C’è qualcosa, una sorta di invisibile legame sottocutaneo, che lega in maniera intima La Guardia dei Topi di David Petersen con i libri per l’infanzia su cui ogni lettore forte ha imparato a prendere confidenza con il concetto del raccontare storie. In quelle pagine ormai relegate al passato c’erano simpatici animaletti del bosco che vivevano avventure spensierate, magari insaporite con l’aggiunta di qualche elemento fantastico come gnomi o fate (se ve lo state chiedendo… sì, il primo esempio che mi è passato per la testa sono le Storie del Bosco di Tony Wolf aka Antonio Lupatelli) e l’immancabile lieto fine. Anche nel fumetto pubblicato da Panini le pelose creaturine vivono tra querce e conifere, se non fosse che ora devono fare i conti con minacce ben più reali di burberi giganti o folletti dispettosi, quali grossi predatori intenzionati a non lasciarsi morire di fame o inverni troppo freddi.
Il presupposto sarà anche fantastico – si parla di un popolo di roditori organizzato secondo una fitta rete di città segrete – ma lo svolgimento è del tutto spietato. Dal fatto che spesso il lavoro degli eroi si limiti a scortare qualche povero mercante o a ricostruire sentieri distrutti dalle piogge, al costante senso di morte e minaccia incombente che riempie ogni pagina. Ed è proprio rileggendo i primi tomi de La Guardia (soprattutto il nuovo e straordinario La Scure Nera) in questa prospettiva che se ne capisce davvero il senso: l’opera di Petersen è quello che succede quando un libro pensato per un pubblico in età prescolare diventa adulto. E per una volta questo termine viene utilizzato in maniera corretta. Basti la profondità con cui viene affrontato, nell’ultima uscita, il sovrano dei furetti. Un personaggio che chiunque altro avrebbe trattato come mero antagonista, qui acquista un’onestà e un carisma straordinari, da autentico regnante. Eppure non si nega mai la sua essenza sanguinaria e priva del senso della pietà.
In un cosmo popolato da abitanti così tridimensionali i nostri protagonisti muoiono e uccidono, mai per loro volontà (cosa scontata nel primo caso, forse meno nel secondo). Nonostante le apparenze tenere e coccolose degli attori l’impianto è quello della saga in costume canonica, magari un pelo più ruvida del solito. Dopotutto si sta descrivendo un epoca non certo rimasta negli annali per la qualità della vita o per l’amore dell’igiene personale, vista per di più dalla prospettiva di un topo. Anzi, di un popolo di muridi diviso in gilde artigiane, abitanti di città fortificate nascoste agli occhi di chi non deve vedere e dotati di un bagaglio di tradizioni non indifferente.
E qui invece ricadiamo in un mondo fantastico che tanto ci aveva fatto sognare in quel periodo così felice della nostra vita. L’autore sembra ricordarsene bene e sceglie un registro non certo improntato su di uno storytelling impeccabile, quanto sul confezionare tavole che siano il più illustrative possibile. Anche il fatto che ogni capitolo interno venga accompagnato da una doppia splash page fuori dal flusso narrativo, messa lì a mero scopo decorativo, fa capire come il modello seguito sia quello del libro illustrato e non quello del fumetto del tutto aderente al proprio linguaggio.
Il risultato a volte appare farraginoso, ma la magia de La Guardia dei Topi è qualcosa a cui nessuno dovrebbe mai rinunciare. Petersen ha inventato un complesso strumento capace di farci viaggiare su due piani temporali contemporaneamente, permettendoci di viverli entrambi in pieno. A differenza di un Adventure Time la visione non è quella dell’adulto che consuma un prodotto per una fascia d’età più giovane, leggendone tra le righe una serie di ammicchi destinati a rimanere invisibili al bambino. Qui non ci sono strizzatine d’occhio. La parte immaginativa è davvero iconica, costruisce un mondo credibile e tangibile anche se costruito sulla pura fantasia. Come quando, da piccoli, quei misteriosi monoliti cartacei davano l’impressione di contenere interi universi impossibili.
La parte adulta invece si palesa come ruvida, complessa, spesso non troppo amichevole. Oggi come oggi si confonde troppo spesso adolescenziale con questo tipo di registro, spacciando opere costruite attorno alla provocazione gratuita come l’ultima frontiera della maturità di un linguaggio. In realtà adulto significa tutt’altro, un mondo più vicino ai colori smunti di di questi volumi che alle esplosioni colorite e volgari di un Millar o di un Ennis in licenza dalle sue storie di guerra. La differenza la si avverte subito, percependo la gravità delle vicende e non il fragoroso rumore di una pernacchia fatta – appositamente – al momento sbagliato. Così si finisce per farsi trascinare nelle epiche e violente gesta di questi roditori privi di paura con il trasporto di quando le storie ce le leggevano i genitori.
Petersen sfonda una porta richiusa da troppo tempo e ci permette di camminare in queste piccole stradine costruite a misura di topo senza il tipico e strisciante senso di vergogna di quando ci sorprendono con un tomo fantasy da migliaia di pagine tra le mani. E lo fa proprio perché il suo è un registro totalmente scardinato dal banale e dal consueto, dalla post-ironia e dalla ricerca dell’eccentrico brillante a tutti i costi. Evita perfino il tono picaresco e smargiasso tanto in voga ultimamente negli Stati Uniti (parlo di Rat Queens e Skull Kickers).
Siamo più dalle parti del fantastico Battlepug di Mike Norton, dove si seguono le straordinarie avventure di un barbaro a cavallo del suo carlino da battaglia. L’assunto sarà anche assurdo, ma di fumetti così epici e desiderosi di raccontarci una storia destinata a rimanere – seppure spinti da un motore del tutto infantile – ne abbiamo sempre meno. Lunga vita alla Guardia!