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La scienza è il nuovo rock’n’roll. Nowhere Men di Eric Stephenson [Recensione]

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Il ritorno di Eric Stephenson alla sceneggiatura doveva per forza di cose essere qualcosa di più di un semplice buon fumetto. Questo perché oggi come oggi Eric non è più l’anonimo mestierante al servizio di titoli terribili come X-Force/Youngblood o Extreme Sacrifice, ma il principale artefice (da Executive Director) della seconda giovinezza Image. L’eminenza grigia dietro la nuova esplosione di creatività dei comics statunitensi. L’uomo dai grandi discorsi condivisi sui social di mezzo mondo. Quello che detesta le proprietà intellettuali derivate da altre opere e che continua a incentivare il mercato delle fumetterie. Il visionario che con titoli impossibili come Saga e The Walking Dead sta facendo vagonate di quattrini.

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Chissà, Stephenson potrebbe persino rivelarsi, nel privato, una pessima persona – e ci si sta spingendo troppo nel territorio della beatificazione anzitempo – ma ora come ora costui è il simbolo di tutto ciò che vorremmo, in fin dei conti, da una casa editrice matura: passione, lungimiranza, competenza e un pizzico di cinismo. Se sarà vera gloria lo scopriremo tra qualche anno (vi ricordate cosa è successo l’ultima volta che lasciammo abbagliare dalla Image?); ciò nonostante, stiamo parlando dell’uomo-marketing perfetto, per un’industria che rischia di contare sempre meno.

Detto questo, il suo ritorno alla tastiera non poteva che essere l’ennesimo strumento promozionale speso in questa sua personale crociata per la salvaguardia del fumetto popolare. Basta sfogliare poche pagine del primo volume di questo Nowhere Men ed è subito palese di come questa serie sia concepita e realizzata per essere il sunto di tutto ciò che sta facendo grande la Image in questi nostri tempi. Abbiamo un concept per nulla banale, moderno (si parla di tecnologia, start-up e nerd) e imbevuto di cultura pop. La struttura da serie tv, con tutti i suoi snodi misteriosi messi lì a puntino tanto per non svelare nulla prima del tempo. Una certa ricercatezza, accessibile comunque a tutti senza togliere il brivido di avere tra le mani qualcosa di più particolare della dodicesima serie mensile dedicata ai Vendicatori & ai loro derivati. Una messa in scena che non passa certo inosservata, dalle grintose matite di Nate Bellegarde ai colori di Jordie Bellaire. Le tavole sono fresche, dinamiche, ammiccanti. L’idea di sperimentare non viene neppure presa in considerazione, si pensa piuttosto a rendere più accattivante – ecco la parola giusta – quello che già si conosce.

A coronare il tutto abbiamo un design studiato dall’emergente, ma già sulla bocca di tutti, Fonographik. Passato dal pubblicare sul web orride gallerie di locandine cinematografiche minimali e finti Penguin Trade Paperback allo studiare alcune tra le testate più iconiche degli ultimi anni. Vedi quella di Saga, che ha pressoché sovvertito tutte le regole non scritte del canonico comic book statunitense odierno. Insomma, nulla poteva andare storto. E infatti così è stato.

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Nowhere Men è gelido come una lastra di ghiaccio, eppure non dovreste rinunciarvi per nulla al mondo. Naturalmente ha gli inserti in prosa, tratti da finti articoli di magazine o da biografie fittizie, come ogni fumetto importante deve avere da Watchmen in avanti. Ha le sue sentenze sensazionalistiche fatte apposta per essere stampate in evidenza in quarta di copertina (“La scienza è il nuovo rock’n’roll”). E, senza neppure cercare di mascherare la cosa, alla conclusione del volume non si arriva da nessuna parte. Eppure, leggere di questi cervelloni impegnati a fondare una multinazionale con l’obbiettivo di migliorare il mondo, ha un fascino irresistibile.

La cronologia sfalsata – molto True Detective, tanto per farvi capire su che tipo di pubblico si voglia cercare – funziona benissimo, e la curiosità su cosa sia successo a quel magnifico super-gruppo nel corso degli anni è tanta. Peccato che, come si è già detto, non si arrivi in nessun modo a una conclusione un minimo soddisfacente. Una malattia molto diffusa nell’iper-produttiva casa editrice di Berkeley, più etichettabile come fabbrica di concept che come casa di narratori di impianto tradizionale. Forse perché di buoni mestieranti ne sono piene le altre case editrici, boccheggianti come non mai, e non è troppo strano pensare che un sacco di loro fugga sotto l’egida della grande I proprio per liberarsi di questo fardello da artigiani giudiziosi.

L’idea di poter mettere il proprio nome sulla copertina di una nuova serie basata su qualche idea assurda – come quella di quattro super scienziati e del loro percorso corporativo verso l’immortalità – deve essere troppo forte per chi ha fatto del raccontare storie una scelta di vita. Eric Stephenson era uno di loro, prima di passare al ruolo di editor e successivamente a quello di dirigente, e questo suo giocattolino terribilmente autoreferenziale (quale altra grande azienda sfaldatasi con il tempo era stata fondata da sette genietti dall’attitudine molto rock’n’roll, desiderosi di cambiare il mondo?) ne è la testimonianza più vivida. Sono in vetta al mio mondo e posso fare ciò che voglio: perché non divertirmi come facevo un tempo, sfruttando la consapevolezza acquisita con gli anni?

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Nowhere Men è un’ottima serie pop, ma innanzitutto rappresenta la chiusura di un ciclo personale – Stephenson diventa finalmente autore degno di nota dopo aver abbandonato la scrittura per assumere una posizione dirigenziale e risollevare una casa editrice davvero pronta alle sue idee – che è simbolo dell’ascesa apparentemente inarrestabile di questa nuova Image. Chissà che tra qualche anno non ne resteremo ancora una volta delusi, e accantoneremo anche questi volumi in polverosi scatoloni nascosti in soffitta – accanto a tutta quella paccottiglia di inizio anni Novanta che tanto ci aveva fatto sognare. Per ora, però, lo spirito del tempo è qui. E allora, forse, vale proprio la pena godersela.

Nowhere Men vol. 1
di Eric Stephenson Nate Bellegarde, Jordie Bellaire e Fonographik
Saldapress, 2014
96 pagine, 12.50€

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