Era un periodo di guerre civili e telefoni a gettoni, quello dei primi anni novanta. Ma anche un periodo d’oro per Lupo Alberto, che stava godendo di una popolarità diffusa. Scardinato dal mondo fumetto, il personaggio di Silver si era radicato nell’immaginario popolare grazie allo sfruttamento della proprietà. Prima il merchandising e poi le iniziative a carattere cultural-pedagogico con cui diffondere messaggi di civiltà: la tutela dei minori, il diritto agli studi, l’ambientalismo. E la campagna sull’AIDS, con l’opuscolo Come ti frego il virus!
Come ti frego il virus! fu un progetto fondamentale che ebbe il merito di introdurre un dialogo sull’uso del preservativo grazie a un linguaggio informale e ironico, aumentando la consapevolezza dei giovani in materia. Fino ad allora, il profilattico era associato alla prostituzione, a un sesso vissuto come sporco e indegno piuttosto che a un’idea di prevenzione dalle malattie veneree.
Il successo dell’operazione passò per le controversie scatenate dalla presenza dell’albetto nelle scuole. Attorno a Come ti frego il virus! si assieparono le cronache giornalistiche dell’epoca, che ebbero bersagli facili e mire chirurgiche. Ma dietro ai titoli sensazionalistici si nascondeva un canovaccio sulla mancanza di cooperazione governativa, una storia di paure, arretratezze mentali e zone di confine tutt’altro che manichee.
All’inizio degli anni novanta, nell’ambito di una campagna di sensibilizzazione sull’argomento, la Commissione Nazionale e il ministero della Sanità guidato da Francesco De Lorenzo commissionarono a Silver un opuscolo informativo sull’AIDS da distribuire nei luoghi di ritrovo giovanile (discoteche, locali, palestre), partendo da un’idea di Rita La Rocca e Maria Novella Cordone. I testi vennero scritti da Vincenzo Perrone, mentre Silver si prestò per illustrare il progetto. Come ti frego il virus! fu il risultato dei loro sforzi. Stampato in un numero di copie che passò dalle iniziali trecentomila alle oltre sei milioni (tra ristampe e pubblicazioni, autorizzate e non, su riviste come il Venerdì di Repubblica), venne presentato ufficialmente il 30 novembre 1991 nella discoteca romana Alien e da subito elogiato per il tono chiaro e senza reticenze con cui era riuscito ad affrontare la questione.
Poi l’opuscolo invase le scuole. Fu il caos. Il ministero della Pubblica Istruzione, con a capo Riccardo Misasi, fece sapere che Come ti frego il virus! non rispettava i criteri fissati dal dicastero in termini di educazione sessuale e che qualsiasi materiale inviato alle scuole doveva prima essere vagliato per favorire “un’utilizzazione adeguata alla cultura dei giovani”, impedendone la circolazione negli edifici scolastici. Elio Guzzanti, membro della commissione che aveva presieduto la creazione del vademecum, replicò: “Figuriamoci se veniva varata un’iniziativa senza il placet della Pubblica Istruzione. Da anni abbiamo avviato un paziente lavoro per raggiungere una perfetta simbiosi”. Simbiosi che da qualche parte doveva essersi corrotta, se De Lorenzo di fronte ai giornalisti balbettò un vago “Ne chiederò conto a Misasi”. In effetti, per arrivare nelle scuole l’opuscolo aveva bisogno del via libera di Misasi. E sui documenti mancava la sua firma. De Lorenzo sbottò. “Per colpa di una firma mancante? Assurdo. La Sanità si impegna nella prevenzione e chi frena? Un altro ministero? Forse le cause sono altre, più concrete, tabù inviolabili anche se non dichiarati”.
Il Corriere della sera e Repubblica raccontarono che quegli stessi inviolabili tabù di cui parlava De Lorenzo condussero Rosa Russo Iervolino, succeduta nel frattempo a Misasi, a diffondere una circolare molto dura in cui si reprimeva l’uso dell’opuscolo (a vicenda conclusa, la donna negherà l’esistenza di tale documento). Cresciuta nell’humus DC, Iervolino era, giocoforza, succube delle imposizioni ecclesiastiche ma soprattutto una democristiana tra i democristiani: racconti di segreteria riportano che, ai tempi del referendum per il divorzio, fosse “più schierata dei vertici del partito”. Non stupisce quindi che l’argomento della prevenzione tramite profilattico fosse quantomeno sconveniente da affrontare in sede istituzionale.
Eppure, nonostante i resoconti giornalistici, il nodo gordiano non era (solo) il preservativo, né tantomeno l’indefessa linfa DC che scorreva nelle vene di Iervolino, bensì un aspetto di natura pratica: Come ti frego il virus! non era mai stato previsto per le scuole e tutto farebbe pensare che le azioni di Iervolino fossero una maniera un po’ goffa di battere i pugni sul tavolo e rivendicare un potere che si vedeva travalicato. Sia chiaro: la presenza del preservativo aveva turbato il ministro, la stampa cattolica (l’Avvenire, con trasognante coerenza, invocò il voto di castità) e più di un membro della commissione; lo stesso De Lorenzo viene dipinto da Perrone come un uomo vecchio stampo: “La parola preservativo lo faceva arrossire, letteralmente”. Ma il motivo principale per cui l’opuscolo era malvisto nelle aule scolastiche era perché nelle scuole quell’opuscolo non ci doveva finire. Lo conferma lo stesso Perrone: “L’opuscolo ci venne esplicitamente richiesto ‘per la prevenzione primaria, destinata a soggetti sessualmente attivi’.
La richiesta non prevedeva in alcun modo la distribuzione nelle scuole. Perché, cito a memoria, la scuola pubblica non può in alcun modo dare per scontato che i propri iscritti (parliamo di medie superiore, quindi tra i 14 e i 19 anni) abbiano tutti una attività sessuale. Distribuire un opuscolo in cui si dia per scontato l’esistenza di una sessualità attiva, avrebbe significato rendere “diversi” chi invece, per indole propria, timidezze o altro fosse ancora in attesa della prima volta. La preoccupazione vera era quella di non creare difficoltà a chi non faceva sesso”. Perrone smentisce dunque i giornali che all’epoca additavano la menzione del profilattico come causa scatenante per il veto della Iervolino, anche se ammette che il contraccettivo era tutt’altro che ben visto da parte di alcuni: “Parliamoci chiaro, c’era una parte, potente ma minoritaria all’interno delle commissioni, che del preservativo non ne voleva proprio sentire parlare”.
A testimonianza del fatto che l’opuscolo era stato pensato per lettori e contesti diversi c’è il comunicato stampa del governo, che non cita le scuole come luogo-obiettivo. “Di fatto, se mi fosse stato commissionato un opuscolo destinato agli istituti, lo avrei scritto in modo totalmente diverso, almeno in alcune sue parti” conferma Perrone. “Detto in altre parole: la Iervolino aveva ragione. L’opuscolo non era adatto per le scuole”. Allora perché De Lorenzo se l’era presa con Misasi? Non è dato saperlo.
Ai giovani le motivazioni della censura non interessarono comunque: partirono i sit-in, le manifestazioni pro-Lupo Alberto, le proteste; la domanda per l’opuscolo crebbe a tal punto che il governo istituì un numero verde per richiederne delle copie. Il professor Fernando Aiuti organizzò perfino una lezione plenaria nell’istituto romano San Giovanni Evangelista (una scuola fondata dai preti) usando il libretto come testo unico.
Silver, tirato in ballo dai talk show di Ferrara, Santoro e Costanzo, rifiutò di andarci per evitare di essere un mero picco di audience tra una pubblicità e l’altra, ma lamentò sui giornali tanto le critiche della Iervolino quanto l’indifferenza di De Lorenzo che, “quasi in trance, tre telefonini per volta, con conversazioni troncate di brutto e codazzo di portaborse”, dovette in seguito dimettersi a causa del suo coinvolgimento nell’inchiesta di Tangentopoli: “Non c’è stato il minimo accenno di difesa, non è venuta una sola parola di solidarietà, nemmeno da un sottosegretario: m’è parso d’essere il capro espiatorio di altri guai”. Le parole di Perrone mostrano bene le contraddizioni interne all’essere umano: se da una parte De Lorenzo finì in baruffe con lo stato che si sono trascinate fino al 2012, dall’altra ebbe il merito di comprendere l’importanza del messaggio, nonostante non fosse nella sua cultura, e di approvarlo. Allo stesso modo, la vicenda per il Lupo ebbe risvolti dolceamari: la bagarre sollevò le vendite della testata ma infangò l’immagine del personaggio e del suo autore; gli incontri con Silver nelle scuole vennero boicottati e i negozianti rimossero il materiale da cartoleria griffato Lupo Albero dalle vetrine.
Forse perché messo di fronte a un concorso di colpa o alla gogna mediatica, il dicastero si vide costretto a cedere. Tra uscite spiacevoli (“La scuola non è una palestra per la diffusione di opuscoli dietro i quali si possono nascondere operazioni economiche. E quel libretto ha una scarsa valenza educativa, è una barzelletta!”) e un’interrogazione parlamentare, portata avanti da cinque senatrici del PDS ai danni di Iervolino, si fece marcia indietro: ai presidi e agli organi collegiali la libertà di decidere se il messaggio fosse adeguato o meno ai loro alunni. Alla fine, quindi, Iervolino, o chi per essa, lasciò perdere. Non si spiegherebbe altrimenti l’altro numero di copie, arrivato tra ristampe e ridistribuzioni a sei milioni, indice che “qualcuno deve aver pensato che non sarebbero tutte andate nelle discoteche. Non ne ho le prove, ma presumo che qualcuno abbia deciso di forzare la mano. E direi che ha fatto bene”.
In alcuni articoli dell’epoca il ministero comunicò che un piano di educazione sessuale per le scuole era già in cantiere, con regole e criteri interni all’apparato. Tuttavia la lentezza burocratica o, più semplicemente, l’assenza di un’idea forte su come strutturare l’argomento, fecero dell’opuscolo del Lupo il veicolo di diffusione più incisivo: “Poiché nessuno si voleva prendere la responsabilità di una campagna informativa da svolgersi negli istituti scolastici, il libretto divenne meglio che niente” dice Perrone “e soprattutto uno strumento efficacissimo per sdoganare il preservativo”. Subito dopo i fatti, l’autore inviò a Repubblica e Cuore una lettera in cui ricostruiva l’intera vicenda, ma l’onda di Tangentopoli si era ormai infranta con furia cieca sulla stampa italiana e la storia venne ignorata.
Al netto delle polemiche, delle critiche e delle accuse, Come ti frego il virus! si posizionò al primo posto nella classifica delle iniziative ministeriali per grado di memoria e attecchimento del messaggio. In poche parole, un esempio antesignano dell’effetto Streisand, quel fenomeno per cui più si tenta di censurare o bloccare qualcosa più quel qualcosa diventerà estremamente popolare. Il nome si deve a Barbra Streisand, la quale tentò di far rimuovere dall’internet una foto della sua villa perché riteneva ledesse la privacy. L’unica differenza è che nel caso di Lupo Alberto c’era in ballo qualcosa di più importante dell’intonaco di una casa.