Si intitola Nato sette volte ed è il nuovo romanzo di Tito Faraci, sceneggiatore di fumetti che negli anni ha scritto decine di storie per Disney, Sergio Bonelli Editore e Astorina. In Nato sette volte racconta la reunion dei Litania, una band della new wave anni Ottanta. Che senso ha, però, rimettere insieme un gruppo di musica dark dopo vent’anni di silenzio? Una domanda che non sembra essere un problema per Luca, ex tastierista, ora padre di famiglia separato e sceneggiatore di fumetti che, in piena crisi esistenziale, all’improvviso decide di richiamare i vecchi compagni per rimettere insieme il gruppo. Nato sette volte è una riflessione sulla passione per la musica e sul sogno impossibile di rivivere una nuova adolescenza, fosse anche per una sola, memorabile serata.
Di seguito presentiamo le prime 4 pagine del primo capitolo, mentre un’intervista di approfondimento all’autore si può leggere qui. Buona lettura.
Luca bevve un lungo sorso, per ottenere una pausa drammatica, appoggiò il bicchiere e disse: «Stavo pensando di riformare i Litania».
L’effetto non fu quello sperato. Matteo fece una risatina al minimo sindacale, come per liquidare una battuta poco riuscita.
«Dico sul serio, Matteo. Ti ho chiesto di vederci per questo.»
«I Litania? Ma dai. A parte il fatto che facevano cagare…»
«A parte il fatto che, ai tempi, dicevi che eravamo bravi!»
Matteo fece un’altra risatina, stavolta più convinta. «Oh, andiamo! Cosa volevi che ti dicessi, ai tempi? Eravate una brutta copia dei Litfiba.»
«Dei Litfiba di Desaparecido e 17 re, però.»
«Un momento, calma! I Litfiba di Desaparecido e 17 re non sono la stessa cosa.»
Luca roteò gli occhi e allargò platealmente le braccia, come cercando la comprensione di un pubblico immaginario. In effetti, incontrò lo sguardo di un tizio seduto al tavolo a fianco che, fino a un attimo prima, stava cercando d’intortare una hipster di una ventina d’anni più giovane di lui (e anche di Luca e Matteo). Doveva avere captato il discorso sui vecchi Litfiba, e ne era stato attirato come il cane di Pavlov.
Luca interruppe il contatto visivo, prima che il tizio cominciasse a sbavare più di quanto già facesse per la hipster o, peggio ancora, si intromettesse in quell’insidiosa deriva della discussione.
«Okay, imitavamo un po’ i Litfiba… e, da un certo punto di vista, facevamo cagare. Ma chi se lo ricorda? Il punto è che il nome è tornato a circolare, soprattutto dopo il tuo libro. La gente ne ha sentito parlare.»
«Meglio che se li avesse sentiti suonare» disse Matteo. «Comunque, hai un concetto ottimi- stico di “gente”. Tu sai quante copie ha venduto “Anestesia totale”?»
«Io so quanto se n’è parlato» disse Luca.
Si riferivano al libro scritto da Matteo e uscito l’anno prima con lo stesso titolo della fanzine che lui e Luca avevano creato ai tempi dell’università, a Pavia. Due soli numeri, ma sufficienti per mettere un piede nella porta della leggenda e sospingere Luca e Matteo verso carriere parallele che avevano in comune l’essere pagati da qualcuno per qualcosa che si pagherebbe per fare.
Luca si sarebbe definito un uomo fortunato, fosse stato solo per il lavoro.
«Anestesia totale» – la fanzine, non il libro – era stata scritta, disegnata, ritagliata, incollata fra la cucina dell’appartamento da studente fuori sede di Luca e la camera di Matteo, che allora viveva ancora con i genitori. Stampata elemosi- nando fotocopie a destra e a sinistra. E accompagnata, gran colpaccio di genio e di culo, da una compilation su cassetta di «band emergenti della scena new wave italiana». Era stato Matteo a trovare un’azienda disposta a fare un master, amalgamando registrazioni di alterna qualità mandate dai vari gruppi coinvolti, e duplicare qualche centinaio di cassette per meno di mille lire al pezzo. Dove lui e Matteo avessero trovato i soldi, per la prima uscita di «Anestesia totale», Luca ora non riusciva più a ricordarlo. O, più precisamente, non riusciva a ricordare che scusa avesse rifilato ai propri genitori per alleggerirli. Forse, addirittura, la verità. Nel qual caso, chissà come aveva spiegato loro il concetto di fanzine, durante uno dei sempre più rari ritorni nella villetta a schiera di Gallarate. Quasi sempre per battere cassa, appunto. Come se i conti che sentiva di avere con loro potessero essere messi in pari dai soldi.
Luca, senza farsi scrupoli, aveva approfittato del primo numero di «Anestesia totale» per promuovere i Litania. C’erano pure loro nella cassetta allegata, con It’s a Rainy Day: pezzo il cui maggior motivo di interesse era avere il titolo in inglese ma il testo in italiano, figuriamoci.
Sì, forse aveva proprio ragione Matteo riguardo al fare cagare. Tuttavia.
Nel suo libro Matteo aveva raccontato la storia sua e di Luca in quei tempi così belli da ricordare. Certo più che da vivere. Una versione romanzata, in cui i Litania non arrivavano nemmeno a quella notorietà illusoria, durata meno di un anno, con tutto ciò che ne era – e non ne era – conseguito.
«Non intendevo proprio rimettersi assieme» spiegò Luca. «Soltanto per un concerto, una festa. Qualcosa del genere. Si potrebbe fare in Santeria, o al Magnolia. Magari siamo ancora in tempo per il MI AMI.»
«Magari» ribatté Matteo. Voleva metterci un tono ironico, probabilmente, ma non gli riuscì. Stava abboccando.
Luca sorrise. Tre, due, uno… «Per l’occasione» disse «si potrebbe fare un nuovo numero di “Anestesia totale”».