«Usare il vecchio per definire il moderno, per illustrare l’incessante e inevitabile incubo che è l’esistenza umana.» Era una frase che Mike Mignola aveva messo in bocca a Jerry, personaggio presente in Nella cappella di Moloch, meta-racconto del 2008 in cui l’autore parlava apertamente di cosa significasse fare fumetti per lui. Quasi una dichiarazione d’intenti.
Influenzato dalla produzione fantastica a cavallo tra Otto e Novecento, tra folklore e letteratura di genere, quello che è stato definito come tipico esempio di pastiche post-moderno è in realtà un racconto ancorato a dettami classici. Lungi dall’essere retrò, Hellboy pesca dal passato più sordido della tradizione adattandolo al presente. In questa rilettura, il denominatore comune è l’aspetto ‘popolano’. Il romanzo d’appendice, le leggende, i giornalacci pulp. Tutto ciò che di “triviale” la narrazione del Secolo breve ha prodotto e poi rivalutato, da Lovecraft a Howard, passando per Wellman, Dent e Gibson.
Questa è l’essenza di Hellboy. Anche se l’eroe non è sempre stato così. La sua storia inizia con Il seme della distruzione, sceneggiato da John Byrne e pieno di quegli elementi pulp tanto cari a Mignola. Con Il cadavere, Hellboy acquisisce molti dei suoi tratti tipici, l’umorismo contenuto, dosi massicce di narrazione folkloristica e soprattutto l’editor Scott Allie, attuale supervisore della serie (nonché Editor in Chief presso l’editore Dark Horse).
Segue una fase di sperimentazione fatta di storie brevi e racconti tangenziali che aiutano a modulare il tono e inseriscono elementi e personaggi che verranno ripresi in seguito. Il materiale migliore è qui (Teste, Pancake, Una scatola piena di malvagità). Il verme conquistatore impone un cambio di marcia; alla fine della storia, Hellboy abbandona il Bureau of Paranormal Research and Defense e inizia a vivere avventure in solitaria. È il periodo di espansione: nasce una seconda testata, dedicata al B.P.R.D., poi altre ancora. Le vicende di Anung Un Rama sono proseguite fino a La tempesta e la furia, dittico in cui il Nostro finisce dritto all’inferno. La svolta è talmente radicale da aver inaugurato un nuovo ciclo narrativo, un nuovo modello editoriale (non più miniserie autoconclusive ma una testata continuativa), e un ritorno di Mignola al tavolo da disegno.
Se Hellboy ha cambiato aspetto nel corso degli anni, Mignola è ormai, invece, un artista cristallizzato. Come un buon filetto di chianina, le sue sceneggiature reggono cotture veloci, idee che si esauriscono in uno o due numeri. Oltre, la storia comincia a bollire, perde i succhi e la spontaneità. Eccelso nei racconti brevi, forma letteraria in cui i pesi vanno calibrati diversamente, nelle avventure ad ampio respiro manca di ritmo, glissa su scene madri o smarrisce lo sguardo in evocativi squarci del panorama. Nemmeno i dialoghi sono il suo forte, già. Spesso se ne esce con frasi ampollose o storte, come «Tu mi hai negato verdi campi da bruciare, oceani da bollire.» In questo senso, Hellboy in Hell è meno mignolesco del solito.
Il primo arco narrativo, costituito da quattro episodi, è compatto, posiziona con efficacia gli elementi narrativi, chiude un discorso e prepara il terreno per ciò che vedremo in seguito. Gli alti sono alti – la nascita di Hellboy – e i bassi sono comunque notevoli: il fastidio di vedere l’ennesima rilettura del Canto di Natale di Dickens è lenito dal fatto che a recitare la scena ci sono delle marionette. Assistiamo inoltre all’abbandono di ogni riferimento folkloristico e del conflitto tra scienza e magia mutuato dalle fonti ottocentesche; l’autore pesca direttamente dalla letteratura ‘alta’, Shakespeare, gli obbligatori Dante e Milton (quando si tratta d’inferno, tornare a quei modelli è quasi fisiologico, specie per un fumettista come Mignola che guarda a entrambi i lati dell’Atlantico). Le prigioni di ghiaccio del cocito dantesco lasciano spazio a un ritrovato senso di folklore ne Le tre fruste d’oro, storia conclusiva del volume che vede Hellboy muovere i suoi primi passi nel Pandemonio.
Ma è sulle matite che vanno spese parole di encomio – tranne i piedi, quelli no, Mignola non li sa proprio disegnare. I verticalismi a cui ci ha abituati sono tutti lì: la tavola è in bilico tra la frattura in vignette sconnesse e una narrazione sequenziale vecchio stile. Questa tensione grafica è scaricata sugli assi verticali, o sui chiasmi che preservano la leggibilità della scena. L’autore brilla anche per la precisione chirurgica con cui sceglie le immagini, e per il segno ipercontrollato con cui le ritrae. La resa finale è per certi versi di semplicità disarmante: non c’è un cazzotto male assestato, un’onomatopea di troppo o una creatura dall’aspetto infelice.
Se va riscontrata una differenza rispetto al passato, si deve guardare ai colori. La classica paletta di tinte terrose, utili a far risaltare Hellboy in ogni vignetta, qui cedono il passo ai toni caldi degli aranciati. Il protagonista affoga nei rossi del Pandemonio e il lavoro sul cromatismo delle tavole ha una valenza metaforica: alla perdita di identità cromatica si accompagna l’alienazione personale di un eroe che ha rifiutato il suo destino. Un tema, quello del libero arbitrio, che ha modellato Hellboy sin dalle sue prime apparizioni. Basti citare Pancake, forse la sua migliore storia, capace in due pagine di descrivere la società statunitense attraverso la sua quintessenza alimentare. In quel racconto, Mignola era stato chiaro: il pancake è la mela che conduce l’eroe fuori dal suo Paradiso; ed è il simbolo di un altro paradosso, il libero arbitrio indotto.
Citavo Nelle cappella di Moloch come emblema della mentalità che permea il fumetto; Moloch era una storia che parlava dell’autenticità artistica in un’epoca di massificazione selvaggia. Anche Hellboy all’Inferno riflette sulle proprie origini, su chi e cosa modella davvero la nostra esistenza. Non a caso, Hellboy, un prodotto rarefatto in termini di uscite (la nuova testata è iniziata nel 2012 e ad oggi sono usciti sei numeri), è stato uno dei primi personaggi creator-owned nati all’interno di un’etichetta generalista. Quello che cerca Hellboy è quello che ha cercato – e ha ormai ottenuto – Mignola: controllo e indipendenza, in un luogo che li ha adottati come figli.
Hellboy all’Inferno
di Mike Mignola e Dave Stewart
Magic Press, 2014
152 pagine, 14€