali dell’autore – Midori la ragazza delle camelie e Notte putrescente – di recuperarlo e terminare la lettura con il conclusivo volume, intitolato Paradiso. Quest’ultimo, pur concentrandosi sulle vicende di Konosuke Mori e di Luna Miyawaki, nonché della loro mentore la Donna Cammello, introduce due nuove figure in un conturbante intreccio.

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Ribaltando il cliché romantico del vampiro, ma interpretando lo stesso mito fondatore, Mauro ci parla della precoce iniziazione all’età adulta di due adolescenti, uniti nel vincolo dell’amore e della vita eterna. La loro inappagabile sete di sangue li porterà, muovendosi tra le pieghe di una società giapponese in piena decadenza, a condurre verso il lato oscuro dell’esistenza il giovane Makoto Tachibana, in cerca della sorella minore scomparsa anni prima.

Suehiro Maruo è noto per il suo immaginario pesantemente indebitato con un estetismo mitteleuropeo dalla piega barocca, evidente soprattutto nel campo dell’illustrazione e della grafica – dove, non a caso, facendosi erede di una fiorente e lunga tradizione orientale ha prodotto epigoni e altrettanti degni eredi, come Takato Yamamoto. Velato di palesi citazioni, Maruo nella sua produzione fumettistica tratteggia un mondo dove conduce, con fiero distacco, una personale – eppur condivisa e non isolata – fenomenologia del male e della violenza. Maruo, in realtà, è solo uno dei tanti autori nipponici che lambisce territori tra la scandaloso e il sordido, immergendosi/ci in situazioni dove ogni tipo di «-filìa» è lucidamente attraversata e mostrata senza alcun filtro, ma anche senza alcun tono moraleggiante. Tuttavia, Maruo inghirlanda il tutto per indorare la pillola, ovvero per rendere la sua violenza un gioco estetico, fortemente seducente e raramente, anche laddove si toccano temi forti – con ragazzini mostrati e sopraffatti nella loro sessualità, disturbante – forte in questo di una giustificazione artistica. 

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Il bruco, tradotto anch’esso da Coconino Press, metteva a nudo le fonti a cui attinge Maruo. La sua è una poetica granguignolesca che alligna e si nutre delle atmosfere ero guro. Il Giappone, ammalato di “occidentosi”, con questo Wasei-eigo denota un genere nato negli anni Trenta del secolo scorso, in cui elementi erotici vengono infusi di atmosfere misteriose e grottesche, che non di rado sfociano in forme palesi di pornografia screziata da forti tinte gore. Questa esasperazione del sesso e della violenza, che vede molto spesso accoppiamenti tra sordidi individui sfigurati o corrotti nella loro carne, e fanciulle nel pieno della loro verginea bellezza, finanche corpi ancora in età puberale (che sotto-generi hentai cannibalizzano, rendendo la violenza emaciata di Maruo un flebile strepitio al confronto) è da sempre connaturata all’anima nipponica: basti pensare alla cephalerotica degli shunga di Katsushita Hokusai.

Maruo, quindi, insedia la sua ricerca in uno spazio che può sembrare alieno al lettore occidentale, ma che in realtà è un luogo simbolico di incontro e sublimazione. Non è un caso che i suoi fumetti siano disseminati di indizzi e precisi omaggi: come quello programmatico a pag. 16 del primo volume, dove si scorge una riproduzione de La Pubertà di Munch. Maruo sceglie proprio la primissima adolescenza e i riti di iniziazione che la conducono solo virtualmente alla soglia di un’età adulta. La carne per Maruo è sempre erotizzabile: non a caso il vampirismo è fortemente erotizzato, e l’estasi che ne deriva è qualcosa a metà strada tra il trip lisergico e l’orgasmo, come si può ben intuire dalla scelta di rappresentare il piacere che deriva dal sangue come «un fiore che fiorisce nella testa».

L’erotismo nero di Maruo potrebbe ricordare per la carica secessionista il nostro Guido Crepax: l’esplosione e la frammentazione dello spazio narrativo portavano al parossismo, in Crepax, l’attesa erotica. La tavola del Crepax erotico ha qualcosa di ritmico e che allude nel suo cesello allo sguardo voyeuristico. Maruo manifesta, talvolta, la stessa tendenza a complicare e frammentare la tavola. Ma la gestione del mangaka è finalizzata ad un rallentamento, quasi ad una stasi, in cui non si scorge alcuna tensione diegetica. Crepax rallenta riempiendo il tempo di attesa, mentre il cesello di Maruo è un puro orpello: un indugio.

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Maruo a confronto con Crepax
Maruo a confronto con Crepax

Comunque, non si esaurisce solo in questa piega estetica l’arte di Maruo, poiché la sua volontà è molto più carsica e profonda: potremmo – senza sbagliare – dire che egli usa la violenza e il sesso per mostrare qualcosa di più profondo. Non sono i suoi mostri umani-troppo-umani a incutere terrore, ma la banalità del male che invece scorre senza che nessuno se ne accorga, nelle fessure di una società in cerca del proprio capro espiatorio. Non è un caso che l’autore decida di ambientare la storia all’indomani di un’enorme ecatombe provocata da un terremoto, privo di qualsiasi palingenesi, che sprofonda l’umanità in qualcosa di abbietto. La nebulosità temporale viene colmata da Maruo nel breve racconto in appendice, intitolato Il Vampiro che piange, grazie a cui possiamo collocare l’incipit della storia nel 1923, quando un terremoto di impressionante forza devastò Tokyo e intere regioni del Giappone, causando decine di migliaia di vittime.

La società descritta da Maruo è infestata da un disinteresse crescente verso un’adolescenza ormai allo sbando, dedita alla pratica dell’enjokosai e all’abuso di droghe psicotrope. Un’adolescenza problematica che marginalizza la diversità. I presupposti potrebbero far pensare – a dispetto di quello precedentemente detto – che Maruo si faccia portavoce di istanze morali, invece anche la marginalità si pone dalla stessa parte della massa deprecata, rendendo la violenza una strada necessaria.

Ma anche gli stessi vampiri non sono al sicuro dalla spirale di violenza. Per Maruo non ci sono né vinti né vincitori, tutti sono immersi in una struttura in cui la soddisfazione dei proprio bisogni quasi primordiali – la sete inestinguibile di sangue – diviene il motore immobile di ogni azione, trasvalutando qualsiasi tentativo di pensare ad un’etica minima che guidi le azioni dei suoi personaggi. Il Vampiro che ride è un’enorme macchina teatrale, che mette in scena il male come assoluto e con assoluta nonchalanche. Una fenomenologia in filigrana della società giapponese, vista senza alcuna redenzione e senza alcuna speranza.

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